Anno 1 | Numero 7 | Aprile 1998

La bella traduzione del romanzo di Carme Riera, prima opera scritta in lingua catalana ad essere onorata del Premio Nacional de Narrativa, propone al lettore italiano un romanzo complesso che rappresenta una svolta significativa nel percorso letterario dell’autrice. La lettura di Dove finisce il blu rinvia infatti ad un atto di volizione prescritturale maturo e deciso, che contiene gli elementi della precedente e non esigua produzione, ed evolve in una forma di romanzo di precisa conformazione di genere e stile. «Mi ero stufata di essere la voce confidenziale della prosa poetica» dichiarava Carme Riera ad un quotidiano spagnolo all’indomani dell’uscita di Dove finisce il blu, nel 1994. Riferiva così certa insofferenza verso un modello narrativo stretto che pur aveva coltivato con serena e spontanea dimestichezza. Denunciava inoltre l’atteggiamento di disinteresse che la critica catalana continuava a riservare alla sue opere. Ma andiamo per ordine. Nel 1975 una giovanissima Carme Riera pubblicava i racconti di Te deix, amor, la mar com a penyora [Ti lascio, amore, come pegno il mare]; la lettera d’amore che apre e dà il titolo al libro è scritta da una donna e solo un’agnizione finale rivelerà l’identità lesbica di tale passione, venendo a creare una curiosa specularità con l’Alexis di Marguerite Yourcenar. La successiva raccolta di racconti Jo pos per testimoni les gavines [Chiamo le rondini a testimoniare] del 1977, si riallaccia con la prima narrazione al precedente volume: finzione nella finzione, una donna, riconosciutasi come la destinataria del libro precedente, scrive all’autrice per precisare la vicenda. Malgrado quindi la presenza di molti altri racconti di diverso genere, la prosa epistolare si impone sin dall’inizio come modello caratterizzante della pratica narrativa di Carme Riera. Questio d’amor propi, infatti, del 1987, è un libro formato da un’unica grande lettera. In qualche modo questo testo rappresenta l’esaurimento della vena epistolare malinconica dell’autrice: altre lettere seguiranno nelle successive raccolte di racconti e nei romanzi; ma saranno ormai dominate dall’intenzionalità ironie e a volte disorganica, dalla ricerca del divertissement, dall’esasperazione delle possibilità della missiva.

Tali sono i prodromi alla stesura di Dove finisce il blu. E l’esordio del primo capitolo, l’attesa speranzosa di João Peres e le parole del capitano Harts, che fanno inizialmente pensare, come è stato scritto, ad un clima di novella bizantina, sembrano un ammiccamento ai lettori di sempre ma, allo stesso tempo, anche una sorta di sottile palinodia dell’Autrice. Il cambio repentino che si produce nel seguito del romanzo non lascia comunque fili sospesi nel vuoto e la struttura – che nei primi capitoli pare tendere alla dispersione in un viavai di personaggi ed episodi – manifesta a poco a poco la sua coesione interna. Così, se alcune figure erano state immaginate in un primo tempo come rappresentanti di un genere o come reificazione di un modello stilistico (si pensi a Bianca Maria Pires o alla Zoppa), una volta entrate a far parte della storia perdono la loro essenza di carattere paradigmatico per assurgere alla funzione di attori del dramma umano.

«I fatti storici su cui si basa Dove finisce il blu si svolsero a Palma de Maiorca tra il 1687 e il 1691. Il 7 marzo 1687 un gruppo di ebrei maiorchini convertiti, temendo l’allestimento di un processo contro di loro a causa delle dichiarazioni di un delatore, decisero di imbarcarsi sulla nave del capitano Vuillis (Willis?) verso terre di libertà. Il brutto tempo impedì allo sciabecco di salpare. I fuggiaschi dovettero salpare e, sulla strada del ritorno alle proprie case, furono catturati. […] Le cause aperte nel marzo 1687, non furono chiuse fino al 1691, anno in cui ebbero luogo quattro autodafé. Trentasette persone furono condannate al rogo. Tre di loro, Rafel Valls, e i fratelli Caterina e Rafel Benet Tarongí, furono arse vive perché non vollero abiurare la propria religione.

Così recita la nota finale di Carme Riera nell’edizione catalana. E tiene a far presente che i tempi della narrazione sono stati accorciati, che alcuni personaggi sono di pura invenzione mentre sono stati cambiati i nomi ad altri che si ispirano direttamente ai protagonisti storicamente documentati di quegli avvenimenti poiché, se nei domini della storia nessun materiale deve essere manipolato, «in quello del romanzo, per quanto storico, tutto è valido e, di conseguenza, legittimo – a patto di mantenere la verosimiglianza e la coesione interna.»

E piace a chi firma questa nota, concludere sottoscrivendo le seguenti parole dell’autrice: «Nonostante quanto possa sembrare, Dove finisce il blu è privo di qualsiasi interesse polemico. Non ha la pretesa di stuzzicare vecchie ferite né tantomeno di aprirne delle nuove facendo riferimento all’intolleranza dì una buona parte della società maiorchina contro un altro gruppo di maiorchini di ascendenza ebrea, visto che; peggiori degli eventi del 1691, furono le loro tragiche conseguenze, che emarginarono e umiliarono per secoli i discendenti dei martiri negli autodafé. A tutti loro, credo che i maiorchini di buona volontà non possano che chiedere perdono. E questa è, pure, una delle intenzioni del romanzo.»

Nancy De Benedetto

 

Per approfondire: https://it.wikipedia.org/wiki/Carme_Riera_Guilera

In libreria

Carme Riera
Dove finisce il blu
Fazi, 2004
Collana: Tascabili
Traduzione di F. Ardolino
343 p., brossura
€ 9,00

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