Quando trovarono Chet Baker morto, in una cabina telefonica, ucciso da una dose tagliata male, il poliziotto scrisse nel verbale: trovato morto un vecchio di 80 anni. Baker aveva qualche anno di meno, circa 60. Questo libro di memorie ci racconta la genesi di quella morte, il perché di quella faccia scavata e rugosa. Perché quelle ali, evocate nel titolo, veramente capaci di portare in alto i toni della tromba, siano entrate in stallo.

Vent’anni e più di memorie, scritte in prima persona, privilegiando i ricordi più significativi, con uno stile diretto e scarno, senza commenti o riflessioni: solo i fatti. Ha vissuto, sembra paradossale, trattandosi di un libro autobiografico, senza memoria, scivolando sul presente, attento a soddisfare i suoi umori, a cogliere l’aria che tirava per poi rimetterla in musica. Un vero processo di sublimazione, dove l’inquietudine e il dolore si trasformano da eventi metafisici, duri e pesanti, a eventi tattili, spifferi sonori, duttili, leggeri: Chet viene dall’inferno e continuamente ci ritorna, ma nel frattempo, sul palcoscenico, volteggia. Appunto: come se avesse le ali.

I ricordi di Baker, e dunque il libro, iniziano dall’immediato dopoguerra, quando, marinaio dell’esercito, inizia a suonare nella banda militare e finiscono a Barcellona intorno al ‘63. In mezzo c’è la California, l’Italia e la Francia e ci sono tutti i grandi jazzisti che con Baker hanno lavorato. Di loro Chet traccia dei ritratti divertenti, schizzi. Su Bird “era un musicista perfetto e, anche se sniffava cucchiaiate di roba e beveva litri di Hennessy, sembrava che gli facesse poco o niente […] durante le pause lo accompagnavano a un chiosco messicano a pochi isolati di distanza e lui si mangiava una dozzina di tacitos con la salsa verde, ne andava pazzo. A volte di pomeriggio, ce ne andavamo sulla spiaggia. Lui usciva dalla macchina e si metteva a fissare il mare, con le onde che si rompevano sulle rocce sotto di noi, per una mezz’ora”. Ci sono poi i club, i riti e i tic dei musicisti, descrizioni di celebri assoli, di leggendarie jam-session. Ci sono le città: San Francisco New York, e Roma poco prima della dolce vita, con quell’atmosfera fibrillante, sul punto di esplodere. Non mancano descrizioni di ospedali e reparti disintossicanti, di prigioni e luoghi oscuri dove è stato rinchiuso a causa di stupidità giuridiche che più di una volta l’hanno costretto in carcere. Ci sono poi le donne, belle e pazienti, possedute e abbandonate, amate per poco e per sempre. Ovviamente c’è la droga e le sue tentazioni, non solo eroina e cocaina, ma decine e decine di farmaci, rubati, ottenuti con l’inganno, con la compiacenza di dottori e di amici.

Questo libro è dunque un elogio al disordine, ma senza romanticismo e senza rimuovere il dolore che ne consegue. Si canta la vita vissuta senza attenzione, la vita come lusso, la felicità senza motivo. Ma la morale c’è. È presente, anzi si fa sentire in ogni pagina. Una morale che ci insegna come sia possibile che dal disordine si giunga a un ordine ascendente, rigoroso ed eccelso. Una lettura da consigliare a gran parte degli odierni scrittori nostrani, così vogliosi di essere cattivi, ma così incapaci di rinunciare ad essere borghesi, ricchi e accomodanti. Ma anche così poco sensibili al dolore che credono di raccontare, preferendo a questo una sua cinica rappresentazione, epurata dalle zone ombre e dalla pietas.

Delle pagine di questo libro, un paio ci rimarranno per sempre impresse. Quelle che descrivono la figura di Chet Baker, quando suonava avvolto dalla luce, ombreggiato dal fumo, allora il suo volto e i suoi occhi sembravano distanti, più lasciava questo inferno, questi umori viscerali, grezzi e duri, più ascendeva verso la vetta. E la sua musica si faceva inafferrabile come la sua figura. Come dire: se davvero ci piace perderci, che almeno la nostra dissoluzione avvenga in un punto alto, irraggiungibile.

Antonio Pascale

 

Il libro nel 1998

Chet Baker
COME SE AVESSI LE ALI – le memorie perdute –
minimum fax, 1998
L. 18.000

 

Trombettista statunitense di jazz. Influenzato da Miles Davis, ha elaborato un suo originale lirismo derivato dal cool jazz ed espresso anche nel canto sottile e suggestivo. Affermatosi col quartetto di G. Mulligan (1952), ha svolto soprattutto negli ultimi anni un’intensa attività con gruppi occasionali.
Fonte ibs.it

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Chet Baker
Come se avessi le ali. Le memorie perdute
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Collana: Minimum Fax musica
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