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Anno 0 | Numero 3 | Novembre 1996

Il Piccolo Principe è stato posto dal caso o dal destino al centro della produzione letteraria di Antoine de Saint-Exupéry. Le prime quattro opere dell’autore possono essere considerate come l’itinerario dì una ricerca spirituale e tese a staccarsi poco a poco dalle posizioni individualiste per giungere a quell’ideale umano supremo proprio de Il Piccolo Principe. Nell’opera non vi è più alcuna traccia del senso dell’avventura, dell’azione eroica, delle illusioni della gioventù dell’autore, trascorsa guidando aerei. Scrivendo Il Piccolo Principe Saint-Exupéry ha voluto abbandonare le ambizioni filosofiche per dedicarsi a un’opera “dell’infanzia”. Il racconto si inserisce nel genere della parabola, ma anche del racconto fantastico. Stile senza lirismo, né retorica, le scene si susseguono rapidamente. Il ritmo rallenta solo quando le immagini si fermano sui toni dell’amicizia, dell’amore e della morte del piccolo principe. È allora che appaiono anche dei lunghi silenzi, dei gesti che divengono così rari da dare l’impressione dell’immobilità. Le immagini diventano lineari, ridotte all’essenziale. Tale felicità d’espressione non si spiegherebbe se Saint-Exupéry non avesse espresso nell’opera ciò che di più profondo esisteva nel suo animo, la parte più intima; la più viva del suo essere, quella che, non dipendendo da circostanze esterne, avrebbe animato la sua esistenza in qualunque contesto offerto dal destino: lo spirito dell’infanzia. Mentre Saint-Exupéry invecchia la nostalgia dell’infanzia aumenta in lui, come premeditando la sua fine, egli ha voluto offrire ai lettori la chiave del suo luogo più segreto. Entrando nel giardino ci ha catapultati nel mondo incantato dell’infanzia. Ne Il Piccolo Principe l’uma1ùtà è divisa in due gruppi da un lato i bambini e tutti coloro che posseggono lo spirito dell’infanzia; dall’altra gli adulti, coloro cioè che hanno perso la freschezza e la spontaneità del cuore. Ciò permette all’autore di presentare la satira dell’uomo moderno. Gli adulti osservano il mondo solo con gli occhi del corpo non con quelli dell’animo. Scambiano così il primo disegno di Saint-Exupéry per un volgare cappello, mentre si tratta di un boa che digerisce un elefante. La conseguenza è che essi conoscono solo il mondo materiale. E tutto questo male viene proprio dall’animo umano; vizi, errori, manie esprimono tutte le aberrazioni umane e a causa loro gli uomini si chiudono nell’egoismo, in una terribile solitudine che spegne le emozioni e limita la loro visione del mondo rendendo li infelici. Quello che manca agli adulti è l’amore. E del signor Chermisi che li rappresenta tutti il piccolo principe dice: “Non ha mai sentito l’odore di un fiore, mai osservato una stella, mai amato nessuno”. E per questo che il tema fondamentale del romanzo è l’amore. L’amore del piccolo principe per una rosa arrivata ad abbellire il suo piccolo pianeta. Lui l’ama spontaneamente, non di un amore egoista fondato sulla concezione del possesso, ma di un amore che è dono. E però troppo giovane per sapere cosa sia realmente l’amore. Allora, dispiaciuto per la sua civetteria, l’abbandona e parte alla scoperta di nuovi pianeti, di nuove realtà. Questa separazione lo fa soffrire, ma è una separazione necessaria per far crescere questo amore. Il piccolo principe immagina ingenuamente che questa rosa sia unica al mondo e quando scopre in un giardino cinquemila rose tutte uguali piange credendo il suo amore distrutto. È allora che la volpe gli insegna la profezia dell’amore. Gli spiega che per essere felici al mondo non è necessario essere l’unico esemplare di una certa specie nell’universo, l’importante è essere amati e amare.