Anno 1 | Numero 5 | Gennaio-Febbraio 1998

It is the saddest night, for I am leaving and not coming back. Tomorrow morning, when the woman I have lived with for six years has gone to work on her bicycle, and our children have been taken to the park with their ball, I will pack some things into a suitcase, slip out of my house hoping that no one will see me, and take the tube to Victor’s place. There, for an unspecified period, I will sleep on the floor in the tiny room he has kindly offered me, next to the kitchen. Each morning I will heave the thin single mattress back to the airing cupboard. I will stuff the musty duvet into a box. I will replace the cushions on the sofa.

I will not be returning to this life. I cannot. Perhaps I should leave a note to convey this information. ‘Dear Susan, I am not coming back…’ Perhaps it would be better to ring tomorrow afternoon. Or I could visit at the weekend. The details I haven’t decided. Almost certainly I will not tell her my intentions this evening or tonight. I will put it off. Why? Because words are actions and they make things happen. Once they are out you cannot put them back. Some-thing irrevocable will have been clone, and I am fearful and uncertain. As a matter of fact, I am trembling, and have been all afternoon, all day.

Ecco l’attacco dell’ultimo romanzo di Hanif Kureishi Intimacy. Il libro uscirà in Inghilterra il 4 maggio (1998 ndr) e in Italia, edito dalla Bompiani, a fine giugno. Da questo mese, invece, è possibile acquistare la versione inglese che la Faber & Faber distribuisce in anteprima nel mondo. La distribuzione in Italia è curata dalla Penguin Italia e il costo del libro è di L. 28.000.

Di seguito potete leggere due recensioni, diverse tra loro, che sono state scritte da una nuova lettrice di Kureishi, Elvira Raimondi, e da una studiosa degli scrittori inglesi, la prof.ssa Lidia Curti dell’Università Orientale di Napoli.

 

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La sera prima

Squilla il telefono e dall’altro capo una voce amica mi comunica che le bozze sono finalmente arrivate. Entusiasta e spaventata mi incammino verso questa nuova avventura: l’ultima opera di Hanif Kureishi… che rivelazione.
Li avevo osservati da lontano i suoi romanzi, con curiosità e timore, per non parlare di lui, la sua fotografia su The Blake Album: bellissimo, forse troppo.

E così una sera ho cominciato a leggere il romanzo, e via, le prime trenta pagine scivolano lisce come l’olio, uno stile lineare, semplice e affascinante, frasi che ti inducono alla riflessione.
La storia è quella di un uomo come tanti, in una grande città, in questo caso Londra. Gente che va, gente che viene, un treno della metropolitana dopo l’altro. E Jay e la sua vita, i suoi ricordi, le sue storie.

Jay e Susan, un rapporto ormai solo apparente, forse mai esistito. Si conoscono all’università vanno a vivere insieme e mettono al mondo due figli, una tipica vita familiare e l’amore che non c’è più. Stanno insieme da dieci anni, ma qualcosa non va, qualcosa si è rotto; l’intimità che lega l’una all’altro, che ti fa essere un tutt’uno, che rende naturali anche le cose più innaturali, non c’è più… Svegliarsi una mattina e scoprire che non è amore, svegliarsi e avere la mente vuota. “Cosa devo fare oggi?” pensa Jay sforzarsi per ricordare cosa fare, chi incontrare, chi dover fingere di amare. Jay non sa più da quanto tempo accade, forse da sempre, forse non ha mai amato Susan, due figli e una finzione. Jay sta per andare via, è l’ultima notte che trascorrerà a casa sua, con la sua famiglia, andrà a vivere con Victor per un po’, poi deciderà.

E i ricordi animano l’ultima notte, i ricordi e la realtà che si confondono e i fantasmi che ritornano e che forse l’accompagneranno poi…

Susan e Jay: due figli, il più piccolo tra le braccia, la sola cosa bella nata da un rapporto ormai logoro, i figli che non vorrebbe abbandonare, gli unici per i quali vale la pena restare.
Jay e Victor: il suo altro ego, colui che ha avuto il coraggio di abbandonare la sua famiglia, lasciare tutto e ricominciare d’accapo. Tanto codardo’ da declinare ogni responsabilità, tanto timoroso del matrimonio da farsene beffa, cercando però disperatamente la sola donna con cui trascorrere l’esistenza.
Jay e Asif: la sua coscienza, la sua frustrazione, la dedizione verso la moglie, i figli.

E poi infine, ma forse soprattutto Jay e Nina: scegliere qualcuno e scoprire il proprio mondo, la propria vita, permettere d’essere scelto e mostrare il proprio mondo, la propria vita.

Elvira Raimondi

 

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Nell’intimità

Hanif Kureishi non si può certo definire un inglese ‘puro sangue’ (come si suol dire) ma quando qualche anno fa è venuto all’Orientale a parlare alle studentesse e agli studenti che hanno ammirato il suo look esotico e i suoi lunghi capelli neri ha sostenuto con fermezza (e con l’orgoglio di chi si è appropriato di qualcosa) di essere proprio inglese. Kureishi fa parte di quel gruppo di scrittori con il trattino, anglo-qualcosa, che insieme a Salman Rushdie, V.S. Naipaul e altri dominano la scena letteraria inglese, anche se a differenza di questi si muove tra cultura alta e popolare, tra prosa e teatro, tra visualità e verbalità. La sua passione per la musica pop traspare dai romanzi oltre che dallo studio su di essa scritto con John Savage (The Faber Book of Pop). Di origine pachistana, Kureishi è nato e cresciuto nel sud d’Inghilterra, ha studiato in uno dei migliori colleges dell’Università di Londra, si è subito affermato come uno dei drammaturghi e cineasti più promettenti (sceneggiatore di My Beautiful Laundrette e di Sammy and Rosie Get Laid, e regista di London Kills Me), e infine ha scritto romanzi e racconti, da The Buddha of Suburbia (1990) fino a questo lntimacy.

Uno scrittore, o più semplicemente una identità con il trattino: Kureishi come moltissimi altri fa parte di coloro che hanno portato le culture periferiche dell’ex impero coloniale britannico dove non si supponeva che fossero: al centro, a casa, alla madre patria. La fine dell’impero ha lasciato questa traccia, uno strascico, sulla superficie dell’abbagliante biancore britannico: la presenza di pelli scure, acconciature rasta, turbanti, religioni, costumi, modi di vita diversi. Ciò che si era cominciato a vedere sin dagli anni cinquanta ha ora assunto una dimensione diversa: ormai si tratta dei figli e dei nipoti di quegli emigranti, spesso nati al centro ma che portano con sé tutta l’eredità della periferia, imprimendo sulla scena britannica il segno dell’ibridazione, una ibridazione che si è inserita nella cultura, nell’arte, nella letteratura ma anche nel panorama della città, trasformandolo profondamente. L’ibridità è l’argomento di tutti i ‘racconti’ di Kureishi, spesso autobiografici, e la metropoli ne è il centro. Egli ci racconta dei modi diversi di rapportarsi alla nuova cultura da parte di nonni, padri e zii (stretti tra integrazione o emarginazione) ma soprattutto dei giovani che ormai integrati sono, non nella cultura britannica ma in questa nuova ibridità presente dappertutto, una ibridità che reinventa la realtà, riscrive la storia, riformula il centro. Ormai non si appartiene più né al centro né alla periferia (anche la cultura di origine si è trasformata e viene ri-immaginata) anche se talvolta si è travolti e coinvolti dai drammi della generazione precedente, come in My Beautiful Laundrette e in The Buddha of Suburbia. Ma Kureishi ha provato anche a rovesciare la prospettiva, e in Mio figlio il fanatico (in La questione postcoloniale. Cieli comuni, Orizzonti divisi, a cura di I. Chambers e L. Curti, Napoli, Liguori, 1997) ha raccontato, con ironia, di un padre emigrato, tassista a Londra da una vita e perfettamente integrato nella cultura acquisita, che si ritrova smarrito di fronte all’ostilità e alla ribellione ‘integralista’ del figlio che ritorna alla religione islamica e con zelo moralista condanna il padre corrotto dalla civiltà occidentale.

Intimacy sembra diverso; i drammi del contrasto tra le due culture sembrano lontani come sono lontani gli anni novanta dai sessanta che erano al centro di The Buddha of Suburbia; il protagonista Jay immerso e allo stesso tempo distaccato dalla famiglia acquisita (sì, gli antecedenti sono spariti), poiché tutto il racconto si svolge sulla soglia di una situazione, nell’ambiguità (questa sì, c’è sempre e ancora) dì stare nella famiglia e di non esserci allo stesso tempo; diviso tra la forza destabilizzante del desiderio (di libertà, di invenzione, di individualismo, di sesso e dei corpi delle donne “che sono il centro di qualunque cosa per cui valga la pena vivere”) e l’attrazione dell’intimità, dell’amore che pure alla fine sono impossibili.

Il libro si apre sull’ultima notte che il protagonista Jay passa in famiglia, dopo aver deciso di lasciare la moglie e i suoi due figli (quanti ne ha lo scrittore, solo che i suoi sono gemelli), una notte di ricordi, di raffronti e riflessioni che Jay fa tra sé e sé o con i due amici: l’uno Victor che vive ai margini della società, in una solitudine voluta e mal sopportata (con lui Jay intende vivere, dormendo su una stuoia su un pavimento umido e pieno di polvere); l’altro Asif, fedele alla sua famiglia (nel suo caso tutta asiatica) e ben consapevole dei suoi doveri nei confronti dei figli. Due poli con i quali Jay non smette mai di dialogare e che sono gli emblemi della sua divisione tra lo stare e l’andare, tra la solitudine e la vita in comune (non a caso sono il primo occidentale e il secondo no, i conflitti tra le due culture dopotutto non sono del tutto sepolti). Forse questo è veramente solo il romanzo della necessità e allo stesso tempo della impossibilità di vivere con un’altra persona (e il fatto che sua moglie Susan sia probabilmente bianca non sembra avere importanza), e certamente è fortemente influenzato dalla tenerezza appena scoperta dell’esser padre (a tratti le scene del bagno dei bambini, dei loro giochi e grida, si direbbero scene di un interno borghese), ma lo humor dissacrante è lo stesso, i dettagli irriverenti ed estremamente osé, le osservazioni sarcastiche e dissacranti seguono i momenti di commozione e di intensa sentimentalità. Come sempre Kureishi non ha paura di guardare al banale ma con sguardo alienante e straniante, ancora una volta tra due modi, tra due mondi. E interessante il dettaglio autoironico che descrive Jay come uno che per mestiere ‘traduce la letteratura in pappa’ (letteralmente qui Kureishi stava descrivendo il suo mestiere di sceneggiatore), con riferimento al doppio statuto in cui si muove l’arte di Kureishi, tra alto e basso, tra teatro cinema, musica e narrativa, tra letteratura seria e faceta, tra due culture.

Lidia Curti

 

Hanif Kureishi è nato a Londra da padre pakistano e madre inglese. È romanziere, drammaturgo, sceneggiatore (e per una volta anche regista: London kills me, 1991). Ha scritto le sceneggiature per i film di Stephen Frears My Beautiful Laundrette (1985) e Sammy e Rosie vanno a letto (1987) e per The Mother (2003) e Venus (2006) di Roger Mitchell; il romanzo Il Budda delle periferie (1990) è divenuto uno sceneggiato televisivo per la BBC, e dalla raccolta di racconti Love in a blue time (Bompiani, 1996) è stato tratto il soggetto del film Mio figlio il fanatico diretto da Udayan Prasad; dal romanzo Nell’intimità (Bompiani, 2000) Patrice Chéreau ha tratto il film vincitore al Festival di Berlino 2001, Intimacy.
Bompiani ha pubblicato inoltre Il dono di Gabriel (2002), Il corpo (2003), Il mio orecchio sul suo cuore (2004), gli interventi politici Otto braccia per abbracciarti (2002) e La parola e la bomba (2006), i romanzi Ho qualcosa da dirti (2008), L’ultima parola (2013) raccolte di racconti come Il declino dell’Occidente (2010), Tutti i racconti (2011), Un furto (2015).
Fonte: ibs.it

In libreria

Hanif Kureishi
Nell’intimità
Bompiani, 2000
Collana: I grandi tascabili

108 p., brossura
€ 9,00

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Di Hanif Kureishi abbiamo già scritto qui.