La vita davanti a sé è un libro che amo moltissimo; mi fu consigliato anni fa da una donna e da allora mi capita spesso di regalarlo ad altre donne. L’ultima volta che l’ho fatto ho scoperto che la mia amica ne teneva già due copie in casa, una per sé e un’altra, per l’appunto, da regalare. Ovviamente ne abbiamo riso, ma mi ha colpito come per me questo libro rappresenti un po’ una cartina di tornasole: se apprezzo molto un’amica è quasi certo che lei ama o amerà il romanzo di Romain Gary.

Come ho già detto l’ho scoperto anni fa, e da allora non l’ho mai riletto, a parte qualche brano qua e là; inoltre non mi considero una lettrice sofisticata, nel senso che per me i criteri di valutazione sono abbastanza semplici: perché io consideri un libro bello deve rendermi momentaneamente dipendente, tipo che non vedi l’ora di tornare a casa per riprenderlo in mano (se non te lo sei portato dietro), e deve farmi tornare con il pensiero alle sue pagine, tanto da desiderare quasi non averlo ancora letto per poter rigustare “la prima volta”.

La mia sarà quindi la recensione di una semplice lettrice senza superpoteri che avendo letto il romanzo di Roman Gary molto tempo fa, ha deciso di scriverne basandosi unicamente su quello che il libro ha scritto dentro di lei.

Prima di tutto la storia è ambientata a Parigi, la Mia città, quella dove sempre mi sento leggera; ci ritrovo nomi e luoghi che mi risuonano dentro.

Seconda cosa Momo, il protagonista, è un bambino, un misto tra Gavroche, il monello dei Miserabili (altro libro che ho amato moltissimo), e uno dei tanti orfani di Dickens.

Io amo i bambini, sono stata bambina, ne ho avuti due e gran parte della mia vita lavorativa si è svolta con i bambini. Non ho di loro la visione zuccherosa di piccoli adulti pestiferi ma in fondo  così “carini”, bensì li considero anime incarnate in un corpo e in una personalità che deve fare ancora esperienza. Questo fa sì che li veda spesso molto saggi, ma altrettanto spesso capaci di soffrire profondamente e anche di recare sofferenza. I bambini sono le antenne dello stato di salute del mondo adulto: se stanno male loro noi abbiamo molto da preoccuparci. E Momo non fa eccezione: saggio, profondo, libero, superficiale, opportunista come solo i bambini sanno essere vive in un mondo di adulti e bambini la cui vita si è nutrita di sofferenza e fatica, fino a renderli profondamente e dolorosamente umani.

Momo è orfano, e cresce in uno mondo strampalato, tra vecchie prostitute ebree segnate dall’olocausto e trans, tra povertà e miseria, insicurezza e paura, tutte cose che un bambino non dovrebbe conoscere.

Eppure.

Eppure tutto questo grigiore viene illuminato dall’ingenuità, dall’umorismo, dalla profondità e dalla gioia di vivere di Momo. Il suo occhio stupito e attento osserva, e cerca di dare un senso e una collocazione dentro di sé a ciò che vive, nutrito dall’amore di Madame Rosa e di Madame Lola.

Madame Lola è un trans ex boxeur senegalese che trasuda amore materno, ed è il personaggio che forse ho amato di più. Momo ne parla così:

“Madame Lola è di carattere allegro perché in questo senso è stata benedetta dal sole africano ed era un piacere vederla seduta là, a gambe incrociate, sul letto, vestita con grandissima eleganza. Madame Lola è bellissima per essere un uomo, a parte la voce che è quella di quando era campione di boxe dei pesi massimi, e non poteva farci niente perché le voci sono in rapporto coi coglioni ed era la grande tristezza della sua vita.”

Trovo bellissima la naturalezza con cui Momo vede la realtà per quello che è, senza giudicarla, addolcendola solo sempre un poco quando sente che c’è amore. Perché è questo il filo conduttore della storia, il filo che tiene Momo in vita e che lui non smette di seguire: l’amore, quello vero, supera i legami di sangue, ed è davvero l’unico nutrimento per attraversare i nostri deserti interiori e non, l’unica luce che può sempre indicarci una vita e ricordarci che alla fine, se non siamo qui per aiutarci l’uno con l’altro, cos’altro ci siamo venuti a fare?

E infine mi ha fatto tanto ridere, e io trovo meravigliosa la capacità di noi umani di ridere e piangere nello stesso momento.

Come disse dice Frida Kahlo: “Ridere ci ha rese invincibili. Non come coloro che vincono sempre, ma come coloro che non si arrendono”. E da questo libro esci con la sensazione che la vita non si arrende mai.

Monica Regnoli