Anno 1 | Numero 2 | Ottobre 1997

Già colgono i neri fiori dell’Ade

i fiori ghiacciati viscidi di brina

le tue mani lente che l’ombra persuade

e il silenzio trascina.

 

Decade sui fiochi prati d’eliso

sui prati appannati torpidi di bruma

il colchico struggente più che il tuo sorriso

che la febbre consuma.

 

Nel vento il tuo corpo raggia infingardo

tra vetri squillanti stella solitaria

e il tuo passo roco non è più che il ritardo

delle rose nell’aria.

(Già colgono i neri fiori dell’Ade, in Avvento notturno, 1940)

 

I pontili deserti scavalcano le ondate,

anche il lupo di mare si fa cupo.

Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,

tengo desta la stanza in cui mi trovo

all’oscuro di te e dei tuoi cari.

 

La brigata dispersa si raccoglie,

si conta dopo queste mareggiate.

Tu dove vai? ti spero in qualche porto…

L’uomo del faro esce con la barca,

scruta, perlustra, va verso l’aperto.

Il tempo·e il mare hanno di queste pause.

(Sulla riva, in Onore del vero, 1957)

 

C’era, si, c’era – ma come ritrovarlo

quello spirito nella lingua

quel fuoco nella materia.

Chi elimina la melma, chi cancella la contumelia?

Sepolto nelle rocce,

rocce dentro montagne

di buio e grevità –

così quasi si estingue,

così cova l’incendio

l’immemorabile evangelio…

(da Dizione, in Per il Battesimo dei nostri frammenti, 1985)

 

Non tutto, molto

però, anima, materia,

si riprende

il tempo nella sua fucina, a nuove

necessitudini lo lima.

Qualcosa nondimeno

rimane a se medesimo,

non muore, non declina…

si eppure a quale fine – anela

il grande anelito –

se in altro non tracima?

Oh lo farà,

niente, solo l’inferno

è al bando del mutamento,

murato nell’immobilità.

Niente, questo lo sa.

(da Estudiant II peregrinazioni, memorie, in Viaggio terrestre e celeste di S. Martini, 1994)

 

Mario Luzi nasce a Castello (Firenze) il 20 ottobre del 1914. Dopo essere entrato in contatto con molti intellettuali di primo piano del tempo (Montale, Gadda, Landolfi, Gatto e altri del “Giubbe Rosse”) nel 1935, anno che precede la laurea in letteratura francese (con una tesi su Mauriac), esce, edito da Guanda, il suo primo volume in versi dal titolo La barca, cui faranno seguito, nel 1940, Avvento notturno, nel 1946 Un brindisi e Quaderno gotico nel 1947. La poesia di questo “primo” Luzi è una poesia ermeticamente intesa come mezzo ideale di separatezza dalla realtà contingente così come dalla storia, è una poesia che è insieme barlume e cifra, strumento indagatore dell’essenza trascendente del mondo e trascendenza essa stessa. È, ancora, una poesia che sa di strenuo preziosismo formale, di orfismo araldico (si veda a tal proposito la particolare ode saffica di Già colgono i neri fiori dell’Ade qui riportata), chiusa, “lapidea e quasi parnassiana” (Contini) fitta di latinismi e sontuosa persino nei titoli (Avorio, Saxa, Allure…) e che troverà una sua maggior “distensione” e compartecipazione soltanto con l’inizio degli anni cinquanta. Con Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957), Nel magma (1963) e Dal fondo delle campagne (1965) la lirica di Luzi, infatti, approfondisce la tematica dell’eterna “oscillazione fra divenire ed essere, mutamento e identità, tempo ed eternità” (fissità nel movimento; immobilità del mutamento) sviluppandosi “a referto del transito” (Mengaldo) come infallibilmente rileva il ricorrentissimo tra, “diluendosi” in versi che diventano essi stessi immagine ritmica del movimento. E, con il movimento, nei versi di Luzi fa la sua apparizione anche la vita, la terra “quel profondo soffio tellurico che è la persuasione fi sica e insieme la vertigine dell’esistenza” (Luzi) (si veda, ad esempio, l’ammorbidimento del tono in Notizie a Giuseppina dopo tanti anni). L’endecasillabo, pur non perdendo in eleganza, ora acquista in pateticità, mentre la natura rimane uno sfondo immobile, percorso quasi esclusivamente dal vento, cornice ricolma di pause (il fiume scorre, la campagna varia; Il tempo e il mare hanno di queste pause). Pur mantenendo, e come ci ricorda Contini, un lessico di “nobile estrazione saggistica” Luzi riuscirà ora ad integrare meglio l’indiscriminato della vita assumendo toni più vicini alla prosa e dilatando le proprie strutture formali, delineando, nel contempo, alcune delle “figure” che saranno poi tipiche della poesia più tarda come quella della fiamma e dell’ardore (conoscenza per ardore).

L’attenzione del poeta nelle opere successive (Su fondamenta invisibili, 1971; Al fuoco della controversia, 1978; Per il battesimo dei nostri frammenti, 1985; Frasi e incisi di un canto salutare, 1990; Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, 1994) si concentra infatti sul tema della metamorfosi (e intanto / siamo continuamente altri, / continuamente tramutiamo noi, / i testimoni, noi gli attanti) così esplicitamente rappresentata dall’immagine della fiamma che brucia e trasforma (il fuoco ilare, il fuoco elementare della creazione incessante), immagine, tra l’altro, cara anche agli altri “orfici” della tradizione italiana ai quali Luzi non smette di guardare: Onofri e Campana sopra tutti. Un fuoco che, bruciando, rivelerà l’essenza intemporale del mondo e che non dimenticherà di mettere a dura prova anche la lingua stessa (si noti la svolta in formale, la “rapsodica frammentarietà” – M. Santagostini – della scrittura dell’ultimo Luzi), dove le cose andranno avanti sopravvanzando il loro nome, in un mondo rovesciato; separate / ciascuna / dal suo nome / da esso fasciate / da esso dimenticate. Avanza, perciò, da questo incendio> che a volte sembra tendere al’“assoluto”, “il cuore” (l’umano non si arrende), l’essenza pura, il ricordo (Ricordo senza limiti, ricordo senza corpi né ombre), la possibilità della memoria, il tempo dell’attimo assoluto, del passato e del futuro (il passato e il futuro vi coincidono, / l’un nell’altro si cancellano, / il presente è eterno), in altre parole il tempo della poesia, il tempo della lingua della poesia [ … ] il tempo in cui si incidono senza tempo le cose che sono sempre accadute e che sono sempre eventuali e accadibili.

Cristiano Dal Pozzo

Forse si può fare l’ipotesi che il tempo della poesia, che il tempo della lingua, è un tempo in cui si incidono senza tempo le cose che sono sempre accadute e che sono sempre eventuali e accadibili.

Il libro nel 1997

Mario Luzi
TUTTE LE POESIE
Garzanti, 1996
L. 30.000

Oggi in libreria

Mario Luzi
Le Poesie
Garzanti Libri, 2014
Collana: I grandi libri
2 vol., 1244 p., brossura
€ 30,00

Compra il libro su Amazon

 

Tutto su Mario Luzi

http://www.treccani.it/enciclopedia/mario-luzi/