Anno 1 | Numero 7 | Aprile 1998

Llorenç Villalonga (Palma di Maiorca, 1887-1980) non è di sicuro un nome familiare ai lettori italiani. E chi volesse saperne qualcosa in più, non perda il suo tempo consultando qualcuna delle tante enciclopedie specialistiche che promettono di contemplare «gli autori di ogni tempo»: Villalonga non figura. Eppure lo scrittore maiorchino è autore di tutto rispetto, eccellente e raffinato prosista, dotato di una misurata ma mordace vena ironica, creatore di grandi figure letterarie. Il problema è però che Villalonga è un grande autore che appartiene a una cultura minoritaria, scritta in una lingua minoritaria e pertanto, come tutta la letteratura catalana, con ridottissime possibilità di circolazione se non tra gli addetti ai lavori.

Il primo romanzo di Villalonga è Mort de dama, pubblicato nel 1931 da una piccola casa editrice maiorchina ed oggi finalmente proposto al pubblico italiano da Sellerio, con una illuminante introduzione di Giuseppe Grilli. A suo tempo, nel 1931, il libro non ebbe vita facile, giacché rimase ignoto ai catalani fino alla seconda edizione del 1954. Morte di Dama aveva infatti avuto una circolazione limitata al solo territorio isolano e quando una casa editrice di Barcellona aveva deciso di farne un’edizione, erano arrivati la Guerra Civile e il franchismo. La politica franchista di «rispagnolizzazione» culturale dei territori di lingua catalana, fu un duro colpo per la cultura dei Paesi catalani: molti intellettuali e scrittori furono costretti all’esilio e fino quasi agli anni Cinquanta la letteratura catalana fu clandestina e inesistente a livello pubblico. Dopo la battuta d’arresto, pian piano e con grandi sforzi, da quella situazione di sopravvivenza agonizzante si ricominciò a lavorare per la continuità, per la ricostruzione, sia in patria che fuori, dove gli esiliati continuarono la loro attività in catalano, cercando di non perdere mai il contatto con gli scrittori rimasti in patria. Quando finalmente Morte di Dama riuscì ad avere la sua edizione barcellonese del 1954, l’accoglienza del pubblico fu alquanto fredda. In pratica Villalonga rimase sconosciuto ai più fino agli anni Sessanta. Difatti è con Bearn o la sala de les nines, che Villalonga viene «scoperto» ed è quindi a partire da allora che ne viene rivalutata tutta l’opera precedente.

Di Morte di Dama si è detto che è quasi un romanzo «esperpentico» e in effetti il ritratto della decrepita ma non per questo meno snob aristocrazia maiorchina che Villalonga tratteggia per certi versi ricorda la medesima prospettiva dalla quale Ramón del Valle Inclán guardava alla realtà nei suoi esperpentos. Come se le immagini del mondo fossero rimandate da uno specchio concavo, i personaggi, che sembrano usciti da un ballo in maschera, si muovono in una realtà decadente. Villalonga, che era lui stesso un aristocratico, ritrae impietosamente, sebbene a volte tra le righe si possa cogliere una sottilissima venatura malinconica, la sua stessa classe. Ma è soprattutto nella creazione dei personaggi che lo scrittore maiorchino dà prova di straordinaria abilità. Obdúlia Montcada, la dama moribonda, è una figura letteraria indimenticabile e se avesse avuto maggior fortuna, avrebbe forse potuto generare, al pari, mettiamo, di Madame Bovary capostipite del bovarismo, l’«obdulismo». Attorno al capezzale di donna Obdúlia che «a ottantaquattro anni conservava la stessa intelligenza lucida e scarsissima dei venticinque», va prendendo corpo un paesaggio umano e sociale ritratto con ironia intelligente, ironia che l’autore non si risparmia nemmeno nei confronti di se stesso, come quando nell’Introduzione dice (Dhey era lo pseudonimo con il quale il primo Villalonga firmava i suoi interventi sulla stampa).

Ma come sarà venuto in mente a Dhey l’estro di comporre un romanzo con queste persone tanto sprovviste di vitalità? Dhey assomiglia abbastanza agli esseri che ritrae: né drammatismi né gesti trasmodati. Le piccole cose valgono quanto le grandi. Con leggerezza, senza riporvi troppa fede, perché non ne vale la pena, Dhey ha voluto annotare alla luce soave dell’umorismo, alcuni minimi motivi di vivere…

Indimenticabili sono anche i cenacoli e le riviste letterarie dell’isola, che quasi sempre partono da commenti sul personaggio Aina Cohen, «la squisita poetessa», brillante esponente del regionalismo maiorchino, e sui suoi incredibili componimenti.

La galleria di «personas interesantes» non si limita ovviamente solo ai personaggi ai quali si è alluso. Villalonga dà avvio con questo romanzo, per poi proseguire nelle successive opere, alla creazione personale, ma universalmente significativa, di figure che restano creazioni immortali. Al lettore lasciamo il gusto di andare a curiosare tra le pagine di Morte di Dama per scoprire da solo le altre memorabili figure della fauna di uno dei grandi scrittori del Novecento catalano.

Donatella Siviero

 

Il libro nel 1998

Llorenç Villalonga
MORTE DI DAMA
Sellerio, 1997, pp. 138
L. 24.000
Traduzione di Nancy De Benedetto

In libreria

Llorenç Villalonga
Morte di dama
Sellerio, 1997  Collana: Il castello
A cura di G. Grilli
Traduzione di N. De Benedetto
144 p., brossura
€ 12,39

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