Anno 1 | Numero 3 | Novembre 1997

La Guerra Civile spagnola è cominciata da appena un mese e mezzo quando Matia è costretta nel silenzio in quell’angolo di isola, in quel punto sperduto nel mondo che era la casa della nonna.

Ana Maria Matute scrive questo romanzo in anni in cui la censura spagnola non consentiva di dissentire e criticare apertamente il regime franchista, per cui la storia privata e interiore della giovane protagonista potrebbe essere allegoricamente letta come quella, più generale, di un popolo che ha subito l’atroce scempio della lotta civile. Così, l’ambientazione storica e fatti reali della guerra rimangono sullo sfondo delle parole, tra le calde sfumature con cui l’autrice colora accuratamente i ricordi di questa lacerante Prima memoria (Sellerio) che è calda come l’intensità del colore dell’uva e del vino.

L’adolescente Matia vive l’esperienza della guerra in un luogo fuori dal mondo, dove non si vede nessuna traccia di quell’orrore che conosce solo attraverso le parole della governante. Sotto la tutela di un’aristocratica e decadente nonna, rigida con il suo tonante bastone, Matia e il cugino Borja, il male contaminante, vivono – a causa della guerra – una vacanza prolungata in una casa dagli odori della muffa, del legno e della salsedine; circondati dall’azzurro del mare e, soprattutto, dal silenzio. Così questa ragazzina dalla pelle bruciata dal sole, dai capelli scuri, color vino, un po’ troppo alta e magra per la sua età, vive ingenua la parte più importante della sua crisi adolescenziale: quasi un percorso di iniziazione al male e alla perdita dell’innocenza.

Matia, una mocciosa ribelle, si confonde facilmente tra le bande dei ragazzi e fra le cattiverie innocenti ma laceranti dalle quali si lasciano trascinare. Sotto i raggi di quel sole caldo e rosso, cade, inesorabile e costante, l’ombra del male, il buio. Tutte le sere Antonia le fa il bagno in una vecchia e scrostata vasca e, in quella strana toeletta, ogni volta Matia si sente incorporea, riflessa sui vapori che appannano lo specchio, e sente che quell’immagine – la sua – con lo sguardo spaventato è l’immagine stessa della solitudine. Ma ha pur sempre il suo pupazzo Negro Gorogò, e lui serve per viaggiare su altri mondi, su altri mari, e per raccontargli le ingiustizie: per lui Matia disegna la città sui margini dei quaderni, con lui osserva l’atlante nell’angolo oscuro del suo armadio.

Le giornate di Matia trascorrono tra bugie, tra piccole e grandi ribellioni avanzate dietro il fuoco di qualche sigaretta rubata, tra le odiate lezioni private del “cinese” e quel maledetto latino. Il suo reale problema appare essere quello di disubbidire alla nonna e ubbidire a Gorja, in realtà è solo una delle chiavi con cui può essere interpretata la sua profonda crisi interiore. Vittima di un clima familiare snervato e perturbante e di un padre distaccato che dopo la vedovanza l’ha abbandonata nelle mani di una vecchia serva, ora in quell’ambiente – così irreale e ostile – nella percezione di una guerra invisibile ma presente nelle lacerazioni interne dei vari personaggi – Matia è una bambina che ha scordato di mettere nel suo bagaglio il teatrino di cartone e ora non ha sogni,’ né favole e ha paura perché si sente completamente sola, alla ricerca di qualche cosa che non conosce, così disarmata e ignorante, in quel vasto mondo di incertezze, di dubbi e di guerra, condizionata e dipendente dalla figura del cugino Borja. Gagliardo e con un’assoluta mancanza di pietà, quest’ultimo appare un personaggio totalmente assorbito nel rappresentare una violenza e un male paralleli a quelli della guerra che, lì sull’isola, appare un po’ come una cosa strana. La guerra però – osserva Matia – si riflette, come fosse un brutto male, nella terra, nella mente delle persone e si manifesta in atteggiamenti di calma, di silenzio, di attese lunghe ed esasperanti. In quest’atmosfera tutti sono immersi come fossero pieni di una lenta e insidiosa inquietudine, pronta a saltar fuori in qualunque momento. Poi, a un certo punto avviene in Matia una sorta di iniziazione a una presa di coscienza: la realtà è un’altra, una che non conosce ma che appare brutta e fa paura. Che probabilmente richiede scelte molto più dure di quelle a cui lei è sottoposta. Lei, Matia che sta diventando donna, che deve crescere. Attraverso sensazioni di vergogna, come se si aprisse in lei una strada dell’espiazione di lontane colpe che non capisce ma che l’opprimono, Matia combatte per riscattare un male atavico, che ha sentito sin troppo bene annidarsi dentro di lei e che ora si ribella: “mi accorsi che le labbra mi tremavano mentre dicevo qualcosa che non avevo pensato fino a quel momento […] qualcosa di confuso come l’incerto desiderio di giustizia che si andava impadronendo della mia coscienza.”

Paola Mazza

“Sarà vero che da bambini viviamo la vita tutt’intera, d’un sorso, per poi ripeterci stupidamente, ciecamente, senz’alcun senso?”

La bio nel 1997

Ana Maria Matute nasce nel 1926 a Barcellona, dove tutt’ora risiede e occupa una posizione preminente all’interno della letteratura spagnola del Novecento. Di recente pubblicazione è il lungo romanzo Olvidado rey Gudù.

 

Biografia del 2017

(Barcellona 1925 – Barcellona 2014) scrittrice spagnola. Talento precoce, a sedici anni pubblica i primi racconti, seguiti dal romanzo Gli Abeli (Las Abel, 1948). La sua narrativa rivela una viva e ricca capacità immaginativa, che l’ha imposta come una delle maggiori narratrici del Novecento. Nelle opere Festa a Nordovest (Fiesta al Nordeste, 1953); Prima memoria (Primera memoria, 1959); L’inganno (La trampa, 1969, nt); Cavaliere senza ritorno (La torre vigía, 1971, nt) lascia ampio spazio alla descrizione dell’adolescenza, in un’atmosfera tra favola e mistero e con una controllata ricerca stilistica. La stessa cifra stilistica caratterizza anche i racconti di La vergine di Antiochia (La virgen de Antioquía, nt) e Il quaderno dei conti (Cuaderno para cuentas, 1996, nt). Dopo la fine della dittatura franchista si è dedicata in particolar modo alla narrativa per ragazzi e fantasy: Solo un piede scalzo (Sólo un pie descalzo, 1984, nt), Dimenticato re Gudú (Olvidado rey Gudú, 1986), opera monumentale cui ha lavorato per un ventennio, del genere fantasy, cui appartiene anche Aranmanoth (2000, nt).
La casa editrice Sellerio ha pubblicato Prima memoria (1997), Cavaliere senza ritorno (1999) e Piccolo Teatro (2003).

 

Il libro Prima memoria attualmente è fuori catalogo