Anno 1 | Numero 6 | Marzo 1998

Yoshino è la culla del Giappone, il luogo più denso di riferimenti storici. È uno dei più belli: pare che i ciliegi più affascinanti siano proprio quelli di Yoshino, specie in primavera, quando i colori sono limpidi e il cielo terso. Tanizaki Jun’ichiro è un edokko, figlio di Edo, cioè della vecchia Tokio. Ma a Yoshino i ciliegi in fiore hanno tutto un altro fascino.

“Ammirare i ciliegi in fiore a Tokio in fin dei conti vuol dire solo starsene in una sala da tè dietro a una tendina di bambù, a gustare focaccine al miglio, tuberi arrostiti, uova sode, e a bere sake Masamune in bottiglia… Non c’è fantasia nei fiori di Tokio. Ma quando mi recai a vedere i ciliegi del Kansai ebbi netta la sensazione che avrei potuto imbattermi da un momento all’altro nel fantasma di Wakaba no Naishi o di Shizuka, e talvolta mi sembrava di essermi trasformato in una volpe oppure in Gonta mentre mi aggiravo come in sogno attratto dal suono di un tamburo o di un flauto”.

Eppure Tanizaki non sceglie la primavera come stagione in cui ambientare Yoshino kuzu (Marsilio), prediligendo, invece, l’autunno, la stagione della penombra, del richiamo a presenze lontane. I due protagonisti del racconto fanno un viaggio alla ricerca del passato, di un passato rimasto nell’ombra, da riscoprire.

L’io narrante è uno scrittore che si muove alla ricerca di tracce utili per scrivere un romanzo storico; il suo compagno di viaggio va a Yoshino per ritrovare una donna appena intravista una volta, ma molto simile a sua madre, o meglio all’idea che lui se ne è fatto. È centrale il tema del rapporto con una madre mai conosciuta, dell’angoscia di questa mancanza, dell’ossessiva ricerca della figura materna in altre donne. Ed è un tema che si intreccia fortemente col riferimento al mito nipponico del Lamento della Volpe. Tanizaki è fortemente legato alle tradizioni giapponesi, le ripercorre con grande minuzia, quasi con meticolosità. C’è un che di singolare nella prosa di questo scrittore: il soffermarsi sui particolari in modo parossistico, l’elencare una serie di nomi, di date, di luoghi produce un effetto di grande fascino. La fitta trama di riferimenti avvolge il lettore in un mondo punteggiato di eroi e miti, lo catapulta in una dimensione di per sé poetica. Non si può leggere Yoshino kuzu se non si è attratti dalla cultura giapponese, se ne rimarrebbe addirittura infastiditi.

Adriana Boscaro, docente di Letteratura Giapponese, che ha curato l’edizione italiana del libro per i tipi della Marsilio, agevola il compito di chi legge inserendo, in appendice, un glossario di termini giapponesi e presentando le usanze locali e gli oggetti tipici. Così il lettore può apprendere la ricetta del sushi, riso condito con aceto e servito con del pesce crudo, può imparare a conoscere i vari tipi di koto, uno strumento musicale a corde che riveste un’importanza centrale nella storia raccontata da Tanizaki. Importanza simbolica, e paragonabile a quella dei cachi zukushi, che colpiscono per la superficie di corallo, per il rosso splendente alla luce del sole e per il fresco nettare che ne fuoriesce e che al poeta sembra la materializzazione dello splendore della montagna.

Ma Yoshino kuzu non è un racconto che si legge tutto d’un fiato. Tante le cose da sapere per capire, tanti anche i diversi piani di lettura. Una trama esile ed appena abbozzata nasconde temi universali e potenti, in grado di emozionare e commuovere. “Alla nascita della madre, questo villaggio montano senza età aveva dovuto senza dubbio offrire la stessa tranquilla scena che si apriva davanti a lui in quel momento. Anche quarant’anni fa i giorni farse trascorrevano proprio nello stesso modo di adesso. Si sentiva a un passo dal passato. Se avesse chiuso gli occhi per un istante, a riaprirli avrebbe visto sua madre giocare con altre bambine al di là di una vicina staccionata in bambù.”

Nato in un’annata calda, quasi senza precedenti, quella del 1886, Tanizaki è uno degli scrittori giapponesi più tradotti in italiano, e uno dei più efficaci interpreti delle tradizioni del suo paese. Eppure, in piena seconda guerra mondiale, il suo Neve sottile viene colpito da censura per l’indifferenza dimostrata verso l’impresa bellica, attraverso la descrizione di un mondo solo privato. Tanizaki è uno scrittore del Novecento, ma non fa alcun riferimento al suo secolo, ai rivolgimenti che esso ha portato. I suoi temi sono universali, la ricerca del bello senza tempo.

Roberto Tucci

“Se qualcuno dovesse chiedermi qual è il colore dell’autunno a Yoshino, credo che porterei con me qualche “zukushi” da mostrare.”

Jun’ichirō Tanizaki ( 谷崎 潤一郎 Tanizaki Jun’ichirō; Tokyo, 24 luglio 1886 – Atami, 30 luglio 1965) è stato uno scrittore giapponese. Ritenuto uno dei maggiori autori dell’epoca, è noto per i suoi racconti e romanzi incentrati sul tema della bellezza femminile legata ad ossessioni erotiche distruttive. Nel 1964, l’anno prima della sua morte, fu nominato per il premio Nobel per la Letteratura. Diversi suoi racconti hanno ricevuto un adattamento cinematografico: in Italia, Tinto Brass ha realizzato nel 1983 La Chiave (Kagi, 1959) e Liliana Cavani, due anni dopo, Interno Berlinese (Maji, La croce buddista, 1928-30).

 

In libreria

Jun’ichirō Tanizaki
Yoshino
Marsilio, 2006

Collana: Letteratura universale. Mille gru
140 p., brossura
€ 10,00

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