Anno 1 | Numero 9 | Giugno 1998

“O” è il simbolo ancipite della pienezza e della nullità, del vuoto e della concretezza, del raggiungimento e della dispersione. Qui non si limita a alludere alla deliberata nullificazione della protagonista, ma descrive altresì, come un mandala divinatorio, il percorso iniziatico che ella sta per compiere, il configurarsi geometrico del suo destino. Storia di O (1954) non ha solo un inizio, ma due incipit alternativi, simultanei, che descrivono le differenti modalità d’ingresso delle iniziande nel castello-prigione di Roissy. Potrebbe apparire un puro vezzo stilistico, un artificio retorico, ma a tendere bene l’orecchio ci viene suggerito qualcosa di fondamentale: questa storia non si svolge una volta sola; non è un “ductus” lineare, una parabola, ma un “continuum” circolare e senza soluzione. L’unica divaricazione temporale che riusciamo a registrare è quella fra il “prima” e il “dopo” Roissy. Ma le ragazze del castello, ivi prigioniere per volontà dei propri amanti, hanno sperimentato all’uscita già tutta l’abiezione possibile, il loro sacrificio è completo prima del tempo. Quello che accadrà dopo, nel mondo “secolare”, ha il vago sentore di reiterazione liturgica, gli stessi atti e le stesse formule officiate in maniera ossessiva da sacerdoti ogni volta diversi. Chi sia, poi, il vero tributario di tutta questa devozione sacrificale, è destinato a restare un mistero. Gli stessi amanti-aguzzini di O, René e Sir Stephen, ci vengono consegnati come figure sbiadite, più impersonali e astratte della stessa protagonista. Che ci sia l’uno o l’altro dei due ad amministrare il culto, tra il tinnire delle manette e lo schioccare della frusta, per lei (per noi) non fa alcuna differenza. L’apoteosi conclusiva all’aperto non toglie e non aggiunge: vi si respira un’atmosfera greve di sospensione e di attesa, di inquietudine, di macerante incertezza. Come le antiche “stringes” nei baccanali di Holda e Diana, cui s’ispirarono i Sabba stregoneschi del Medioevo, O indossa una maschera da uccello notturno; reca il marchio del proprio amante impresso a fuoco sulla pelle, un gancio di ferro collegato a una catena le trapassa la carne del pube. Mentre una torma di uomini la possiede in asserto silenzio, la notte muore e imperversa l’aurora.

L’analogia con l’erotismo sadiano, imposta dalla tradizione esegetica e richiamata nella quarta di copertina dell’edizione italiana, è impropria e fuorviante; per certi versi, anzi, ne siamo addirittura agli antipodi: le peripezie della piccola comunità di Sodoma avvengono tutte all’interno del tenebroso castello del Bourbonnais, quando lo spazio esterno implode e si contrae; la storia di O si snoda dentro e fuori Roissy, in qualunque segmento del tempo e dello spazio. De Sade è cultore ad oltranza del procedere enciclopedico, un forsennato edonista del sapere e dell’elencazione. L’equazione erotismo-molteplicità, erotismo-fantasia è il suo vero punto di forza. Le sue storie hanno un andamento “verticale”, incalzante, come una danza orgiastica o uno spettacolo pirotecnico.

L’autrice, Pauline Réage, aggredisce l’essenza dell’erotismo da un altro versante: quello del binomio con la gratuità, con il dono incondizionato di sé. Un pudore ideologico di matrice calvinista, se non addirittura vedica, brahmanica, intride di sé, connota ogni episodio del romanzo, imponendo allo stesso una scansione ciclica e ricordandoci in ogni momento che il fine ultimo dell’azione erotica non è il perseguimento del piacere, ma l’azione fine a se stessa, che si contempla in uno specchio magico. Il suo è un erotismo “mistico”, o “misticheggiante”: postula la presenza di un “terzo occhio” che il divino Marchese ignora, o preferisce non incontrare. Ed è unicamente al “terzo occhio” del lettore, a questa presenza (secondo la sola possibile lettura immanentista) che l’oblazione sacrificale può essere indirizzata. Dietro lo specchio in trepido e perenne agguato, stanno l’usura, il baratto, il mercimonio e la pornografia.

Emiliano D’Angelo

“Benedetta notte simile alla sua notte: mai O l’aveva accolta con tanta gioia, benedette catene che la liberavano da se stessa.”

La vera identità di Pauline Réage è balzata agli onori della cronaca solo tre anni fa (1995, ndr) : trattasi di tale Dominique Aury, della quale non sappiamo dirvi altro.

 

In libreria

Pauline Réage
Histoire d’O
Bompiani, 2013

Collana: Vintage
Traduzione di A. D’Anna
236 p., brossura
€ 12,00

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