Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.


Angelici dolori e altri racconti di Anna Maria Ortese
Anna Maria Ortese, Angelici dolori e altri racconti, Adelphi 2006

Scritti fra il 1934 e il 1936 e subito raccolti in volume, i racconti di Angelici dolori irrompono nel panorama letterario dell’epoca con tutta la forza della loro conturbante eccentricità: «Io vedevo allora tutto il mondo come una stranezza e una meraviglia quasi non sopportabili, ove non si desse loro una espressione, una voce ordinata» spiegherà anni dopo la Ortese. E non è difficile immaginare con quale stupore i lettori accogliessero, da parte di una scrittrice poco più che ventenne e sconosciuta, le fiammate di ribellione contro la «terribile e invadente Civiltà» nemica dei sogni e della libertà; e la metamorfosi di Napoli in città «estatica», dove miracolosamente è dato vedere il quartiere pezzente del Pilar «scintillare di cupole colorate sul cielo d’oro, e i campanili con le bocche aperte, e i balconi delle case-streghe fioriti d’erba e fanciulle»; e la violenza inaudita di una passione che è gioia spaventosa, dolce morte, adorazione mistica, e che per la radicale sproporzione fra il valore totale dell’essere amato e quello irrisorio dell’amante sembra attingere alla lirica provenzale; e, più in generale, il clima di fantasmagorica rêverie che ammanta scenari e personaggi, umani e angelici, traducendo in irrequietezza visionaria la più segreta ambizione della giovane Ortese: afferrare un’immagine e riprodurla «viva, grande, colorata, con tutti i caratteri precisi della realtà e tutti i deliziosi ondeggiamenti dell’irreale».
https://www.adelphi.it/


Lezione n. 9

Scrivere di sé

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Cosa possiamo imparare oggi dall’opera prima di autori e autrici del passato? L’esordio di Anna Maria Ortese è una raccolta di racconti, Angelici dolori, uscita nel 1937. La raccolta, pubblicata all’epoca da Bompiani e fortemente voluta dal critico letterario Massimo Bontempelli, rappresenta un’esperienza aliena che la stessa autrice così descrive: «Fare possibile, anzi normale, semplice, l’impossibile». Se l’avesse proposto oggi, questo libro, nessuno l’avrebbe pubblicato o, ancora peggio, pochi lettori (forti e deboli) l’avrebbero amato.

Le storie che la Ortese racconta sono la sua vita, pur essendo la scrittura totalmente lontana dalla cosiddetta realtà: il meccanismo delle cose che sorgono nel tempo, e dal tempo sono distrutte. Questa realtà era per me incomprensibile e allucinante. Questa atmosfera, allucinante e incomprensibile, si respira in tutti i racconti che attraversano la sua fanciullezza fino all’età adulta. Le parole di Anna Maria Ortese sono stelle cadenti che si posano sulla pagina e scrivono storie. Quello che possiamo imparare da un esordio così è che il modo più efficace per raccontare se stessi è guardare altrove. Guarda fuori di te, per vedere dentro di te. Questo suggerisce in particolare uno dei racconti Valentino. Pur narrato in prima persona, è la storia di Valentino. Non di Anna Maria. Lo spunto narrativo parte da una delle esperienze più disastrose e naturali che possano accadere: il primo amore.

«Veramente io avevo veduto poche volte, e solamente nei ritratti dei bei principi sfortunati, due occhi così neri e melanconici che, fissando, pareva legassero con l’inquietudine e la tenacia di una musica lontana.».

La giovane Anna Maria, molto più piccola di lui, si innamora follemente dello sguardo di questo ragazzo. Sembra invidiargli il modo di guardare il mondo, quello sguardo che lei ancora non è in grado di reggere. Allora forse non è lui che anela, ma ciò che lui rappresenta: la maturità.

«Io ero molto infelice, lo confesso, come a quell’età accade

La prosa elegante della Ortese è tale perché elegante è il suo modo di scrivere, così pieno di garbo e mai compiacente quando parla di sé.

Scrivere di sé è il primo istinto quando si è davanti alla propria opera prima. Un istinto che non sbaglia, se ad esso si accompagna la distanza, la giusta misura, la consapevolezza di sapere di essere altro da sé quando si è dentro una pagina di un libro.

C’è un momento nel racconto qui citato in cui l’autrice, che all’epoca della stesura aveva 20 anni (li scrisse tra il ’34 e il ’36), in cui si sente che l’unica cosa che ha bisogno di raccontare è la sua solitudine, quel senso di avversità al senso comune e di impossibilità espressiva. Lo racconta bene, spostando il suo sguardo sulle rondini che nel paese dove viveva, a primavera, singhiozzavano invece di planare:

«Esse hanno il dolce nido, i figlioletti, la patria, il necessario verme nell’orto… E dunque? Pure piangono.»

Il pianto è per le rondini ciò che la giovane età, vissuta quasi come inadempienza, è per la Ortese. L’immagine della rondine disturbata dalla sua stessa vita, ritorna poi quando la voce in prima persona dell’autrice passa in rassegna i vari aspetti della sua condizione “da rondine infelice”, tipo i suoi genitori che non la capiscono esattamente come avviene nella vita di tutti gli adolescenti. Questo esordio vintage che riprende la struttura narrativa delle storie brevi inanellate e il topos letterario della formazione di un essere umano, mi ricorda un altro esordio vintage per il tono di voce non per la data di uscita, ovvero Un segreto che non guardo ma che sta al centro del cortile della piemontese Chiara Dotta.

Se volete scrivere la vostra storia, scegliete subito un’ambientazione netta, ben visibile agli occhi del lettore. Sono i dettagli che fanno la differenza. Se ci pensate succede anche nella vita, quando conosciamo una persona per la prima volta, abbiamo una prima impressione che si sofferma su un dettaglio. Fermate sulla pagina un dettaglio. Che sia la descrizione di un luogo o di un personaggio. Un’immagine potente che identifica subito un’atmosfera. Non ci sono regole. Tranne una. Dire la verità mentendo, l’unico modo efficace di raccontare la propria vita.

Piccola bibliografia per chi vuole scrivere
Scrivere di sé



Chiara Dotta, Un segreto che non guardo ma che sta al centro del cortile, LiberAria 2014
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