Il libro Disobbedienza civile, poco più di settanta pagine molto dense, pubblicato da H.D. Thoreau nel 1849, racconta di un uomo che si rifiuta di finanziare una guerra. Il contesto è la guerra degli Stati Uniti contro il Messico, nel 1846, quando il governo statunitense dichiara guerra al Messico per fissare i confini del Texas. Thoreau, schieratosi con i Messicani, decide di non finanziare, attraverso il mancato versamento delle tasse, la politica espansionista del suo governo. Inquadrato il contesto storico, la percezione è quella di leggere un libro attualissimo, senza tempo.

Dalle prime pagine l’autore chiama in causa il singolo, l’azione individuale come potente leva di cambiamento. Scrive infatti Thoreau: “Perché ogni uomo ha una coscienza? Io penso che dovremmo essere prima uomini, e poi cittadini”. In questo senso ciascuno, a partire dalla propria individualità, dal rispetto della morale che lo abita, si relaziona e agisce nella società in cui vive. È dunque formidabile quanto l’autore riesca ad unire dimensioni etiche ad una realtà contingente, molto pratica. Scrive infatti Thoureau: “Pochissimi servono lo stato anche con la propria coscienza”.
L’autore sprona continuamente l’individuo a cercare il “buono assoluto” come leva per influenzare il contesto in cui il singolo può agire. In questo senso vengono fatte convergere astratte categorie etiche di giustizia, morale, all’azione. Questa è la cifra del testo, il filo che unisce un discorso estremamente calato nel suo tempo, nella storia dei giorni vissuti e insieme astrae questa realtà rendendola quasi un modello di reazione all’ingiustizia.

L’approccio a tratti estremamente pessimista, la consapevolezza di pochissima virtù nell’azione delle masse umane, l’assenza di morale quasi necessaria alla vita che gli uomini si costruiscono si contrappone alla disobbedienza civile come unica speranza.
L’azione, scrive Thoureau, cambia le cose e i rapporti, è rivoluzionaria. In questo senso il libro ci fa dono di una consapevolezza importante, di un grande potere che come cittadini spesso ci dimentichiamo di avere. Il potere e la responsabilità della scelta. La possibilità di condizionare il mondo in cui viviamo con le nostre azioni. E cosi l’autore ci presenta la sua “disubbidienza civile”, la necessità di non omologarsi alla massa, non aspettare che cambi qualcosa ma far accadere il cambiamento che diciamo di volere. Un uomo non deve fare tutto, ma qualcosa, ci dice Thoureau. E per fare quel qualcosa è necessario che ciascuno viva secondo la propria natura, connesso con chi è davvero, con la propria interiorità. Conoscendoci, troveremo la chiave, il coraggio di agire magari da uomini “disobbedienti” ma giusti.

Cristina Tizzoni