Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.
Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.
A Pontinia, piccolo centro di fondazione fascista nel mezzo dell’Agro Pontino, la giovane Elena è stata uccisa dal fidanzato. A distanza di un anno, i suoi amici sono ancora divisi tra il dolore di quel trauma e il bisogno di un’adolescenza normale. Nell’arco di un’estate afosa, vissuta fra le architetture metafisiche di Pontinia e di Latina e le sensuali dune di Sabaudia, e con Roma, la grande città, sullo sfondo, si intrecciano i loro destini. C’è Diana, con la sua voglia sulla gamba che la rende tanto insicura, e c’è la sua migliore amica Vera, che sembra invece non aver paura di niente. Ci sono Giorgio, il fratello di Vera, che era innamorato di Elena e non lo ha mai detto a nessuno, e Vanessa, cugina di Giorgio e Vera e migliore amica di Elena. Intorno a loro una comunità ancora regolata nel profondo da valori patriarcali perfettamente interiorizzati, una comunità dove le famiglie sono spesso tenute insieme solo dall’ipocrisia e dal silenzio. Le ragazze e i ragazzi dovranno così crescere, perdersi e ritrovarsi da soli. Faranno i conti con il vuoto e la passione, l’insicurezza e l’ansia, l’accettazione e l’affermazione di sé. La morte di Elena assumerà per ognuno un significato diverso, e per ognuno si sovrapporrà alla propria storia personale, a un’educazione sentimentale e sessuale fatta di estremi, in cui l’amore, la tenerezza e il desiderio si mescolano alla sopraffazione, all’umiliazione e alla vergogna.
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Lezione n. 26
Scrivere l’adolescenza
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Se c’è un aspetto che differenzia una scrittura giovane da una scrittura giovanile, questo è legato alla voce di chi narra. La voce di Alice Urciolo, esordiente per la casa editrice 66thand2nd con il suo romanzo Adorazione, è una voce che sembra uscita da una signora dalle lunghe vedute, lontana dal mondo cotto e mangiato della virtualità, dei baci social e degli epigrammi instagrammati. È una voce che viene da lontano per raccontare un mondo vicinissimo a noi, un piccolo mondo antico eppure tanto contemporaneo. La storia delle ragazze e dei ragazzi di Adorazione è ambientata nella provincia piccola e dalla memoria breve, l’Agro Pontino, nei dintorni di Latina dove i segni dell’amministrazione del Ventennio sono perfettamente riconoscibili non solo nelle architetture pesanti ma anche nell’animo e nelle scelte dei suoi abitanti, un gruppo di giovani, tra i 15 e i 20 anni, che pur avendo la possibilità di avere tutto, sembrano a tratti non cercare nulla. L’adolescenza in questo romanzo è raccontata attraverso le loro scelte, spesso non scelte, di essere qualcuno senza riuscire bene a quale modello ispirarsi.
L’adolescenza è la trama del romanzo, è il sentimento che muove i suoi protagonisti. C’è Diana, con la sua voglia sulla gamba che la rende tanto insicura, e c’è la sua migliore amica Vera, che sembra invece non aver paura di niente. Ci sono Giorgio, il fratello di Vera, che era innamorato di Elena e non lo ha mai detto a nessuno, e Vanessa, cugina di Giorgio e Vera e migliore amica di Elena. L’adorazione del titolo, invece, è lo sguardo con cui ognuno di loro guarda all’altro, anche quando l’altro coincide con un segreto e una violenza inaudita. Come la morte di una loro, Elena appunto, che passa tra le vite dei personaggi apparentemente senza lasciare traccia, come un’esperienza tra le tante, come un passaggio obbligato per chi ancora adolescente deve, pur senza crederci davvero, diventare adulto.
“Elena era stata ammazzata il 3 agosto dell’anno scorso, erano passati dieci mesi e tutti sembravano essersi lasciati il fatto alle spalle. Il caso era stato risolto presto, i giornali avevano smesso di scriverne, il tg non ne aveva più parlato, e adesso tutti non vedevano l’ora di riprendersi la loro vita e divertirsi, ma lei no. A lei Elena mancava come il primo giorno, e se pensava al futuro vedeva nero, come se non fosse più una via d’uscita. L’estate che aveva davanti la spaventava a morte.”
Ma cosa significa diventare adulti? I migliori romanzi sul tema non lo raccontano perfettamente. Ed è un bene. Penso ad esempio a L’isola di Arturo di Elsa Morante in cui l’adolescente Arturo nella scena finale, allontanandosi da Procida (l’isola come tempio dell’adolescenza) non la guarda, chiude gli occhi riaprendoli solo quando ormai quel pezzetto di terra e di vita è lontana. Alice Urciolo scrive di adolescenti senza mai dare loro delle missioni, dei modelli da seguire. Perfino i genitori sono il contrario di un esempio da seguire, almeno la maggior parte di essi. Il modo più onesto, forse, per scrivere di adolescenza non è scrivere in maniera partigiana, essere da una parte (i giovani) o dall’altra (gli adulti). Piuttosto scrivere di adolescenti è una operazione narrativa interessante quando questa età la si lascia fluire, senza per forza mettere i personaggi nella condizione di cercare una rivincita da qualcosa o da qualcuno. Come avviene anche nel romanzo, sullo stesso tema e dal titolo inequivocabile, L’adolescente di Fëdor Dostoevskij. Si può essere adolescenti anche senza essere per forza compassionevoli verso se stessi o verso il mondo che non capisce. Scrivere l’adolescenza è un modo per indagare non tanto quello che si è o che si diventerà, ma quello che non si riesce a essere.
“Avrebbe voluto festeggiare i diciott’anni insieme a lei, avrebbe voluto diventare grande insieme a lei. quando erano piccole non vedevano l’ora di crescere, ma Vanessa non immaginava che crescere avrebbe voluto dire questo. adesso era grande, era libera, era sola, e non aveva mai avuto così paura.”
La storia di questi ragazzi e di queste ragazze è una storia fatta anche di vergogna del proprio corpo, dei propri sentimenti, delle proprie origini. C’è la vergogna delle lacrime non versate e l’incapacità di versarne. La vergogna è forse il sentimento più vicino a quel confine, spesso difficile da valicare, tra giovinezza ed età adulta. Alice Urciolo sembra suggerire che in fondo questo non è necessariamente un male. Ed è un bene che lo faccia.
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