Eccola qui, con i suoi occhi melanconici, fuggevoli ma, allo stesso tempo, sorridenti.
Solitamente gli scatti di Amelia Rosselli che vengono condivisi rapiscono gli attimi in cui, vergognosa o stanca delle innumerevoli interviste che riceveva, fissava il vuoto o semplicemente mostrava una velata malinconia che rivelava tutti i fantasmi che occuparono la sua psiche e la sua vita. Qui, invece, credo che lo scatto rubatole ritragga perfettamente la sua anima: travagliata, disperata, ma soprattutto resiliente.
È da qui che voglio cominciare a parlare di Amelia, dalla sua contraddizione interiore che, inevitabilmente, si ripercuote nei suoi versi.
Vieni a vedere la mia poesia
essere decisa e disperata. […]
(Amelia Rosselli, Sleep, 1992)
Tuttavia, per comprendere a pieno ciò che questi due versi vogliano dire, è necessario ripercorrere la sua vita insieme a lei, lasciandoci travolgere dai vuoti e dalle emozioni che la investirono.
Amelia nacque il 28 Marzo 1930 a Parigi. Figlia di Carlo Rosselli, antifascista e fondatore del movimento «Giustizia e Libertà», e di Marion Catherine Cave, attivista del partito laburista inglese.
Sin dalla sua nascita, Amelia fu costretta a subire i giudizi distaccati dei suoi genitori e, come se non bastasse, la loro attiva posizione nella vita politica del tempo.
Da una parte, Amelia venne giudicata negativamente dal padre per via del suo aspetto: Carlo, infatti, le rimproverava di avere una boccuccia troppo grande per un viso così piccolo. Addirittura, il padre non voleva darle il nome di sua madre, Amelia Pincherle, dotata di grande bellezza, al fine di non offenderla difronte all’aspetto così malconcio della bambina.
È da qui che nasce il gran distacco che il padre Carlo ebbe rispetto a sua figlia; a questo si aggiunsero poi gli impegni e le responsabilità politiche che la sua posizione inevitabilmente comportavano.
L’estrema e tragica conseguenza della posizione particolarmente esposta di Carlo fu il suo assassinio, insieme al fratello Nello Rosselli, avvenuto in Francia, a Bagnoles-de-l’Orne, il 9 Giugno 1937 per mano di sicari legati al regime fascista.
Da quel giorno drammatico e fatale nella vita di Amelia Rosselli verranno meno, di volta in volta, i suoi riferimenti spaziali e familiari.
Amelia, infatti, sarà costretta ad un continuo peregrinare da un posto all’altro, in cerca di un luogo nel quale radicarsi ma che, alla fine, non troverà mai. L’origine ebrea della sua famiglia la costrinse, successivamente all’invasione nazista della Francia (1940), a fuggire; dapprima si trasferì in Inghilterra, poi raggiunse New York, poi ritornò a Londra dove ebbe la possibilità di concludere i suoi studi ginnasiali; infine, nel 1948, all’età di 18 anni, Amelia decise di lasciare Londra e trasferirsi dalla nonna paterna a Firenze. Il soggiorno durò poco, fino a quando i suoi interessi letterari e musicali non la condussero a Roma, la città in cui decise di compiere l’ultimo salto.
Questa dolorosa vita da nomade o da rifugiata politica in fuga, venne scandita da ulteriore dolore; il dolore per la perdita dei suoi affetti più cari, i quali vennero a mancare a distanza di pochi anni gli uni dagli altri: dapprima la madre Marion (1949), a cui Amelia Rosselli non riuscì a dire addio e la cui perdita risuonerà a lungo nei suoi versi; poi il suo amico fraterno Rocco Scotellaro, perdita che lascerà in lei un’ulteriore inguaribile ferita; e, infine, la cara nonna Amelia, l’unico porto sicuro nel quale ebbe la possibilità di rifugiarsi quando tutto intorno a lei rappresentava pericolo e alimentava il sospetto.
Mi sforzo, sull’orlo della strada
a pensarti senza vita
non è possibile, chi l’ha inventata questa bugia.
(Amelia Rosselli, Cantilena – Poesie per Rocco Scotellaro – 1953)
Tali eventi contribuiranno alla crisi interiore di Amelia, a cui lei stessa cercherà di porre un argine attraverso la poesia.
La poesia fu per lei un tentativo per riscattare la violenza subita e, in questo modo, recuperare e rielaborare i ricordi del passato che l’avevano abbandonata.
La sua intensa vita interiore esploderà nei suoi versi dando vita ad una poesia frammentata, talvolta incomprensibile, apparentemente sradicata dalla realtà circostante ma che, in realtà, è saldamente ancorata al presente e, soprattutto, espressione cosciente del suo stream of consciousness che, prepotentemente, prende piede nei suoi versi.
Stona la vita
si spegne da sé
la speranza si spiuma
faticosa a mettersi insieme non
ne vuol più sapere
i pensieri sono poi ovali, o opachi.
(Amelia Rosselli, Documento)
Attraverso la propria scrittura Amelia riesce ad affrontare i traumi del passato e, nonostante non riesca ad affrancarsi completamente dal dolore, riesce a resistervi. Questa lotta continua tra la sua disperazione e la sua resilienza riemergerà con vividezza dai suoi versi, i quali risultano essere quasi incandescenti perché intrisi del trauma subìto e mai completamente risolto.
L’incandescenza e, direi, l’eccentricità della poesia di Amelia si misura in particolar modo a livello linguistico e testuale. La sua poesia, infatti, è costellata di errori grammaticali e sintattici, di parole straniere, di neologismi: tutti questi esperimenti danno voce al suo dato biografico più assordante, ossia quello di non aver mai posseduto una patria né un idioma nei quali identificarsi.
La sua lingua, sconnessa e apparentemente frutto di un errore, esprime la sua estraneità e, soprattutto, la sua anima frammentata.
Dunque, Amelia, ritrovatasi quasi per caso a scrivere, riconosce nei suoi versi – estranei rispetto al panorama letterario del tempo – un luogo nel quale poter riconoscersi e sentirsi al sicuro, a tal punto da riuscire a trasformare in parola poetica i sentimenti più reconditi della sua anima.
A una fervida produzione poetica e letteraria, seguirà un periodo di silenzio creativo a causa del riacutizzarsi della sua malattia psichica, una malattia che la farà sentire perseguitata e «auscultata», anche nei momenti intimi circoscritti al suo piccolo appartamento romano. Tale malattia persecutoria divenne una vera e propria psicosi, al tal punto che fu costretta a sottoporsi a innumerevoli ricoveri e sedute di elettroshock nel corso degli anni Ottanta.
Se la poesia fu per lei un tentativo per riscattare la violenza subìta, appare chiaro come l’arresto della vena creativa inferse un ulteriore trauma alla sua fragile psiche.
Negli anni Novanta, abbandonata anche dal conforto della poesia, la resilienza di Amelia ebbe una brusca battuta d’arresto l’11 Febbraio 1996, giorno in cui decise di fuoriuscire dal mare nero della sua esistenza, gettandosi dal suo balconcino in via del Corallo 25.
Probabilmente Amelia volle concedersi un ultimo volo di libertà, speranzosa di raggiungere una realtà altra in cui poter godere di ciò di cui fu privata: l’amore.
E spero ci sia riuscita.
Anna Rita Ambrosone
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