Anno 1 | Numero 2 | Ottobre 1997

Beckett e Giacometti insieme sul nudo palcoscenico del mondo e dell’arte, animati e sconvolti dallo stesso desiderio e dalla stessa paura che abitarono in Cézanne e Kafka, Van Gogh e Balzac: desiderio di riprodurre la realtà per quello che è (“L’arte è un mezzo per vedere”), paura del conseguente, inesorabile fallimento. Questo racconta Matti Megged, scrittore e critico di origine ebraica, nel saggio Dialogo nel vuoto – Beckett e Giacometti: ogni artista pare destinato a fallire dal momento in cui tenta di riprodurre la realtà, che sempre sfugge di mano. Amando e desiderando dipingere la natura e il mondo così come sono, nella loro interezza e universalità, ricchezza e profondità, egli può generare solo illusioni, non copie fedeli e penetranti ma “doppi” della realtà e “residui di visione”. La sua riproduzione (quadro o poesia o racconto o pièce teatrale) è già altro, creazione di un mondo altro, parziale e ristretto, regolato da proprie leggi e segnato da propri limiti (le tele e i colori, la creta o l’argilla, le parole). L’artista ha in mano e nel pennello la conoscenza del mondo, perché ha occhi indagatori e infuocati; ma la possibilità spaventevole dell’onniscienza (non è forse vero, come sosteneva Heiddeger, che il poeta crea il mondo nominandolo?) gli brucia subito mani e occhi. Il poter cogliere e restituire la realtà per quella che essa è, possibilità suprema, significherebbe, osserva Giacometti, cessare di vivere come uomini, e “non si può cessare di vivere”. E sarebbe, per Beckett, ascoltare l’infinito silenzio del mondo e del cielo, il silenzio all’inizio o alla fine di tutto, essendo comunque condannati a raccontare silenzio e infinità con logorate parole umane. Il mondo Moderno è un mondo senza Dio: è allora l’artista, che crea in uno sforzo continuo, a “sostituirsi” a Dio, trovandosi così di fronte all’assoluto. Ma avere a che fare con l’assoluto non significa forse essere di fronte all’impossibile? L’immaginazione creativa spinge oltre i limiti comuni del normale “uso” del mondo e degli oggetti del mondo, le possibilità rimanendo però limitate e i mezzi poveri, l’uomo uomo e non Dio. Ogni artista si brucia, Icaro di fronte all’impossibile comprensione e rappresentazione totale. Crudeltà del processo artistico, continuo tendere alla completezza e ottenere parti e frammenti, tensione irrisolvibile e fatica: questo il legame che unisce Beckett e Giacometti in un movimento inarrestabile e disperante, che accomuna ogni artista che realmente si interroghi sul proprio ruolo in un mondo silenzioso e spopolato d’umanità.

Elena Varvello

I veri artisti, come Beckett e Giacometti non possono far altro che aggiungere la propria testimonianza circa l’impossibilità dell’arte, ma ciò che aggiungono è una nuova prova del fatto che i loro sforzi, attivi e concreti, contengono in sé l’assurdo e l’impossibile