Nel 1998, a dieci anni dall’assegnazione del Premio Pulitzer a Toni Morrison, Jonathan Demme, regista di due pietre miliari del cinema come Il silenzio degli innocenti e Philadelphia, porta sugli schermi il suo Beloved.
Quello di Morrison è un affresco vivido e doloroso dell’America post-schiavitù, un tessuto di memorie e speranze, incubi e redenzioni, scritto con una lingua che scava nel profondo dell’esperienza afroamericana. Demme cerca di catturare questa stessa essenza, traducendo la narrativa densa e simbolica di Morrison in immagini allo stesso tempo evocative e perturbanti.
La sua trasposizione cinematografica si rivelerà poco fortunata, con un flop ai botteghini statunitensi e una mancata distribuzione in Italia, ma quella di Demme, fortemente voluta da Oprah Winfrey – che non solo ne interpreta il personaggio principale, Sethe, ma è anche una delle produttrici del film – rimane un’opera cinematografica di tutto rispetto.
Un film carico di simboli, visivamente denso e angosciante, che innesta nel dramma una violenta componente orrorifica. Squarci di luce, folgoranti primi piani, meravigliose riprese allargate di vasti paesaggi contrapposte a inquadrature lente e ravvicinate di creature animali, irrompono nella narrazione non solo per farne una cornice estetica, ma soprattutto come catalizzatori emotivi che contribuiscono profondamente all’intensità simbolica del film.
La casa stessa si fa personaggio vivo e palpitante, nicchia di salvezza, e allo stesso tempo prigione: per Denver, la sola figlia rimasta legata alla disperazione materna (“nessuno sa che sono viva” ruggirà con dolore), e per Sethe, sopravvissuta alla “Dolce Dimora” della schiavitù, entrambe schiacciate da un feroce passato che incombe nella forma di uno spirito inquieto, furente, irrisolto (“non è maligno – dirà Sethe – è solo triste”). Persino nelle inquadrature esterne della casa isolata, grigia e obliqua, di hitchcockiana memoria, avvertiamo il respiro affannoso di un tormento che non trova pace.
Nella vita di Sethe, che porta inciso sulla schiena – straordinaria immagine – un albero di ciliegio selvatico a memoria della violenza subita, il presente è un tempo che non si lascia coniugare, schiacciato tra le atrocità del passato e l’inconsistenza di un futuro che si intravede appena nel sorriso compassionevole di nonna Suggs.
A soccorrerla, nella ricostruzione e nella rielaborazione di quel vissuto che l’ha segnata, saranno prima Paul D. (Danny Glover), poi la figura spettrale di Beloved, magistralmente interpretata da Thandie Newton e di cui Sethe subirà una ossessiva fascinazione che la condurrà alla follia.
Manifestazione fisica e spirituale del passato tormentato di Sethe, Beloved è una figura complessa e sfaccettata, che rappresenta non solo una persona perduta ma soprattutto un’incarnazione delle ferite collettive lasciate dalla schiavitù.
Newton interpreta il personaggio con una mescolanza di innocenza infantile e una malizia quasi sovrannaturale, oscillando tra vulnerabilità e minacciosità. La sua interpretazione, disturbante e misteriosa, riesce a trasmettere una gamma emotiva molto ampia, convincendo lo spettatore della presenza reale di un’entità tormentata e profondamente danneggiata.
Nel suo procedere per lallazioni, espressioni deformate, urla e movimenti scoordinati, l’attrice riesce ad evocare simultaneamente terrore e compassione facendo del suo Beloved un personaggio indimenticabile nel panorama cinematografico.
“Raccontami!”, è l’invocazione che scalpita sulle labbra di Beloved.
Una supplica perentoria che si carica di significato simbolico e narrativo. Se da un lato esprime il profondo desiderio di Beloved di comprendere la sua storia e le sue origini, di riconnettersi con il suo passato e con la madre attraverso le storie, dall’altro affonda le radici nella necessità di memoria e testimonianza delle sofferenze subite. Raccontare significa rievocare i dolori e gli orrori della schiavitù, un processo doloroso ma necessario per affrontare ed elaborare la propria storia.
Ma riflette anche il tentativo di Beloved di stabilire un legame emotivo e spirituale con Sethe (“è lei che io voglio avere”). Attraverso il racconto, Beloved cerca un’intimità e una comprensione che vanno oltre il normale legame madre-figlia, entrando in una dimensione quasi mistica.
Il film mantiene una sua fedeltà al libro nell’intreccio dei temi: il trauma intergenerazionale, le profondità del sacrificio materno e le conseguenze etiche, la ricerca dell’identità personale e della libertà, l’elaborazione della colpa, la redenzione e il perdono, il soprannaturale come metafora del modo in cui il passato e le memorie traumatiche si manifestano nella vita quotidiana dei personaggi.
Tuttavia, se la struttura narrativa del romanzo assume quasi la forma di uno stream of consciousness che intreccia i tempi e le prospettive con una fluidità che sfida la linearità, il film adotta un approccio più lineare e sequenziale.
La “colpa” di Sethe, che nel libro ricostruiamo attraverso frammenti progressivamente messi a fuoco, nel film esplode verso il finale attraverso un climax che ci prepara (ma ci trova ugualmente impreparati e atterriti) alla violenza della deflagrazione e del disvelamento.
C’è uno sguardo che hanno i bianchi, quello sguardo del giusto uguale allo sventolio di una bandiera vittoriosa, quel senso del giusto che esprimono con la frusta, con i pugni e che si manifesta molto prima che la loro violenza esploda.
Così dirà Sethe, per dare un senso di giustizia al suo gesto.
Sottrarre i suoi figli al suo stesso destino, salvarli da colpe mai commesse, strapparli alla bestialità dei bianchi.
”Preferisco saperli in pace in cielo che all’inferno qui sulla terra”.
A dare il ritmo musicale alla narrazione, ora lento e disperato, ora carico e concitato, nenie che cullano e ballate blues che infervorano. Un ritmo che trova la sua massima espressione nella rassicurante saggezza di nonna Suggs che in una catartica danza finale della comunità nera riunita in cerchio in un bosco pervaso di luce ocra, lascerà la sua eredità di speranza nel messaggio:
Amate il vostro cuore, è questo il premio.
Rita Lomangino
“Beloved – L’ombra del passato”
Regia: Jonathan Demme
Soggetto: “Beloved” di Toni Morrison
Sceneggiatura: Akousa Busia, Richard La Gravenese, Adam Brooks
Fotografia: Tak Fujimoto
Cast: Thandie Newton, Oprah Winfrey, Danny Glover, Kimberly Elise
Produttori: Edward Saxon, Jonathan Demme, Gary Goetzman, Oprah Winfrey, Kate Forte
Distribuzione: Touchstone Pictures
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