Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.


Bernardo Zannoni, I miei stupidi intenti, Sellerio 2021

Questa è la lunga vita di una faina, raccontata di suo pugno. Fra gli alberi dei boschi, le colline erbose, le tane sotterranee e la campagna soggiogata dall’uomo, si svela la storia di un animale diverso da tutti. Archy nasce una notte d’inverno, assieme ai suoi fratelli: alla madre hanno ucciso il compagno, e si ritrova a doverli crescere da sola.
Gli animali in questo libro parlano, usano i piatti per il cibo, stoviglie, tavoli, letti, accendono fuochi, ma il loro mondo rimane una lotta per la sopravvivenza, dura e spietata, come d’altronde è la natura. Sono mossi dalle necessità e dall’istinto, il più forte domina e chi perde deve arrangiarsi. È proprio intuendo la debolezza del figlio che la madre baratta Archy per una gallina e mezzo. Il suo nuovo padrone si chiama Solomon, ed è una vecchia volpe piena di segreti, che vive in cima a una collina. Questi cambiamenti sconvolgeranno la vita di Archy: gli amori rubati, la crudeltà quotidiana del vivere, il tempo presente e quello passato si manifesteranno ai suoi occhi con incredibile forza. Fra terrore e meraviglia, con il passare implacabile delle stagioni e il pungolo di nuovi desideri, si schiuderanno fra le sue zampe misteri e segreti. Archy sarà sempre meno animale, un miracolo silenzioso fra le foreste, un’anomalia.
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Lezione n. 34

Il punto di vista di una storia

Il punto di vista è l’occhio di una storia, la voce con cui si sceglie di raccontare. Una questione importante che oscilla tra ragioni logiche e temperature emotive. Il punto di vista decide chi racconta e, in qualche modo, anche a chi si racconta. Può essere un personaggio coinvolto nella storia, oppure una prospettiva che vede e conosce tutti i personaggi senza essere uno di loro. Può essere difficile capire quale punto di vista funziona, mentre si scrive. Le parole suonano meglio se provengono da un punto di vista in prima persona o in terza persona? La prospettiva scelta renderà giustizia al senso della storia ? Il modo migliore per addolcire quest’incertezza è provare provare provare. E poi leggere più storie, possibilmente diverse tra loro.

Jonathan Franzen, uno degli scrittori contemporanei più influenti, nel suo Decalogo dello scrittore consiglia: “Scrivete in terza persona a meno che non disponiate di una voce in prima persona davvero distintiva e irresistibile.”

Il venticinquenne ligure, Bernando Zannoni, esordiente da poche settimane con I miei stupidi intenti, ha scelto un punto di vista in prima persona che risponde alla definizione di Franzen. Archie, una faina con una malinconia innata che la accosta a quei personaggi puri e candidi destinati a perdere questo dono perché “Dio è cattivo”, racconta la sua storia con una voce “distintiva e irresistibile.”

Non era facile vivere nei ricordi. Non se stavi già vivendo qualcosa, come nella mia situazione. L’unico vantaggio di tormentarsi a quel modo fu quello di capire più a fondo i miei sentimenti.

La storia della faina Archie è la storia di una crescita che comincia dall’inferno per non allontanarsi poi molto dal punto di partenza, a parte due momenti di paradiso esistenziale comuni a molti: l’amore, il primo amore ma meglio ancora il secondo, e la scoperta di una vocazione: il suo talento letterario.

Archie vive con la sua famiglia, orfano di padre, composta da fratelli e sorelle dalle esistenze sgangherate a causa della crudeltà della madre. Sono poveri e senza speranza, pieni di difetti, di aberrazioni e di handicap che in apparenza non li porteranno molto lontano. Ma Archie è un tipo che va incontro al destino per raggirarlo e così seguiamo le sue avventure per scoprire quali stupidi intenti gli riserva la vita.

“Uno zoppo era solo un peso.” Quando perde l’uso di una zampa, ancora ragazzino, Archie viene venduto dalla madre a una vecchia volpe che lo terrà a bottega, facendogliene passare di ogni, compresa la scoperta della letteratura che chi ama scrivere sa essere croce e delizia nello stesso tempo. Il punto di vista di una faina è lontano dal luogo comune che la vorrebbe infida e sprezzante. La voce di Archie si muove rapidamente dentro le pagine, mostra lo slancio di un protagonista che cerca il proprio posto nel mondo, dopo aver perso perfino il nido natale.

Ogni traballante passo mi faceva perdere l’equilibrio; avanzai ancora, poi mi tesi verso un altro ramo. Lo afferrai con le zampe anteriori, poi saltai con le altre. Alla fine di quell’ultimo ponte sospeso, ecco il nido.”

Leggete questo romanzo, se volete osservarvi con gli occhi di una faina che non conosce il significato della parola nido, e tanto meno quello di vita, eppure è l’unica cosa che cerca. La sua voce così tridimensionale spiazza il lettore. Ne è la prova il secondo capitolo, da pag. 23 in particolare. Archie ha avvistato il nido di due pettirossi “sopra una quercia morente, dove il sole batteva poco”. Un nido all’apparenza abbandonato ma che poi sotto gli occhi tristi di Archie si rivela pieno di cure e di amore da parte di due pettirossi in attesa che piccole uova azzurre si schiudano. In questa scena la scelta del punto di vista compiuta dall’autore si rivela strategica, ingenuamente furba come i puri di cuore tipo Archie che davanti all’amore degli altri mostra le ferite e le unghie. Sentire un’intimità con la voce di una faina è una prospettiva che pochi lettori avranno considerato. Eppure, ne I miei stupidi intenti accade. A volte ci si chiede se l’autore si voglia prendere gioco di noi, dei suoi personaggi o della scrittura stessa.

Come la voce di Nick Carraway ne Il grande Gatsby e come quella di Ishmael in Moby Dick, il narratore in prima persona condiziona il fascino delle storie che racconta. Il punto di vista, stretto dagli occhi dell’animale, condivide le azioni sue e dei personaggi che incontra. Un narratore del genere infatti può narrare solo scene in cui è presente. I romanzi di formazione funzionano bene così: la loro narrazione intima ed emotiva risplende nelle scelte strutturali. Così come funziona nelle storie di fantasmi, spettri e tutti i racconti che vogliono restituire al lettore un senso di claustrofobia. Scegliere il punto di vista, cioè la posizione del narratore in relazione alla storia, è legato al senso di ciò che si vuole raccontare, per questo è importante stabilirlo prima possibile. La sua assenza o la sua presenza rendono incerta la scrittura. Zannoni e la sua faina, invece, tengono botta.

Per trovare il punto di vista di una storia, si va spesso per tentativi ed errori. Scrivi e riscrivi. Se il punto di vista non convince, bisogna cambiarlo. Non aver paura di distruggere per creare. Perfino il maestro di Archie, la vecchia volpe, sarebbe d’accordo.

Con la zampa scrivevo, ma con gli occhi divoravo la sua vita, entravo nelle sue avventure di bandito.”

La seconda parte del romanzo è una specie di storia archetipica della formazione di uno scrittore. Infanzia infelice, famiglia borderline, amori non corrisposti o troppo brevi, senso di inutilità e poi la grande scoperta: le parole.

“Presi uno stelo di paglia dal mio letto, il più duro che trovai, poi mi morsi una zampa e lo intinsi nel mio sangue. Funzionava, scriveva.” È con il sangue che Archie inizia a scrivere. E una volta cominciato, sarà difficile per lui smettere. Dentro la scrittura ritrova l’amore che non è riuscito a dare e a ricevere; il tempo che ha sprecato; il mistero del dolore che non è riuscito a svelare. Si impara molto di più da una ferita che da una gioia. Una ferita è una feritoia dove c’è spazio per le parole, tanto quando la scrittura è una tana dove in realtà non si è mai soli. Sicuramente Archie, ovunque adesso sia, sta annuendo con il suo sorriso migliore, tristemente felice.

Piccola bibliografia per chi vuole scrivere


Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, Feltrinelli 2013
Herman Melville, Moby Dick o la Balena, Adelphi 1994
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