Io 45 anni: Allora come ti è venuto di leggere Il Coltivatore del Maryland di John Barth? Son più di mille pagine…
Mio figlio 18 anni: Me l’hai consigliato tu (ride), come gli altri libri di Barth.

Si, ma a parte questo…
Dopo la felice esperienza di aver letto gli altri libri La fine della strada, L’opera galleggiante e Giles ragazzo capra ero curioso di leggere anche questo.

E cosa ti aspettavi?
Nulla. Meglio, non sapevo cosa aspettarmi. Non avevo la benché minima idea di cosa potevo aspettarmi. Barth è un grande scrittore e pertanto può fare libri sensibilmente differenti ma riesce sempre a catturarti, in un certo senso ti assimila, ti fa entrare in ogni singolo aspetto del romanzo.

Allora cosa ti ha impressionato e/o stupito mentre leggevi questo libro in particolare?
La cosa che mi ha fatto riflettere subito e per la prima volta “pensarci veramente” è il fatto che lì a fine 1600, quando è ambientato il romanzo, le persone effettivamente non avevano modo di verificare l’identità di altre persone. Non c’erano fotografie o documenti certi, ti dovevi fidare di un pezzo di carta contraffatto magari. Uno non ci pensa mai ma in realtà era così…

Si, non sono un esperto, ma credo che nell’ambito giuridico legato al riconoscimento di persone e cose nel libro, ci sia anche la differenza tra diritto romano e common law britannico, dove il sistema giuridico funziona sul fatto che convenuti e imputati giurino la verità a proposito di fatti e identità e cause e quella cosa faccia giurisprudenza piuttosto che attenersi a documenti terzi emessi dallo stato e che comprovano un dato fatto o una data identità… il mondo anglosassone è sempre per conto suo e qui Barth ne fornisce una narrazione in iperbole così intelligente e divertente che diventa straordinariamente puntuale ed efficace nel delineare un romanzo storico che è molto di più di un romanzo storico.
L’altra cosa che mi ha colpito è stato scoprire il Maryland all’inizio della colonizzazione, il contesto sociale e rurale. E mi ha affascinato, per come la racconta Barth, questa cosa di arrivare dal mare e trovare una terra sconosciuta o percorrere con le barche un fiume, navigare una baia e ritrovarsi in diversi approdi… Non so… tutto questo sentimento di scoperta di una terra e il retrocedere alla ricerca delle proprie origini con una consapevolezza diversa… è una specie di viaggio avanti e indietro nel tempo.

E dello stile e della scrittura che mi dici? Avendo letto gli altri libri hai trovato consonanze, diversità?
Un grande autore è sempre lui, ma non è lui. Qui lo stile è anni luce, ad esempio, da quello de L’opera galleggiante, è un’intercalare di punti vista, di finzioni anche stilistiche e succedono un’infinità di cose che si rincorrono nelle vicessitudini dei personaggi. Qui c’è il romanzo storico affrontato da Barth come solo lui sa fare, nel senso che ne fa una parodia senza che sia una vera parodia ma con una lingua raffinata, precisa e mistificatrice. È lo spirito dei grandi scrittori che si sente, l’approccio del grande scrittore. È questa la cosa che accomuna tutti suoi scritti.

Molte vicende, molti personaggi. Qual è, tra le mille storie forgiate una dentro l’altra in questo romanzo, la vicenda che ti è piaciuta di più  e quale personaggio?
Come vicenda credo che la mia preferita sia la storia di Joan Toast. All’inizio sembra un personaggio secondario, un comprimario, poi il suo legame con il protagonista, che è veniale e platonico all’inizio, riaffiora e diventa qualcosa di fondamentale per tutto il libro in se. Non dico niente per non fare spoiler. Come personaggio quello più affascinante è ovviamente Burlingame anche se a me sta antipatico. Poi il suo fratello anglicizzato, mentre leggevo, però alla fine no. Quindi forse anche McEvoy, come dicevi tu, è un personaggio che mi è piaciuto, e si forse per quel senso dell’onore che ha come pari solo quello del protagonista Ebenezer. Alla fine tutti i personaggi non sono quello che sembrano, mutano o fingono, o si scoprono per quello che sono o non sono nel profondo.

Quindi le persone non cambiano ma si rivelano… e tornando anche alla riflessione iniziale possiamo dire che è una storia di mille storie su chi uno sia veramente, una riflessione sull’identità?
Si, ma è più complesso di così. A volte per esempio Burlingame sembra il lato oscuro di Barth ed è come se Barth, la sua voce d’autore, facesse diventare Barth stesso l’unico che è veramente chi vuole essere, dentro e fuori dal libro. È una sensazione strana.

E c’entra anche la riflessione di Bertrand su Boccoli e ricci delle parrucche? Me li avrai nominati 30 volte ‘sti boccoli e ricci mentre leggevi.
Si, perché quando trovi un concetto scritto bene ti arriva dritto dentro e ti riconosci lì in quello che sei.

Detto con parole tue “boccoli e ricci”?
Non c’è nessuna scala, siamo tutti sullo stesso gradino e non c’è niente attorno.

E… il miglior modo per cambiare le cose è scrivere quindi?
Sì.

Facile così.
Sì (ride). E poi c’è quell’aspetto ulteriore che solo la grande letteratura sembra riuscire a far scorgere, come dice anche Gaiman in Sandman ad un certo punto… la differenza tra personaggi e persone esiste? Nel coltivatore di erba locca c’è una frase significativa a pag 443 del secondo volume, in cui Ebenezer si riferisce a persone di cui ci si racconta e che assumono in definitiva una personalità da personaggio leggendario all’interno della comunità:

Se questa è l’ultima verità – disse Ebenezer – sa il Cielo se la vita non è potente. Quando rifletto sul peso e sulla forza di queste finzioni di fronte alla povera ombra del mio io, tante volte contraffatto, io credo che abbiano dieci volte la mia sostanza.


Ok, fermiamoci, troppa filosofia, poi ci linciano. Torniamo alle cose serie e palpabili. Non ti è sembrato che ci fosse un po’ troppo sesso in questo libro?
Sì (ride).

Vabbè… a parte gli scherzi: che è tutto ‘sto sesso in ‘sto libro?
Riflettevo con un amico l’altro giorno… ha detto che se ci fosse stato meno sesso ci avrebbe dato più fastidio… probabilmente è vero… rispetto a tutto quel sesso che effettivamente è tantissimo e continuamente per tutto il libro.

Che sarei io poi l’amico
Sì, era questa la battuta: quale altro mio amico può aver letto Il coltivatore del Maryland che manco si trova in giro? Tu l’hai cercato per anni.
Comunque Barth sottende spesso anche in questo libro che è meglio farsi censurare la forma che la sostanza… e quindi la storia si fa in camera da letto e blablabla… e il sesso si giustifica. Tra l’altro in letteratura molte volte sembra quasi che il sesso non ci sia nella vita, ma c’è.

Io spero solo, perché ormai il sospetto mi è venuto, che uno dei motivi per cui questo libro (magistralmente tradotto da Luciano Bianciardi negli anni sessanta) o Giles ragazzo capra non vengono ripubblicati da 42 anni non sia il sesso descritto da Barth o, specie in questo libro, il suo tratteggiare le figure femminili e la loro condizione. Sarebbe molto triste per un paese come il nostro, vorrebbe dire che stiamo tornando indietro e non siamo in grado di affrontare riflessioni importanti sulla condizione di uomo o di donna oggi. I problemi di tutti sono molto più profondi e complessi, legati o meno che siano alla famiglia o al concetto di famiglia. C’è un problema di accettazione dell’altro in toto, c’è quella rivendicazione e confusione di ruoli che Barth tratteggiava allora come ruoli sociali ma che ora sono diventati “ruoli esistenziali”, un’attitudine all’egoismo e al personalismo dove l’unica cosa certa è la difficoltà della condivisione e del sostenersi. Una difficoltà che genera violenze fisiche e soprattutto psicologiche in ogni persona, genera l’invisibilità dell’altro, che è la cosa peggiore, nonché … be’… ci sarebbero troppe cose da dire … Tornando al libro, c’è qualcosa che non ti è piaciuto?
(Lungo silenzio) No. Perché alla fine è perfetto, quadra tutto, è come Jenga, se levi un pezzo cade tutto.

Ieri dicevo che la letteratura è combattimento, intendendo che quando si sente la vita che si contrasta nelle parole di un libro, un impulso creatore distruttore e di rinascita quelle parole sono necessarie e diventano potenti e vere. Tu hai detto spesso che dietro un grande libro c’è per te qualcosa che lo vivifica oltre le parole dandogli quel sentimento di autenticità che ci colpisce, e io sono pienamente d’accordo. Ma ne Il coltivatore del Maryland e anche in Giles ragazzo capra non trovi che ci sia persino di più, cioè la capacità di Barth di guardare questi aspetti con consapevolezza estrema e renderli anche un gioco di sfida, sofisticazione e combattimento di visioni tra lui e il lettore?
Sì… dietro ogni prodotto artistico c’è il conflitto, e forse dietro la forza di questi libri di Barth c’è un’esaltazione di questi continui punti di vista dei personaggi e delle storie che si raccontano, pienamente giustificabili per loro e che al contempo risultano intollerabili all’orecchio e alla coscienza di altri personaggi, fino ad un nuovo succedersi di opinioni, storie e punti di vista.

Va bene, abbiamo detto un po’ di cose anche noi su questo libro, assimilabili al libro stesso, stiamo facendo anche confusione per chi non l’ha ancora letto e, sottolineo, dovrebbe leggerlo. Prova a dire qualcosa di semplice sui tuoi libri preferiti che sono leggermente diversi da questo, che però ritieni sia uno dei libri migliori che tu abbia mai letto.
I miei libri preferiti (Il male oscuro di Berto, Dhalgren di Delany, Storie di vagabondaggio di Hesse, L’opera galleggiante dello stesso Barth per dirne alcuni) sono accumunati dal movimento vorticoso della vita, dal caos che fingiamo di non vedere nei nostri giorni. Allo stesso tempo, mi aiutano a riconoscermi e a rinforzare con forme funzionanti, se non perfino eleganti, ciò che pensavo: una riflessione esistenziale, una cognizione politica, una spiccata sensazione. Spesso differenzio i libri migliori dai miei preferiti perché i primi hanno una struttura, uno stile, un’idea di fondo incredibilmente ben assortita, mentre gli altri mi colpiscono perché sembrano configurare e realizzarmi addosso ciò che io sono in un dato momento della mia vita. Sono certo che i libri a cui siamo più affezionati, se fossero stati letti in un altro periodo della nostra esistenza, non avrebbero avuto la stessa intensità per noi, lo stesso riverbero che hanno avuto invece nella cognizione del nostro modo di vedere le cose. Forse l’unica differenza con la realtà è che troviamo una mano invisibile che incanala gli eventi, le percezioni, senza necessariamente ordinarli ai nostro occhi, affaticati da luci intense quanto da affascinanti baluginii che scorgiamo tra le pagine e le idee stesse, che si affievoliscono sempre di più nella nostra coscienza, sempre di più fino a scomparire. Finché, quando meno te lo aspetti, riappaiono. È questa il merito della gran letteratura, è questo il suo fardello.

Bene, grazie del tuo tempo in questi tempi di clausura da virus. Direi che per alleggerirci i pensieri non possiamo che chiudere con una citazione di un altro finale di libro che mai fu più appropriata per dire di che cosa parli in definitiva Il coltivatore del Maryland, e sono certo che Barth sarebbe d’accordo, e quindi:
“D-o, ma di cosa parla questa storia?”

Di BALLE, e nel suo genere è una delle migliori che io abbia mai sentito.”

                                                  (grasse risate)

Simone e Juri Battig