Brevemente risplendiamo sulla terra di Ocean Vuong è un romanzo tutto d’un fiato, un intreccio di legami, di parole, di percezioni che si dispiegano in un tempo circolare, abbracciando tre generazioni diverse, e in uno spazio bidimensionale, tra i bombardamenti della guerra in Vietnam e i suoi inevitabili contraccolpi sull’anima del giovane protagonista, Little Dog. Una lettera intensa e commovente di un figlio per la madre, un inno alla scrittura e al potere evocativo e generativo della lingua, cerniera che unisce il passato con il presente, che scuote dal torpore una memoria latente e sbiadita, ne verbalizza gli odori, le voci e le emozioni sopite dal tempo, nel tentativo di restituirle in una forma del tutto nuova, più intima, più consapevole. “Ma’. Una volta mi hai detto che la memoria è una scelta”, ripete più volte Little Dog, quasi a rimarcare l’arduità dell’impresa: a volte sarebbe più semplice rimuovere i ricordi spiacevoli, ma la memoria è una scelta ineludibile, riaffiora per parlare al nostro inconscio, interferisce con i nostri pensieri e plasma le nostre azioni. “Il passato di cantare non è cantato” (Hoa Nguyen) perché il passato converge nel presente, il presente si proietta nel futuro e noi non siamo che un meraviglioso congegno in fieri, segnato dalle esperienze già vissute, da reinterpretare e affinare per costruire il nostro oggi e riappropriarci di un senso del domani.

La storia del giovane vietnamita protagonista è indissolubilmente legata a quella della madre Rose, costretta dalla guerra ad emigrare negli Stati Uniti e a fare i conti con una forma di stress post-traumatico, e a quella della nonna Lan, che ha vissuto l’esperienza della guerra sulla propria pelle. Little Dog è una figura di transizione, mediatrice di due mondi lontani, quello vietnamita e quello americano, è lo spazio intermedio in cui due realtà linguistiche e culturali coesistono e inter-dipendono.

La lingua inglese, sconosciuta alle due donne, è la risorsa che consentirà a Little Dog di integrarsi nella cultura americana, di negoziare nelle situazioni quotidiane da “interprete ufficiale della famiglia” e di trovare lavoro come raccoglitore di tabacco. La lingua inglese come indicatore di riconoscimento sociale è una “maschera” che Little Dog ha deciso di indossare, spogliandosi della sua lingua materna, in modo che gli altri possano vedere il suo viso e quello della madre. “Ma’, parlare nella nostra lingua madre significa parlare in vietnamita solo in parte, e parlare tutto in guerra”, una lingua orfana le cui parole sono state brutalmente recise dalla guerra. Un’assimilazione alla lingua della cultura dominante che, per certi versi, ricorda la denuncia di una visione classista della lingua in una delle più note commedie scritte da G. B. Shaw, Pigmalione (1913). Eliza Doolittle è una giovane donna che per emanciparsi socialmente deve imparare a parlare “correttamente” l’inglese e si trova costretta a divenire l’oggetto di un esperimento socio-scientifico condotto dal professore Higgins, esperto in fonetica, il quale si arrogherà il merito di aver trasformato Eliza da un “piccolo fiore” in una “sophisticated lady”.

Ma la comunicazione è multifattoriale e complessa, non si riduce alla mera distinzione tra lingua madre e lingua seconda, è espressione di un linguaggio universale che ci permette di entrare in sintonia con il mondo circostante attraverso il corpo e l’anima, nella rivelazione di un’unica energia vitale. “A volte le parole scarseggiano” dice Little Dog, ma “in tal caso la mano, anche se limitata dalla pelle e dalla cartilagine, può diventare la terza lingua, quella che si anima mentre la lingua inciampa”. La comunicazione si nutre di legami, di empatia e di collaborazione e, solo grazie a questi legami, Little Dog risana le sue ferite e sincronizza la sua anima con quella degli altri mentre lavora nei campi: “un lavoro formato da una miriade di comunicazioni, che mi ha insegnato a parlare con quegli uomini non attraverso la mia lingua, che era inservibile lì, ma con i sorrisi, i gesti delle mani, persino i silenzi e le esitazioni. Creavo persone, verbi, astrazioni e idee con le mie dita e le mie braccia, disegnando nel terreno”.

Un romanzo in cui identità e alterità si fondono nella bellezza della diversità.

Claudia Melcarne


Ocean Vuong è nato in Vietnam nel 1988 e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1990 ha vinto il Whiting Award e il T. S. Eliot Prize con la sua raccolta di poesie Cielo notturno con fori d’uscita. Brevemente risplendiamo sulla terra è il suo romanzo d’esordio tradotto in 21 lingue e best-seller per The New York Times.

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