Numero 12 | Settembre 1998

Di Claude, autore per le edizioni Mobydick del romanzo Caneporco, sappiamo ben poco. Che è uno pseudonimo, che è praticamente alla sua opera prima, che ama disegnare individui con la testa tra le mani, reclinata verso il basso, come si evince dalla copertina del libro da lui stesso realizzata. Un corpo che pare sospeso nel vuoto e sa di sconfitta. Il tutto in sintonia con le quasi duecento pagine a seguire, che trasudano di alcool e sesso, amori e malinconie, sogni, speranze, disincanto, solitudine, asprezze. Ma soprattutto di vuoto, un vuoto apparentemente colmabile solo con gli eccessi, le sbronze, le corse a folle velocità, i viaggi esotici, rimando ad un altrove mitizzato e consolatorio.

Certo, vi è del déjà vu in questi temi (come non pensare, in particolare, a certa letteratura americana degli anni ’20 o degli anni ’60 e dintorni); così come il fluire della scrittura, tra il gergale e lo stream of consciousness, richiama modelli noti, seppure generazionalmente distanti tra loro.

Ma siccome tutti, chi più, chi meno, procediamo per filiazioni, non dobbiamo scandalizzarci davanti a determinati riferimenti, debiti, tributi, tanto più se si considera che l’autore è giovane e avrà modo e tempo di prendere le giuste distanze dai suoi padri e miti letterari.

Fatte questa premesse, cosa resta allora di Caneporco? Non poco direi. Una saga amara, trascinante, uno spaccato del disagio e del vivere in un mondo che sta perdendo i vecchi valori senza la capacità di sostituirli, come recita una appropriata nota editoriale nella bandella del libro. E resta il linguaggio, ibrido, slabbrato, crudele, mobile, a tratti frenetico, che sa farsi carico, con lucida e amara consapevolezza, di un andare alla deriva: «… S’accartocciava la vita mia, si crepava la mia faccia, s’inceneriva il mio vestito», di una tensione che oscilla tra volontà di potenza e naufragio dei propri punti di riferimento: «Camminavo sotto la pioggia nel mio spolverino un sabato mattina della fine di ottobre che era la prima volta che ero a Ferrara. Volevo essere felice. Ero disperato. Ecco, tutta qui la mia pena… ».

Tutto qui, ci viene da ripetere malinconicamente con l’autore, proprio tutto qui il discrimine tra la vita sognata e quella reale…

Daniele Serafini

Il libro nel 1998

Claude
Caneporco
Mobydick 1998
pp. 190
L. 20.000

Il libro attualmente è fuori catalogo