Leggere i Canti monferrini in lingua piemontese dell’Alto e del Basso Monferrato, con l’ausilio della traduzione italiana a cura di Romagnoli per l’edizione di Zedde, per me, torinese cresciuta con nonni astigiani e alessandrini, è stato come risentire la loro voce intonare melodie che ho potuto solo immaginare, ma la cui potenza, attraverso la lettura, arriva forte e chiara ancora oggi nel 2024. Perché è nella cultura popolare di ieri che pone le radici la storia di oggi.
Durante la lettura immaginavo questi componimenti recitati e cantati nelle stalle, nelle veglie delle notti invernali, come mi raccontavano proprio i miei nonni. Erano questi i momenti di distrazione in un mondo duro di contadini e piccoli artigiani in cui ci si svegliava all’alba per andare a lavorare la terra o in bottega e si rincasava col buio, nascendo e morendo nello stesso luogo, spesso proprio nella stessa cascina.
Ed è l’amor patrio a spingere Giuseppe Ferraro, insegnante e studioso di Carpaneto nato nel 1845, a intraprendere questo lavoro di raccolta di canti e strambotti, fino ad allora tramandati solo oralmente, per pubblicarli poi, per la prima volta, nel 1870 su La rivista europea.
Nella sua prefazione sottolinea proprio come la natura del popolo meglio si manifesti nelle poesie popolari, non turbate da mode letterarie o straniere e come la lingua sia il più grande documento della vita di un popolo.
E’ interessante come attraverso questi canti possiamo seguire passo dopo passo lo svolgersi della nazione, in modo ben più autentico di come si potrebbe fare invece leggendo poesie o componimenti artistici dell’epoca. E’ proprio l’autenticità a spiccare in questo tipo di componimento, la cui finalità non era solo quella di intrattenere, distrarre e allietare, ma anche mettere in guardia i giovani sulle difficoltà della vita e sulle loro conseguenze. Ecco quindi che spesso questi canti assumono anche un fine educativo.
I temi sono molti e mostrano la vita sociale e familiare nella loro più cruda realtà: l’innamoramento, la morte, il distacco dalla famiglia d’origine per maritarsi, la fame, il commercio, la vita militare e sopra tutti la seduzione amorosa, spesso messa in atto dal bel galant, che nella maggior parte dei casi mette a rischio l’onore delle fanciulle, ingannandole con minacce e menzogne. Si pensi al componimento intitolato L’abbandonata in cui la protagonista Margherita, dopo aver ricevuto la promessa di amore eterno, scopre che in Francia il suo Carlino ha moglie e figli: Ajò savì ina nuvela / Da ina dir vostr amant, / Ch’jei ra mujè an Fransa / Cun dui piciott’anfant.
Un’altra figura dalla quale vari componimenti mettono in guardia è quella del capitano o soldato, anche lui seduttore e ingannatore.
E a proposito delle figure militari, spesso la guerra fa da sfondo alla vicenda narrata, si pensi al tema ricorrente dell’addio alla sposa o al ritorno a casa per poterla ritrovare.
O come la bella Giovannina che ne La spedizione d’Egitto fagirare la testa a tutti i soldati ed è l’oggetto dell’amore di uno di questi, che, affranto di doverla lasciare per andare in guerra, canta: Ajò da partì / E andèe così luntan! / Ajò da murì / Luntan da ti, / Cara più che mi.
Altro tema ampliamente trattato è quello della triste fine che fanno le fanciulle una volta sposate. I canti sembrano volerle metterle in guardia da un destino amaro fatto di rapporti complicati con le suocere incontentabili a cui far da serve, mariti violenti e bun a nent, ai quali si augura Ch’u vena u dia – ai nomi maridà! Pijièi e capilèi – e fène ina frittà! e donne appunto maritate e pentite Sun maridaja jer, ades a sun pentija. In alcuni componimenti la fine per la sposa è addirittura tragica con l’uccisione della stessa da parte del marito geloso. Per il tradimento femminile non ci sono eccezioni, la pena è sempre la morte.
L’asprezza della vita emerge quindi senza sconti, raffigurando fedelmente la realtà del tempo in cui la società di tipo patriarcale pone il destino della donna sempre nelle mani del padre o dei fratelli.
Rarissimo, ma non completamente assente, è il lieto fine, presente per esempio nel componimento intitolato La brunetta in cui il Galante condannato a morte viene salvato dalla sua bella.
Per concludere, questo tipo di poesia popolare pare uno sfogo dell’animo concitato contro i mali che lo circondavano, sfogo rozzo, foggiato sugli inni della chiesa e sui canti militari popolari tradizionali che solo in un secondo momento diventò componimento artistico, politico, accompagnato dalle armonie del suono e del canto.
È bello pensare che queste poesie venissero fatte direttamente dal popolo ed è bello poterlo notare, nel corso della lettura, dai versi troppo lunghi o al contrario troppo brevi che tornano quando nel canto o si mangia o si trascina una parola, dalle rime strambe e ripetute, dalle imperfezioni e dalle irregolarità.
Consapevole che le credenze popolari fossero la scienza e la filosofia del popolo, Ferraro raccogliendo questi archivi orali delle credenze, delle memorie, dei popoli, dei loro costumi, solleva un velo che scopre tesori nascosti e pone un argine all’opera distruttrice del tempo.
Alice Piano

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