Charlotte Brontë scrive a William Wordsworth nel 1840: “sin dalla nascita, la mia vita è trascorsa nella segregazione di queste colline, dove non mi è stato dato di sapere ciò che sono né ciò che posso fare”. Charlotte mente, agli altri e a sé stessa, mente perché si sforza di essere quello che non è. Ricerca una sua identità, combatte per adattarsi alle regole di un’epoca che non le appartiene. Mente quando cerca di incarnare, nelle sue lettere all’amica Ellen Nussey, l’idea di donna vittoriana, mente quando racconta di stare bene a Roe Head dove fa l’istitutrice, un lavoro che detesta. Charlotte è diversa, lo sa, e ne ha paura, un fatto del tutto comprensibile se sei nata nel 1816 e sei figlia di un reverendo. Charlotte vuole scrivere. E anche se le poesie pubblicate sotto pseudonimo non vengono apprezzate come dovrebbero, Charlotte non si perde d’animo e con Anne ed Emily si mette al lavoro per scrivere un romanzo. Percepisce che così potrà far sentire la sua voce. Quando nell’ottobre del 1847 Jane Eyre finalmente viene stampato dalla Smith, Elder & Co, e messo sul mercato, anche se sotto pseudonimo, Charlotte è consapevole di aver trovato il suo posto.

Anche Jane come la sua creatrice cerca la propria identità e la propria indipendenza. Jane è l’antieroina del periodo vittoriano, non è una donna reticente, ma ha una voce che usa per farsi rispettare. Jane cerca l’indipendenza economica in un mondo di donne alla ricerca del marito e del mantenimento. Jane lavora, è intelligente, parla con schiettezza e non se ne vergogna. Jane è una donna moderna intrappolata in un ambiente vecchio e stantio. Jane è caparbia, ambiziosa, ha dei sogni, e ha una morale che non la abbatte e la difende dalle ingiustizie e dalle tentazioni del mondo. Questa è Jane e questa è la donna che fa scalpore nel 1847 e che rimane profondamente incisa nella mente di chi la legge e la conosce.
Cime tempestose di Emily è un romanzo complesso, intrinseco, crudo, che arriva solo dopo; Agnes Grey di Anne invece è quotidiano, realistico, con uno stile quasi alla Jane Austen. Jane Eyre è cambiamento, si impone nel panorama editoriale, e sebbene la critica lo ostacoli, si inserisce con prepotenza fra i lettori. Di Jane vengono pubblicate più edizioni, nella terza del 1850 Charlotte decide di rivelare l’identità sua e delle sorelle e di scrivere un ritratto nella Prefazione di Emily e Anne che ormai sono già morte.

La prima edizione riporta il titolo originale Jane Eyre, un’autobiografia. Non a caso molti elementi della vita narrativa di Jane vengono dall’esperienza diretta di Charlotte Brontë.

Orfana, Jane vive una piccola parte della sua vita con la signora Reed per poi essere spedita a Lowood. Un orfanotrofio insalubre, fatiscente, con un regime che prevede studio, preghiera e pochissimo e pessimo cibo. “La valle boscosa dov’era situata Lowood era un focolaio di nebbie e di miasmi che, sviluppandosi con la primavera, invasero l’orfanotrofio e diffusero il tifo nell’affollata aula domestica e nel dormitorio, cosicché, a maggio, il collegio si trasformò in un ospedale”. Lowood è gelida, come lo è l’acqua con cui sono costrette a lavarsi le ragazze. Charlotte ricorda bene gli anni trascorsi a Cowan Bridge, il collegio dove lei, Emily, e Maria ed Elizabeth, le maggiori della famiglia, avevano vissuto tra privazioni, dolore e solitudine.

Jane incontra Helen Burns e le due stringono un profondo legame. Helen si ammala di tubercolosi, la malattia che avrebbe sterminato la famiglia Brontë, che aveva minato la salute di Charlotte, che si era presa le sue sorelle. Il Cowan Bridge, l’austero collegio per figlie di sacerdoti, diventa l’incubo delle sorelle Brontë. Quando Patrick Brontë, il padre, lo capisce, è troppo tardi, la TBC mina i polmoni di tutte.

Elizabeth Gaskell ci racconta nella sua biografia su Charlotte (Life of Charlotte Brontë): “Non ho bisogno di dire che Helen Burns è l’esatto ritratto di Maria Brontë quale la straordinaria bravura di Charlotte ha saputo rendere, e quando la incontrai mi resi conto che il suo cuore fino all’ultimo ardeva ancora di inutile indignazione al ricordo dell’astiosa crudeltà di quella donna (si riferisce a una crudele insegnante del Cowan) nei riguardi della mite e paziente sorella moribonda. Non una sola parola nelle scene che in Jane Eyre descrivono i contatti della maestra con l’allieva si allontana dalla verità”. La Gaskell inoltre asserisce di aver ricevuto la testimonianza da una delle ex compagne di Maria che metteva alla luce gli orrori del Cowan, la cattiveria e l’incuria verso quelle ragazze. La testimonianza non riporta i nomi delle vere insegnanti, ma quelli usati in Jane Eyre, per la Gaskell erano esistite entrambe sia Miss Scatcherd che Miss Temple e Charlotte le aveva fatte rivivere nella sua storia. “Una mattina la povera Maria, che recentemente era stata indisposta e aveva una ustione non ancora guarita sul fianco dove le avevano applicato un vescicante, ai rintocchi della campana che dava la sveglia disse gemendo che si sentiva male, molto male, e che desiderava tanto di rimanere a letto; alcune delle ragazze la incoraggiarono a non alzarsi e proposero di andare a esporre il caso alla sovrintendente Miss Temple. Ma Miss Scatcherd era vicina e non potevano arrischiare di suscitarne la collera prima di avere ottenuto il gentile comprensivo intervento di Miss Temple; perciò tremando dal freddo la piccola ammalata incominciò a vestirsi e, senza scendere dal letto prese a infilarsi lentamente le lunghe calze di maglia nera sulle gambette magre e pallide; (mentre parlava la mia informatrice mi dava l’impressione di rivivere la scena arrossendo dall’indignazione). Proprio in quel momento Miss Scatcherd uscì dalla sua camera e, senza chiedere una parola di spiegazione alla ragazzina sofferente e spaventata, l’afferrò per un braccio, proprio dalla parte dove il vescicatore era stato applicato, e, con un vigoroso strattone la sbatté nel bel mezzo della stanza, censurando nel frattempo le sue abitudini al disordine e alla sudiceria. Poi la piantò in asso”.

Emily troppo piccola all’epoca di Cowan (aveva quasi cinque anni) non poteva ricordare tutti gli orrori vissuti lì, ma sicuramente poteva Charlotte, la più vivace, la brillante sorella, diventata maggiore all’improvviso (Maria ed Elizabeth contraggono la TBC a causa della scarse condizioni di vita nel collegio e muoiono), che avrebbe serbato la vendetta di denunciare un luogo così oscuro e sudicio.

Come Charlotte, anche Jane diventa istitutrice, insegna alla stessa Lowood che viene migliorata dopo l’epidemia di tifo, e poi accetta di lavorare a Thornfield, per la figlia di Mr. Rochester. Allo stesso modo, Charlotte va nel collegio di Roe Head e da alunna diventa insegnante, per poi passare a essere istitutrice per diverse famiglie.

Ma a Charlotte la carriera da istitutrice sta stretta, per cui ha l’idea di fondare una scuola con Emily e Anne. Per migliorare quindi il suo francese va a Bruxelles, inizialmente con Emily e poi da sola, nella scuola di Monsieur Héger. Qui Charlotte conosce l’amore. Un amore tormentato ma non corrisposto. Un amore che la Gaskell non rivela per pudore, ma che è ritrovabile nelle lettere spedite a Héger. Per via della moglie molto gelosa, Monsieur Héger non risponderà mai a Charlotte, lasciandola delusa e amareggiata. Jane invece è ricambiata da Rochester, l’amore tra loro è profondo, viscerale.

In una lettera a Emily da Bruxelles, Charlotte scrive di sentirsi depressa, “non sono malata fisicamente. È solo la mente che, per mancanza di conforto, è un po’ scossa”. Il turbamento nella lettera testimonia l’infelicità di Charlotte che di lì a poco sarebbe partita per tornare in Inghilterra, incapace di sopportare la tesa atmosfera che i sospetti di madame Héger avevano creato. A Haworth, a casa, Charlotte scrive più volte al suo professore. “Le ho, tempo addietro, scritto una lettera nient’affatto sensata, perché avevo il cuore colmo di piena, ma non lo farò più. Mi sforzerò di non essere più egoista; e anche se attendo una sua lettera come una delle più grandi felicità da me conosciute, attenderò con pazienza finchè non riterrà opportuno inviarmene una. […] Non le chiedo di scrivermi a breve scadenza, non voglio importunarla. Ma Lei è troppo buono per dimenticare che io lo desidero comunque. Sì, lo desidero grandemente”. Questa lettera crea scompiglio tra i coniugi Héger, visti i sospetti della moglie. Ma Charlotte imperterrita continua a desiderare una risposta, “Giorno e notte, non trovo riposo né pace. Se dormo, sogni vengono a turbarmi, dove La vedo sempre serio, sempre grave, sempre irato con me. Mi perdoni, Signore, se ho preso il partito di scriverle ancora. Come potrei sopportare la vita, senza tentare di alleviare quest’ansia? […] Ma Lei, un tempo, mi ha manifestato un po’ di interesse e ci tenevo quanto tengo alla vita. Forse Lei mi dirà: «Io non provo il minimo interesse per lei, signorina Brontë. Lei non fa parte di quanti abitano sotto il mio tetto, l’ho scordata». Ebbene, Signore, me lo dica francamente. Sarebbe un colpo per me, ma poco importa. Sarebbe meno terribile dell’incertezza”.

L’ultima lettera spedita a Héger è datata 18 novembre 1845; dal suo legame con il suo maestro, Charlotte darà vita prima al romanzo Il professore che verrà rifiutato dagli editori e pubblicato post mortem e poi a Jane Eyre. C’è tanto di quell’amore in Jane, come c’è tanto di Héger in Rochester, entrambi uomini tenebrosi e scontrosi.

Jane non è intimidita affatto dalla personalità di Rochester (come non lo è Charlotte da quella di Héger), anzi lo ama proprio perché ne condivide l’animo ardente; Rochester è attratto da lei non per il suo aspetto, come Charlotte, Jane è piccola di statura e poco attraente, ma per la sua anima, per la libertà con cui si esprime, per la sua onestà e schiettezza. “È come se avessi una corda da qualche parte qui nel petto, a sinistra, legata stretta a una corda simile che si trova dentro di voi, nello stesso punto”, le dirà lui, dopo che Jane, donna anticonformista, si dichiarerà a lui. C’è una passionalità nel loro amore, che la tormenterà anche quando si allontanerà da Thornfield, che non si conviene a una storia vittoriana. Ma è questa la caratteristica che fa delle sorelle Brontë delle scrittrici rivoluzionarie.

Dopo essere scappata da Rochester (Jane scopre che Bertha, la prima moglie, è ancora viva e vive come un fantasma nella tenuta), Jane riceve la proposta di matrimonio dal reverendo John, ma ancora una volta la nostra Jane stupisce il lettore, rifiutando un legame fondato sul dovere e privo di slancio erotico. Immaginate come dovesse risuonare eccentrica la nostra protagonista agli occhi di un lettore vittoriano. Nel romanzo, inoltre, entrano in gioco diversi elementi gotici che riportano all’atmosfera di Haworth e della brughiera inglese. Jane sente Rochester chiamarla, una voce trasportata dal vento, ma Jane resiste, salda nei suoi principi, come lo è la sua creatrice. Solo quando Bertha sarà morta, Jane si concederà di vivere a pieno il suo sentimento e rimanere accanto all’uomo che ama; da donna che ha scelto per sé stessa ed è rimasta fedele a sé stessa per tutta la vita.

Ma allora chi è la scrittrice Charlotte Brontë? Una creatura indipendente, che ha vissuto fra la solitudine, nonostante l’amore e il legame con le sorelle. Scrive: “il silenzio e la solitudine mi pesano addosso come una cappa di piombo” alla sua amica Ellen che le rimane accanto fino alla fine, con cui Charlotte spera di poter vivere. “Se potessi vivere sempre con te, se le tue labbra e le mie potessero contemporaneamente abbeverarsi alla stessa fonte di pura misericordia, io spero, credo che un giorno potrei diventare migliore”. Charlotte sogna un giorno di poter volare via, “come un desiderio di ali, ali che solo la ricchezza può donare – una sete di vedere, conoscere, imparare. Per un attimo, mi è sembrato che qualcosa dentro m’invadesse tutta. Ero torturata dalla consapevolezza delle mie capacità frustrate; poi tutto è crollato ed è sopraggiunta la disperazione”. Charlotte trascorre la sua esistenza a combattere con sé stessa, con le sue maschere, per ritrovarsi. Poi la morte di Anne sigilla il passato di malattia, morte e solitudine che la accompagna e le dà quelle ali per volare. In una lettera racconta che, dopo la perdita di Anne, vagherà “sulla costa orientale per una settimana o due, fermandomi solo in posti tranquilli e isolati”, ma in realtà pochi mesi dopo è a Londra, dove conosce personaggi come Elizabeth Gaskell, William Thackeray, Harriet Martineau, Matthew Arnold. Charlotte può finalmente muoversi nel presente, può diventare la vera Charlotte Brontë. Scrive, viaggia, contratta come un uomo, da pari a pari, col suo editore. Senza più pseudonimi e filtri, diventa una personalità, diventa scrittrice. Arrivano i romanzi Shirley e Villette. Poi il matrimonio, “diventare moglie è per una donna una cosa solenne e strana e difficile” e di nuovo Charlotte cambia, da Brontë a Nicholls, e poi chi lo sa, cosa succede, quel cambiamento la porta alla morte nel 1855. Forse Charlotte è stata sé stessa, o forse non lo è stata mai, ma è sicuro che è vissuta e vive nei suoi romanzi e nella moderna Jane Eyre.

Ilaria Amoruso

Bibliografia
Jane Eyre di Charlotte Brontë (Mondadori)
Charlotte, Emily e Anne Brontë. Lettere a cura di Barbara Lanati (Se)
Vita di Charlotte Brontë di Elizabeth Gaskell (Neri Pozza)