Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.
Alessandra Minervini tiene corsi di scrittura, scrive e legge molto. Il suo sito è alessandraminervini.info.
A Los Angeles i bambini costringono i genitori a fare ore di fila per potersi sedere qualche minuto sulle ginocchia della regina di ghiaccio, il personaggio più amato del parco divertimenti. Non sanno che sotto quel costume si cela Maeve, che di notte uccide e corre sulla Sunset Strip a bordo di una Mustang rosa del ’67, immersa nel paesaggio narcotico delle luci al neon. Poche cose, oltre al lavoro, contano davvero per lei: la sua migliore amica Kate e il corpo malato di sua nonna Tallulah, ex diva del cinema, venerato come un idolo pagano. Maeve non è una vittima dell’ambiente che la circonda; la sua voce è una vertigine infuocata, e il suo red carpet è una scia di distruzione stesa lungo i cocktail bar di Hollywood. Quando Gideon, il fratello di Kate, entra nella sua vita a sconvolgere un equilibrio già precario, Maeve sente riaprirsi vecchie ferite, e nuovo sangue comincia a scorrere.
mercuriobooks.com
Lezione n. 66
Scrivere bene il male
-->
«Questa è la mia storia, e voi non potete controllarla. Non più di quanto possiate controllare il vostro sesso che penzola sempre più in basso, né il surriscaldamento di questa grassa pigra galera di pietra che galleggia nel buio costellato da schizzi di sperma.»
Questo è un esordio non soltanto per chi lo ha scritto. È una forma di esordio anche per chi legge. È una scoperta. Cj Leede è una scrittrice statunitense, con un imperdibile profilo IG che sembra quello di una rockstar, tipo Chappel Roan che peraltro è la colonna sonora perfetta per leggerla, provate a cominciare il libro con Red Wine Supernova nelle orecchie e poi mi dite. Allieva della Columbia e, tra gli altri, dello scrittore amatissimo in Italia, Sam Lipsyte. L’esordio di Cj Leede è stato pubblicato in Italia da Mercurio Books, nuova realtà editoriale nata con le spalle robuste per competenza e con il pelo sullo stomaco per audacia nella selezione delle voci autoriali, e tradotto con grazia spasmodica da Gaja Cenciarelli. Cj Leed per alcuni è la Bret Easton Ellis femmina, la nipotina di Stephen King, la cugina di terzo grado di Chuck Palaniuk. Noi qui la consideriamo una voce che prima non c’era, probabilmente ispirata e contaminata dalle letture e dalle esperienze pregresse in un inevitabile melting plot. Di certo non esiste Maeve prima di Maeve. Romanzo sul coraggio della paura, sui sentimenti divoranti, sul male e sul bene che confondono le acque di una giovane donna di 26 anni, personaggio funambolico, crudele, lontanissima dal vittimismo e vicina al cuore nudo del dolore: la ferocia. Feroce è la voce, feroce la storia, feroce Maeve che insieme all’amica Kate, bellezza prorompente rispetto alla personalità in apparenza liminale della protagonista, lavora in un parco di divertimenti in periferia, in California. Il suo ruolo è la principessa. Di quelle travestite che aspettano nel castello che i piccoli visitatori le raggiungono per farsi una fotografia da favola. Nel mentre, nelle pause, o al termine Maeve pippa, fa sesso, guarda Youporn e rovina la vita a chi le capita a tiro, a volte con strategia altre no. Impossibile non interrogarsi su cosa sia il male e il bene, il senso di una vita dannata e di una dannazione felice. È stato un onore parlare direttamente con Cj Leede, che ringrazio con il cuore a palla; un ringraziamento va alla casa editrice, al suo ufficio stampa e a Lea Iandiorio che ha tradotto le risposte dell’intervista.
Cos’è per te scrivere, come e quando è arrivata la prima scintilla narrativa: da dove viene questo tuo primo romanzo, Maeve?
Scrivere per me è elaborare qualcosa, è catarsi, è esplorare diversi lati di me stessa e vedere fino a che punto posso spingermi. La narrativa esiste solo sulla pagina, e c’è così tanta libertà in questo. Si può fare davvero di tutto. Maeve è il risultato di un periodo di vita difficile durato diversi anni. Avevo appena perso il mio primo parente e poi ne sono seguiti altri tre. Il mondo si è chiuso a causa del covid e per anni ho ricevuto lettere di rifiuto, a volte quotidiane, su tutto ciò che avevo scritto. Ero terrorizzata dall’idea di perdere i familiari più stretti che avevo ancora, sentivo di non avere alcun controllo su nulla nella mia vita e avevo solo bisogno di urlare. Ecco cos’era Maeve: un urlo e una catarsi. È stato anche molto divertente permettermi di spingere le cose il più lontano possibile. Dicono che è sempre il romanzo “Vaffa” che finisce per essere pubblicato, e per me è stato davvero così: pensavo che nessuno avrebbe mai voluto leggere nulla di ciò che avevo scritto, quindi ho scritto solo per me stessa. E alla fine quello è stato il libro che le persone volevano al mondo.
«Mi piace da morire impersonare la mia principessa. La maggior parte delle bambine qui è attratta da quella di Kate, dato che lei è la sorella incrollabilmente virtuosa, la protagonista che non solo salva il villaggio, ma che si innamora anche di uno scandinavo bello e possente e con cui metterà al mondo altri scandinavi più belli e possenti. Solo alle ragazze devastate piace la mia principessa, la sorella dai poteri distruttivi, quella senza marito. Quella che recita il ruolo sia della principessa che della cattiva.»
Uno dei temi è la relazione tra vittimismo e crudeltà come espressione del dualismo tra potere e sottomissione, seduzione e noia. Passa un’idea interessante e alternativa in Maeve: il vittimismo assume la forma del più pericoloso narcisismo. Senza spoiler, raccontaci chi sono le vittime e chi i carnefici per te?
Cerco di non analizzare o giudicare i miei personaggi, ma piuttosto di vederli come esseri umani imperfetti e unici che si muovono nel mondo, sempre con desideri, paure, speranze, sogni, simpatie e antipatie. Ma è anche facile considerare (credo), con una narrazione in prima persona, qualsiasi narratore come un narcisista perché vede il mondo solo attraverso il proprio punto di vista e come tutto si ricolleghi a lui, ma non era questa la mia intenzione principale. Penso che Maeve sia una persona che farebbe qualsiasi cosa per coloro che ama, è estremamente leale, e forse lo è fino a un livello malsano e distruttivo, ma questo è l’essenza della sua persona. È terrorizzata dall’idea di perdere chi ama, quindi si tiene molto stretta, e alla fine non è vittima di nessuno al mondo, se non di sé stessa, perché non riesce a vedere al di là di questa paura e di sé stessa per vedere chiaramente ciò che è in realtà proprio di fronte a lei.
Cos’è la rabbia per Maeve e in che rapporto di conflitto oppure di conciliazione si trova rispetto alle posizioni femministe più attuali?
La vita di un essere umano è difficile. Ci muoviamo ogni giorno sapendo che il nostro corpo non durerà più di cento anni anzi probabilmente meno, sapendo che anche tutti gli altri che conosciamo e amiamo passeranno a miglior vita. Possono arrivare le malattie, ci sono tasse da pagare, la politica è ovunque e possiamo o meno pensare di avere voce in capitolo su come si svolgono le cose, le settimane lavorative sono lunghe, gli animali domestici hanno una durata di vita più breve della nostra. Per non parlare degli orrori globali come la guerra e la disuguaglianza. Il mondo può abbatterti. E l’impotenza, la paura e il dolore possono talvolta manifestarsi come rabbia. Sono una scrittrice che scrive storie e non ho intenzione di fare affermazioni morali di ampio respiro o di dire a qualcuno come comportarsi. Nessuno dovrebbe guardare ai miei personaggi come a modelli da seguire o cercare consigli di vita in quello che scrivo. Sto solo scrivendo le mie idee, i miei punti di vista e creando personaggi di fantasia che esplorano quelle idee e quei punti di vista, così come quelli con cui non sono affatto d’accordo. Voglio vedere e capire tutte le sfaccettature di un argomento. L’unica cosa che mi premeva davvero in questo libro era che Maeve fosse vittima solo di sé stessa e di nessun altro. In un momento di impotenza della mia vita, ero stanca dei personaggi femminili sempre vittime delle circostanze – anche se in questo mondo siamo tutti vittime delle circostanze. Mentre i personaggi maschili non devono per forza essere così nella finzione. Patrick Bateman era orribile e brutale di per sé. E non avevo trovato un mostro femminile in un libro a cui fosse concessa la stessa libertà, così ne ho creato uno.
“«Dite cheese!», grida la madre.
Il bambino dà una bella strizzata al seno di Kate.
Il flash si illumina. La madre grida. Kate ride. Il padre cerca di sembrare sconvolto, ma si vede dal sorrisetto nascosto a stento, da come modifica la postura. È fiero del figlio. Avrebbe voluto essere lui a mettere la mano sul seno della principessa. Finalmente asseconda la fantasia che, fino a quel momento, stando in piedi davanti a noi, non si era concesso. La carne morbida e soda paragonata a quella della moglie, ormai madre, la gioia proibita di una ghiandola mammaria ancora intatta, ancora non conquistata da lui. Ecco l’invidia dei padri per la loro progenie.”
C’è un fatto di cronaca o un personaggio realmente esistito che ti ha ispirato per creare Tallulah, la nonna di Maeve, centrale per la protagonista?
Mia nonna insiste che Tallulah non è ispirata a lei. Non ha letto il libro, ma ha stampato ogni singola (non esagero) recensione su Goodreads, le tiene in un raccoglitore e le legge tutte. A volte mi telefona per informarmi sulle ultime novità. Ma durante la pandemia ero terrorizzata che potesse accadere qualcosa a una delle mie nonne. Avevo perso entrambi i miei nonni non molto tempo prima, ed ero molto legata a tutti loro, sono ancora molto legata alle mie nonne. Mi hanno insegnato a essere una donna forte e tante altre cose sulla vita. Sono infinitamente fortunata ad averle, e credo che la mia psicosi da lockdown (non ne abbiamo avuti tutti?) fosse una paura costante e malsana che potesse accadere qualcosa a una di loro. Quindi c’è un po’ di ognuna di loro in Tallulah, che è anche un personaggio a sé stante. Ma l’amore di Maeve per lei è sicuramente il mio amore per loro. L’ho sentito molto mentre scrivevo.
Infanzia e fantasia al contrario della vita vera, o meglio dell’idea che di essa si possiede, nel tuo romanzo sembrano non coincidere. Lì dove la fantasia dovrebbe sgorgare a fiotti, nelle trame che riguardano i personaggi bambini, si assiste a una “adultificazione” di emozioni, azioni, legami. Dove invece ci si aspetterebbe carattere e personalità, logica e razionalità, cioè nel mondo degli adulti, c’è uno spaccato di inadeguatezza e comportamenti borderline. Niente è mai come sembra. Perfino la notte di Halloween sembra meno terrificante dei pensieri che vorticano nella mente della protagonista. A un certo punto scrivi “In questa città nessuno ha fantasia”. Come se la sua assenza fosse il male e la sia presenza il bene. Come se la noia fosse l’anticamera della paranoia e l’amore il palcoscenico perfetto per rappresentare tutto ciò. In particolare la California fuori da un parco giochi è più fasulla del parco giochi stesso.
Che tipo di ispirazione è rappresentata dai luoghi per te quando scrivi e che California racconti in Maeve?
L’ambientazione avrà sempre un ruolo molto importante nel mio lavoro. Mi piace l’idea che i luoghi siano una sorta di personaggio di una storia più che uno sfondo, come credo avvenga nella vita reale. Quando mi sono trasferita per la prima volta a Los Angeles da New York, ero in preda al panico e pensavo di aver commesso un grosso errore e di non poter esplorare la città perché era chiusa. Così ho iniziato a conoscerla dall’interno della mia auto, ma anche da libri, film, discussioni e liste su Reddit. Sapevo di amare il tiki (cocktail a base di rum e sapori freschi e fruttati n.d.t.) e i bar a tema, quindi sapevo di volerli includere nel libro. Ma durante la stesura del libro mi sono innamorata anche del resto della città e non riesco a immaginare di vivere altrove. Sono convinta che quando si osserva una cosa abbastanza da vicino e si inizia a capirla, non si può fare a meno di innamorarsene un po’. È una cosa pericolosa, quindi, scegliere di cosa scrivere.
Buona parte della storia è ambientata nei pressi della notte di Halloween e il giorno della morte e della paura per antonomasia è centrale per te, come mai questa ambientazione? Hai paura che questo romanzo faccia paura a qualcuno e perché?
Amo Halloween, è sempre stato la mia festa preferita. Per tutti i bambini “strani”, era l’unico giorno dell’anno in cui potevamo davvero essere noi stessi e brillare. Ci si può vestire in modo assurdo, strano o spaventoso quanto si vuole, e si festeggia! Ma nel libro ne parlo molto: il camp e il kitsch, l’elemento fantastico, l’oscurità e la giocosità, l’idea di essere mascherati o smascherati. Volevo un personaggio femminile che potesse stare accanto ai cattivi e agli eroi maschili di Halloween che tutti conosciamo e amiamo e portare qualcosa di nuovo, pur celebrando tutto ciò che di meraviglioso c’è in questo genere. Il libro è in circolazione da oltre un anno e ha suscitato una certa polemica. Alcuni lettori mi dicono che si identificano profondamente con Maeve e mi ringraziano per averlo scritto e per aver dato voce agli “strani”. Ci sono stati anche molti tatuaggi di mosche e opere d’arte realizzate ispirate al libro, e mi è piaciuto molto ciò: è proprio questo il sogno di un’artista, ispirare più arte ed espressione umana. Vengo anche etichettata con recensioni a una stella che vanno da “Disgustoso” a “Eccessivo” a “Ho odiato questo libro più di quanto abbia mai odiato qualsiasi altra cosa”. Alcuni lettori lo trovano eccessivamente raccapricciante e terrificante, altri lo ritengono troppo scialbo e non abbastanza estremo. Io ho semplicemente scritto un libro che sentivo di dover scrivere e che volevo scrivere, e mi sento grata e fortunata che sia nel mondo e nelle mani dei lettori. Ogni reazione è valida, e nella maggior parte dei casi sono state molto varie e piuttosto estreme. E credo che se Maeve fosse reale, lo apprezzerebbe. Detto questo, si tratta di un romanzo horror, quindi credo che ci sia sempre la speranza e l’aspettativa che possa spaventare.
«Storia dell’occhio di Georges Bataille è uno dei miei preferiti, e Simone è uno degli unici esempi che ho trovato di personaggio femminile (anche se secondario rispetto al narratore maschile) che possiede e incarna la vera ferocia senza una storia tragica alle spalle, senza la prospettiva del vittimismo.»
Quale lettura (oppure film, canzone, serie tv, opera d’arte) ritieni fondamentale come esperienza ispirante per risvegliare l’immaginazione e il tuo immaginario narrativo?
Ci sono state così tante cose nel corso della mia vita, che ne scopro ogni giorno di più, e le mie influenze cambiano con ogni nuovo progetto. (Questo mondo è una ricchezza infinita di meraviglie artistiche)! Per Maeve sono stati Chuck Palahniuk, Bret Easton Ellis, Fëdor Dostoevskij, Henry Miller, Anaïs Nin, Sylvia Plath, Stephen Graham Jones, innumerevoli autori, la musica di Halloween, i film slasher (un sottogenere dei film horror n.d.t), le fotografie di Los Angeles, il Sunset Boulevard, le lunghe passeggiate in città e l’immaginazione degli artisti che hanno fatto lo stesso prima di me. Direi che l’arte più importante è sempre e solo quella che ti parla in un determinato momento, ed è sempre una cosa mutevole e individuale, e non ci sono mai risposte sbagliate. Credo che questa sia la parte migliore e più bella di ciò che facciamo come artisti, ma anche di ciò che siamo come esseri umani. Puoi esistere in qualsiasi modo tu voglia, e puoi essere chiunque tu voglia essere.
Come hai lavorato con la casa editrice italiana Mercurio, con la traduttrice (bravissima Gaja Cenciarelli) e che riscontri hai dal pubblico di lettori italiani? Verrai in Italia a parlare del libro?
Mercurio è stata fantastica. Sono dei veri visionari e stanno facendo qualcosa di assolutamente unico ed emozionante. Se vai a un qualsiasi evento, stand o festa di Mercurio, puoi sentire l’energia. È elettrica. In primavera sono stata in Italia per un tour e abbiamo partecipato al Salone del libro di Torino, oltre che agli eventi di Milano e Roma. Non dimenticherò mai la festa della prima sera, che è stata di gran lunga l’evento letterario più punk a cui abbia mai partecipato in vita mia. È stato surreale vedere il mio libro lì e sulle magliette, come se i corpi si stessero tuffando in picchiata e stessero pogando sotto il palco. Il mio soggiorno in Italia è stato incredibile e la mia sensazione generale è che i Mercurio continueranno a sconvolgere il mondo e a scuotere le cose. Sono una grande fan del lavoro che stanno facendo, ed è stato un onore incredibile pubblicare il primo libro. Non so leggere l’italiano, quindi non so esattamente in che modo la traduzione possa differire dall’inglese, ma mi fido di loro e della loro visione, e spero che continueremo a lavorare insieme in futuro. Molti lettori mi hanno detto che Gaja ha fatto un ottimo lavoro. Credo che tutti gli occhi debbano essere puntati su Mercurio, una casa editrice veramente fuori dagli schemi. E anche loro sono amanti sfegatati di Halloween. Anche loro, nel migliore dei modi, sono gli “strani”, che danno voce al resto di noi.
«Quando le persone che ti circondano, e magari sono anche tante, non riescono a vedere chi o cosa sei. È straziante, davvero. Ti fa chiedere quale sia il senso di tutto, se valga la pena di restare.»
Clicca qui per leggere le altre 65 lezioni
E tu cosa ne pensi?