Una conversazione immaginaria di Alessandra Minervini con Claudia Durastanti sul suo esordio Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra, ripubblicato da La Nave di Teseo nel 2020

Non potrò essere presente all’incontro di Claudia Durastanti a Roma, oggi, all’interno di Insieme Festival.

Mi sarebbe piaciuto incontrarla, guardarla negli occhi e chiederle: “ma com’è che tu le hai scritte e io le ho vissute queste storie?”

Era già successo con Cleopatra va in prigione e poi ho avuto la conferma dopo aver letto La Straniera: Claudia Durastanti scrive le vite che sono la mia. Ma prima,vorrei dire, c’è bisogno che io chiarisca cosa intendo per vita. Non intendo la serie di accadimenti che seguendo un ordine cronologico si sono susseguiti dal giorno della mia nascita al giorno in cui ogni volta finisco un romanzo della Durastanti e mi chiedo: ma come fa questa a sapere i fatti miei? Allora, no. La vita che leggo dentro le pagine della Durastanti appartiene agli indizi dell’esistenza. Non sono mai stata a New York, eppure ho annusato ogni strada che Claudia descrive nel libro. Non ho mai amato nessuno che si chiamasse Francis e non mi giro se qualcuno si rivolge a me chiamandomi Zelda. Eppure, Brooklyn e i personaggi di questo romanzo sono indizi di esistenza, indicazioni esteriori di vite interiori che pur essendo mie sono rimaste inespresse nel quotidiano ma vivaci nel desiderio e nello sguardo su quel quotidiano. Vogliamo chiamarla generazione? Oh, no. Pietà. La generazione mi dà subito l’idea di stirpe decorativa. Invece il contatto con le storie che qui sono raccontate e con la voce, le voci, che le raccontano è un contatto che si nutre della sua contraddizione e dunque umano, generazione a parte.

“Peggiorare noi stessi, è quello che ci conviene.”

Sono tanti i pensieri che leggendo ho sottolineato, a cominciare da tutti quelli che coinvolgono gli errori, i guasti umani. Nei romanzi se i personaggi non tradiscono se stessi, onestamente io ci perdo il gusto letterario. La mia vita quotidiana è circondata da finti semplici che si atteggiano a grandi visionari per poi rivelarsi più conservatori di un ragù domenicale; dalla letteratura, perchè Claudia tu hai la letteratura nel carattere, la letteratura per te è una personalità (se non lo sapevi ora lo sai), pretendo l’errore umano, piangerne e riderne. Odiare e amare allo stesso tempo. Gli errori ci rivelano, uno sbaglio dice di una persona più di qualsiasi altro gesto.

Leggere l’esordio di Claudia Durastanti mi ha dato la stessa sensazione di vuoto/pieno che provo quando sfogliando un vecchio romanzo che ho amato, per rileggerlo, ci trovo dentro un indizio della mia esistenza: un biglietto del treno, un invito, un numero di telefono senza nome. Qualcosa a cui sono legata, senza ricordarlo. Eppure, quel biglietto o quel numero di telefono un giorno erano la mia vita, quella di tutti i giorni. I quattro protagonisti di questo romanzo con le loro voci dannatamente vive mi hanno raccontato una storia che non conoscevo ma che mi appartiene, anche se i luoghi e i personaggi sono luoghi e personaggi che non ho mai incontrato. L’ho letto in un weekend, dalla mattina alla sera. Concentrandomi sull’aspetto della scrittura di Claudia Durastanti che più ammiro in assoluto: le smagliature spazio temporali dei sentimenti, le slabbrature delle relazioni e la feroce naturalezza con cui vengono raccontate. Come spesso avviene con i libri a cui apparteniamo – anche prima di leggerli – è capitato che lo abbia letto proprio in un luogo, la Valle d’Itria, dove sono stata bene in passato, sensazione che mi ha reso doppiamente comoda nella lettura. Del resto, come ha detto un mio amico, proprio nei giorni in cui leggevo il romanzo e mentre parlavamo di oggetti smarriti che si ritrovano: “Le coincidenze non esistono, dobbiamo fare i conti con il fatto che a un certo punto vuoi o non vuoi i simili non possono fare a meno di ritrovarsi. Nel frattempo “coltivo il disimpegno come la forma migliore del lusso”.

Alessandra Minervini

Sinossi (dal sito dell’editore)
Qualcuno per arrivare a New York ci mette una vita, altri ci trascorrono solo qualche anno, giusto il tempo di diventare la persona che immaginavano di essere, e poi se ne vanno altrove. A cercare di capire cosa resta di se stessi, quando il sogno si incancrenisce o esplode. E poi ci sono quelli che a New York non arrivano mai, e convivono con la sua nostalgia.
Pensavano che avrebbero formato una band, che avrebbero lasciato il segno nelle gallerie di arte contemporanea, che si sarebbero innamorate di qualcuno di indimenticabile. Per un po’ ci hanno provato, e il loro ostinato tentativo, lo slancio innocente e romantico verso tutto quello che potevano essere, è tutto ciò che conta ai fini di questa storia.
Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra è il romanzo di una lunga adolescenza americana che va dagli anni Settanta ai primi anni Duemila, fatta di incontri e di separazioni, di prime volte e di «care strane matte ragazze» destinate a uscire di scena.
Jane e Michael, Zelda e Francis, Ginger ed Edward si trovano in mezzo alla città e iniziano a scambiarsi libri, canzoni e lettere d’amore; provano a crescere insieme confrontando i propri miti e abbattendo i propri idoli. Sanno che non durerà per sempre ma sanno anche che qualsiasi apocalisse li distruggerà, sarà comunque meravigliosa.

Ascolta su Spotify la playlist del romanzo creata da Claudia Durastanti!