“Nel mondo contemporaneo il design è ovunque: può essere usato, abitato, fruito, maneggiato, goduto, sfruttato, sprecato, distrutto, riciclato: ma soprattutto il design può essere visto”.
Per questo, con Critica portatile al visual design (Einaudi 2014), Riccardo Falcinelli prova a spiegare come orientarsi nel mare delle immagini che invadono la quotidianità, riflettendo sui modi in cui guardiamo, usiamo e interpretiamo le immagini della società contemporanea.
“Sembrerebbe che oggi tutto il mondo sia una questione visiva. Da più di quarant’anni ci ripetono che la nostra è la civiltà delle immagini”. E infatti il visual design è un fenomeno specificatamente contemporaneo, legato sia ai nuovi mezzi di produzione delle immagini, sia alle modalità sempre più pervasive di circolazione delle stesse. Ma non solo a questo.
“Se dovessimo descrivere la società attuale, potremmo dire che è una società in cui tutti spendono e consumano, e dove, più in generale anche i beni di prima necessità vengono inquadrati secondo parametri estetici e simbolici”.
La questione delle immagini, perciò, è più complessa di quello che sembra e non riguarda esclusivamente l’uso più o meno opportuno di un particolare medium comunicativo. Perché “le immagini non sono né naturali, né neutre, ma possiedono un linguaggio, un funzionamento, un’ideologia”. Sono dei precisi costrutti culturali dotati di senso e valore.
L’obiettivo del visual design, allora, è quello di progettare delle “rappresentazioni”, ossia qualcosa che si mostra al nostro sguardo, ma che insieme veicola idee, opinioni e percezioni. Per questo motivo, nella società contemporanea, ogni racconto, ogni merce, ogni evento ha a che fare con un prepotente sistema visivo, con “la progettazione di tutto ciò che percepiamo con gli occhi, ma in sinestesia con gli altri sensi e in rapporto all’immaginazione”
Il visual design, dunque, non è solo lo studio di una forma o di un colore, ma è uno strumento potentissimo per definire modi di vivere e di pensare. Non è tecnica, ma elaborazione culturale della produzione, del consumo e degli ambiti più vari dell’esistenza umana.
Eppure, mentre da un lato le immagini sono diventate sempre più significative e pervasive, dall’altro si è sentita sempre meno l’esigenza di definire un metodo di comprensione e analisi delle stesse. E il che è sicuramente un problema, poiché “qualsiasi esperienza non affiancata da strumenti critici, finisce per essere considerata naturale, con la conseguenza che non la scegliamo davvero, ma la subiamo: così la società finisce per dividersi in produttori e consumatori acritici di comunicazione visiva”.
Forse proprio per questo motivo, Riccardo Falcinelli scrive un libro non rivolto ad un pubblico di specialisti, ma a chiunque voglia affinare le proprie competenze visive ed elaborare così una visione più critica e consapevole della realtà.
Che vuol dire, infatti, comprendere le immagini?
Vuol dire andare oltre il semplice “mi piace” e chiedersi il “perché”: qual è il punto di vista dell’autore? Chi sta guardando chi? Cosa chiede l’immagine all’osservatore?
Ogni risposta non avrà più a che fare con elementi estetici, ma con logiche di potere, culturale o economico che sia, con forme di colonialismo culturale, con strumenti di persuasione fino alle più sottili logiche di marketing.
Ogni capitolo, dunque si propone come una piccola lezione di consapevolezza visiva, capace di svelare le logiche che sono alla base dei prodotti visivi che ci circondano: consumo, contesti, identità, iconografia, narrazioni, sono tutti aspetti che pagina dopo pagina, esempio dopo esempio ci mostrano con evidenza, la “foresta di simboli” di cui Baudelaire parlava e in cui per la maggior parte del tempo inconsapevolmente viviamo.
Certamente la visione di un comune supermercato cambierà dopo aver letto il capitolo intitolato “Display” e in cui Falcinelli ragiona sul complesso fenomeno del packaging. I supermercati, infatti, sono diventati degli spazi espositivi in cui è l’imballaggio dei prodotti a fare la differenza. E quando passeggiamo tra i diversi corridoi, carrello alla mano, in realtà “attuiamo delle categorizzazioni simili a quelle che ci fanno distinguere un film western da una commedia brillante: ognuno ha i suoi gusti, i suoi generi preferiti. I colori smaltati della cioccolata; le tinte beige ed écru dei prodotti biologici; il Technicolor del reparto profumeria dove le varianti cromatiche degli shampoo sfidano un negozio di belle arti”.
E il prodotto coincide perfettamente con il contenitore, con la sua immagine, con il suo visual design che in qualche modo certamente veicola le nostre scelte. Per questo, Riccardo Falcinelli ha perfettamente ragione quando scrive: “Il visual design è anzitutto un fatto sociale, dove committenti, utenti e progettisti hanno desideri e intenzioni. Per questo capire il design non è riconoscere le forme, ma sapere chi è che sta parlando”.
Eppure, all’origine la questione riguardava solo delle semplici cartoline. Una serie di cartoncini stampati solo da un lato, che durante il conflitto franco prussiano del 1870 venivano consegnati ai ragazzi in partenza per il fronte perché potessero comunicare con le loro famiglie. La prima grande diffusione di immagini industriali non ha nulla a che fare né con il turismo, né con la pubblicità. Ha a che fare con la necessità di dire “sono ancora vivo”.
Forse le immagini dovrebbero tornare a questa comunicazione di identità, più che impegnarsi con tutti i mezzi alla sua persuasione.
Loredana La Fortuna
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