Queste mie parole, mi rendo conto, sono qualcosa di molto personale, forse troppo. Ma ho letto Da quando non sono qui probabilmente per la quarta o quinta volta, e lo stupore è intatto e non riesco a non raccontarlo se non così intimamente.
Ogni libro racconta più di una storia. Ogni persona che prende in mano un libro non sta solo per immergersi in un mondo che qualcuno ha creato, ma sta partecipando a un pezzo di vita di quel libro.
Da quando non sono qui di Simone Battig è una storia complessa, nel senso che è un libro che vive tra l’ordine e il caos. L’ordine è dato dalla lingua, dalle sfumature delle descrizioni e dai sentimenti che escono in ogni riga. Il caos è dato da tutto quello che accadeva fuori da quel “mondo”, tra lo scrittore e la vita che stava riordinando in quella storia, tra i suoi lettori e la vita che si costruiva intorno.
La mia storia con questo libro è una storia d’amore.
L’amore per i libri prima di tutto.
Ho conosciuto Simone quando ho fondato la rivista di letteratura Exlibris, nel 1996. Ci siamo conosciuti attraverso le parole, attraverso il racconto di quei libri. Ci telefonavamo e ci scrivevamo lettere. Parlavamo di letteratura, della critica letteraria che non sapeva cogliere il nuovo, immaginavamo di pubblicare storie che arrivavano dal “basso”.
L’amore per la storia di Mariella.
Tales from Keleti è il primo racconto che ha fatto parte di una collana trimestrale di racconti inediti curata proprio da Simone per Exlibris (e che a breve ritorneranno). Quel racconto di Mariella restituisce una storia di una donna coraggiosa e di incontri che spesso diventano un passaggio di vita.
L’amore per i viaggi.
Questo libro è pieno di pezzi di viaggio. Viaggiare per conoscere, per immergersi nei mondi altrui, viaggi per perdersi e ritrovarsi.
L’amore per la libertà.
Per quanto spesso si parla di fatica fisica del viaggiare, tutto è accettato e riproposto con una grande senso di libertà. La libertà di esserci e sbagliare. La libertà di tornare.
L’amore per l’amore.
Tempo prima della pubblicazione del libro ero a Napoli per non so quale motivo, forse rientravo in treno da Firenze e stavo riprendendo un autobus per Avellino. Dal finestrino vedo un ragazzo con la barba, biondo, occhi azzurri. Mi sembra un angelo. Lo guardo perché sembra voglia dirmi qualcosa. Ho i brividi perché sembra conoscermi con lo sguardo. Sale sull’autobus per chiedere spiccioli, mi passa accanto e mi guarda, mi farfuglia qualcosa ma io non capisco o non ricordo. Scende. Mi giro per cercarlo con lo sguardo e non c’è più. Svanito.
Quell’angelo per me era un messaggio che veniva da lontano, che mi connetteva con qualcuno che era entrato nella mia vita all’improvviso. Qualcuno che mi aveva scosso con la sua libertà e la sua arroganza nel voler provare a vivere. Qualcuno che mi aveva insegnato a credere nel coraggio.
Quel qualcuno è l’autore di questo libro, di questo mondo, di queste vite.
Lea Iandiorio
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Questo libro mi ha portato a fare una cosa strana. C’è un racconto che si intitola La prima storia del mattino che decisi, a un certo punto e non so perché (o meglio non ricordo), di tradurlo in francese. Il racconto però, rileggendolo, è una sorta di quadro impressionista, con quei colori, quelle immagini che vedi e intravedi, con quel senso di bellezza e di rumore del vento. Non avevo mai pubblicato la traduzione e eccola qui insieme all’originale.
LA PRIMA STORIA DEL MATTINO
a G. M.
Questo è il tempo. Due sedie bianche rivolte a nord e un tavolino. Una ringhiera difendibile, due piani in basso. Del colore porpora che si polverizza fino a nuvole blu metallo, la luna più piena dietro l’angolo della terrazza. Questo è il tempo. Un verde smozzicato che s’innalza un po’ più dei tetti, un verde un po’ più smozzicato è solo parte del tempo, magari non bello a sentirsi, che circonda. Un cane e una padrona. Questo è il tempo. E ciò che si lascia andare è solo la luce dei fari in movimento. Case come fari. Un faro che s’insegue sul mare. Questo è il tempo. Un altro faro è un lampione, quello più vicino. Questo è il tempo. Il rumore dell’acqua così nascosta che sembra impossibile il suo rumore. E subito si allontana facilmente nei soavi taglienti affondi della sera. Questo è il tempo e la voce prepotente di qualcuno che si conosce da troppo tempo. Tappezzeria in strada, contorni di strada, una fontanella spenta sotto il lampione. Questo è il tempo. L’aria è densa, le stelle speziate di fresco. Dei cancelli di casa, di fronte, ancora due piani più in basso. Un campanello illuminato. L’aria spezzata profuma di foglie, se sono foglie quelle che si vedono intorno ai rami più prossimi, prossimi ad una ringhiera difendibile. L’angolo è vuoto, la luna là dietro e le stelle riflettono immaginazioni di ipotetici amori in reali affetti. Questo è il tempo. Si muove verso un interno casa passando attraverso una porta, sotto una persiana ancora alzata. Questo è il tempo, che attraversa una cucina buia e un corridoio che s’illumina al suo passaggio. Che sfiora un gatto appisolato a terra. Questo è il tempo. Che si spoglia in una camera soffusa di luce striata. Questo è il tempo. Un letto comodo e lenzuola fresche, senza residui di polveri. Una sveglia imprecisa, una radio silenziosa. Un libro su una vita, il bordo di un altro letto, bianco e blu. Questo è il tempo. E può avere occhi chiusi. Che sentono suoni e non sanno immaginare altro se non i suoni che sentono. Questo è il tempo. Regna sovrano assorbendo una porta che sbatte e muove dei campanellini. Mostra la polvere sul comò la luce accesa. Questo è il tempo. Non porta via nulla che non sia suo. Apre e non chiude e chiude e non apre. Questo è il tempo. Una puntura di zanzara e la fuga della zanzara. Una ritirata napoleonica dei pensieri che si aggrovigliano. Una parola, semplice reminiscenza di idee di anime già sensibili. Questo è il tempo. L’acqua che scorre nei tubi e finisce per gorgogliare di inedia. Un respiro per un momento più affannoso e un prurito. Il sudore. Questo è il tempo. Un segno su una superficie, un bacio, un tenue schiacciamento di una vertebra. Questo è il tempo. Deglutire. Aspettare. Sentire la saliva seccarsi e non scivolare più. Non respirare il più a lungo possibile trattenendo il fiato. Smettere di giocare. Questo è il tempo. Giocare ancora. Questo è il tempo. Non toccare più nulla. Questo è il tempo. Ciò che sa fare, è lasciarvi.
Simone Battig, Da quando non sono qui
LA PREMIERE HISTOIRE DU MATIN
pour G.M.
Ça c’est le temps. Deux chaises blanches orientées vers le nord et une petit table. Une balustrade défendable, deux étages plus bas. Un peu de couleur pourpre qui se pulvérise jusqu’à se muer en nuages bleu métallique, la lune plus pleine derrière le coin de la terrasse. Ça c’est le temps. Un vert strié qui se lève un peu plus haut que les toits, un vert un peu plus strié c’est seulement une partie du temps, sans doute pas très agréable à ressentir, qui nous entoure. Un chien et sa maitresse. Ça c’est le temps. Et ce qui se laisse aller c’est seulement la lumière des phares en mouvement. Des maisons comme des phares. Un phare qui se poursuit sur la mer. Ça c’est le temps. Un autre phare est un réverbère, celui un peu plus proche. Ça c’est le temps. Le bruit de l’eau tellement bien cachée que son bruit semble impossible. Et il s’éloigne tout de suite, facilement, dans les fentes suaves et tranchantes du soir. Ça c’est le temps et la voix impérieuse de quelqu’un que l’on connait depuis trop longtemps. Tapisserie sur la route, contours de route, une petite fontaine éteinte sous le réverbère. Ça c’est le temps. L’air est dense, les étoiles épicées de frais. Des grilles de maison, en face, encore deux étages plus bas. Une sonnette éclairée. L’air brisé parfume de feuilles, si se sont des feuilles ce que l’on voit autour des branches les plus proches, proches d’une balustrade défendable. Le coin est vide, la lune là-bas et les étoiles renvoient le reflet d’imaginaires amours hypothétiques mués en sentiments réels. Ça c’est le temps. Il se déplace vers l’intérieur d’une maison en passant à travers une porte, sous une persienne encore levée. Ça c’est le temps, qui traverse une cuisine obscure et un couloir qui s’éclaire sur son passage. Qui effleure un chat assoupi par terre. Ça c’est le temps. Qui se déshabille dans une chambre diffuse de lumière striée. Ça c’est le temps. Un lit confortable et des draps propres, sans restes de poussière. Un réveil peu précis, une radio silencieuse. Un livre sur une vie, le rebord d’un autre lit, blanc et bleu. Ça c’est le temps. Et il peut avoir les yeux fermés. Qui entendent des sons et ne savent imaginer rien d’autre que les sons qu’ils entendent. Ça c’est le temps. Il règne souverain en absorbant une porte qui claque et qui fait sonner de petites sonnettes. La lumière allumée montre la poussière sur la commode. Ça c’est le temps. Il n’emporte rien de ce qui ne lui appartient pas. Il ouvre et il ne ferme pas, il ferme et il n’ouvre pas. Ça c’est le temps. Une piqure de moustique et la fuite du moustique. Une retraite napoléonienne, des pensées que s’enchevêtrent. Un mot, un simple souvenir d’idées d’âmes déjà sensibles. Ça c’est le temps. L’eau qui coule à travers les tubes et finit par gargouiller d’ennui. Une respiration pour un instant plus haletante et une démangeaison. La sueur. Ça c’est le temps. Un trace sur une surface, un baiser, un léger écrasement d’une vertèbre. Ça c’est le temps. Déglutir. Attendre. Sentir la salive sécher et ne plus glisser. Ne pas respirer le plus longtemps possible en retenant le souffle. Cesser de jouer. Ça c’est le temps. Jouer encore. Ça c’est le temps. Ne plus rien toucher. Ça c’est le temps. Ce qu’il sait faire, c’est vous laisser.
Traduzione di Lea M. Iandiorio
Revisione di Christel Muller
Lea Iandiorio ha scritto anche su:
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Aldo Busi
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