Sono già trascorsi tre anni e qualche mese da quando, per dirla col titolo di un suo libro, Daniele Del Giudice ha staccato la sua ombra da terra.

E l’ultima beffa del destino è stata, paradossalmente, proprio il premio Fondazione Campiello 2021 alla carriera letteraria, assegnatogli fuori tempo massimo: lo scrittore moriva infatti due giorni prima della data fissata per la cerimonia di consegna.

Un premio che comunque lo scrittore non avrebbe mai potuto ritirare di persona: la sua mente era da tempo perduta dietro quei naufragi la cui metafora aveva da sempre temuto e amato al tempo stesso, ostaggio di una malattia che lo ha fatto gradualmente svanire, che gli ha tolto lucidità e parole, proprio ciò per cui aveva sempre scritto e vissuto.

È bene comunque sottolineare che Daniele Del Giudice è entrato di diritto nell’Olimpo dei grandi della nostra letteratura in virtù della forza stilistica e concettuale dei suoi libri, non certo grazie a premi o riconoscimenti, che pure ci sono stati. Lanciato editorialmente da Italo Calvino, che ne aveva subito colto l’originalità di pensiero e l’idea di letteratura che emergevano dal suo primo romanzo Lo stadio di Wimbledon (1983), la produzione letteraria di Del Giudice non è stata vasta, ma ogni libro che ha pubblicato ha lasciato un’indelebile traccia di sé. Come in quel suo esordio, dove cominciamo a conoscere e ad apprezzare una voce nuova e un contesto narrativo rarefatto, dove ci si chiede quale sia il senso della vita e se sia giusto dare voce a chi sceglie il silenzio. Tutto ciò inserito in una splendida architettura romanzesca: quella di ripercorrere le tracce di un cultore “del silenzio”, il fervente adepto del movimentismo culturale ma non dello scrivere in cui riconosciamo “Bobi” Bazlen. Come Atlante occidentale (1985), in cui l’autore ha costruito quella che possiamo definire una simulazione visibile del non rappresentabile. È questo un romanzo in cui scienza e fisica entrano prepotentemente nella trama ma senza appesantirla. In realtà l’autore sta conducendo un esperimento letterario: quello dell’autogenerazione di un testo lasciando che siano i personaggi a “fare” la storia con le loro riflessioni sulla percezione e sulla immaginazione. Si potrebbe qui azzardare che nessuno come Del Giudice è riuscito a fare letteratura lavorando su quella rarefazione, su quell’affinanento del pensiero quando si avvicina ai concetti scientifici e si propone di renderli sul piano epistemologico e narrativo, attratto da quella che per lui è “la formula di Dio”, cioè la presenza di sentimento che muove le teorie fisiche contemporanee.

Se dovessimo sintetizzare con poche parole chiave lo sguardo intellettuale e l’idea di letteratura di Del Giudice, ne sceglieremmo tre: Volo, Mania e la dualità Silenzio / Parola, che si sovrappone a quella di Vivere / Scrivere.

Volo, come sintesi della leggerezza della sua scrittura e della rarefazione del suo pensiero ma anche come reale passione per gli aerei. Volare per lui -che è stato anche pilota per diletto- era staccarsi idealmente da terra anche con la scrittura, liberarsi dalla pesantezza e puntare all’infinito.

Il distacco tra le parole e le cose era ormai segnato. Queste posizioni concettuali le troviamo in Staccando l’ombra da terra pubblicato nel 1994.

Mania -che sarà anche il titolo di un suo libro del 1997- intesa come rovello, ossessione, pensiero fisso che accompagnerà sempre lo scrittore: quel demone della conoscenza vissuto da Del Giudice nelle forme più estreme e radicali, che lo porterà a interrogarsi su ogni aspetto della realtà, finanche sui meccanismi che muovono i fenomeni fisici.

La diade Silenzio / Parola nel senso che tutta l’opera dello scrittore è attraversata dal dubbio dialettico se il pensiero, quando viene riportato in parole, non ne rimanga tradito nell’essenza. Da qui il silenzio come eroica difesa dell’integrità del pensiero. E, quando si scrive, l’autore lascia intendere al lettore che il senso completo delle parole che sta leggendo si ottiene immaginando anche il non detto, il pensiero che insegue la suggestione creata dall’osservare certi aspetti della realtà e che chiede silenzio, perché parlarne sarebbe insostenibile: sarebbe troppo o troppo poco. A questo proposito, è interessante notare come dietro la dicotomia vivere/scrivere, Roberto Bobi Bazlen -personaggio adombrato in Lo stadio di Wimbledon– si rende conto dell’impotenza dell’atto dello scrivere ma non opta per il vivere pienamente: preferisce sparire. E ciò -metaforicamente- preannuncia quanto accadrà anche nel percorso di vita di Del Giudice, a testimonianza di una sua strettissima adesione -mentale e viscerale, potremmo dire- tra vita e letteratura.

Come si può notare, Daniele Del Giudice è uno di quegli autori dal pensiero filosofico forte, concettuale e dialettico. Ma ciò non inficia la chiarezza della sua prosa, che resta limpida e ricca di fascino. Chi legge i libri di Del Giudice non può non apprezzarne lo stile unico, la scrittura colta ma perfettamente accessibile, quei contenuti profondi, intimi, ma anche schiettamente  scientifici, sui quali lo scrittore invita alla riflessione e alla problematicità. Aggiungo che sul finire degli anni ’70 Del Giudice si trasferisce da Roma a Venezia. Nella città lagunare, col supporto della giunta amministrata dall’allora sindaco Massimo Cacciari, Del Giudice mette a punto (siamo già negli anni 2000) lo straordinario progetto Fondamenta. Venezia città di lettori. Si trattava di un Festival culturale a cavallo tra i due secoli che mirava a creare una comunità di scrittori e lettori, cui parteciparono tra gli altri personalità del calibro di José Saramago e Claudio Magris.

Fondamenta”, scrive Del Giudice nella prefazione al volume che raccoglie gli atti della prima edizione, “è una iniziativa del Comune e della città di Venezia per la lettura”. Il suo fine è dunque la lettura, non i libri, tantomeno la loro promozione o il lancio delle novità editoriali, bensì l’atto in sé del leggere. Allo scrittore interessa ciò che la lettura alimenta, la riflessione che produce, lo sguardo penetrante che induce sull’attualità. Daniele Del Giudice grande organizzatore culturale, dunque, che ha lasciato anche un’impronta internazionale del suo progetto; la sua iniziativa mirava infatti a creare un legame con numerose comunità di lettori sparse in tutta Italia e in altri paesi. Il proposito, espresso con un’immagine che richiama la passione di Del Giudice per il volo, è quello di costruire “una stazione orbitante alla quale ci si può agganciare secondo necessità”, accogliendo le più diverse forme di espressione, da quella letteraria a quella scientifica, da quella politica a quella teatrale a quella musicale ecc. 

In quei primi anni 2000, ancora ai primordi del web, Del Giudice aveva immaginato con largo anticipo una sorta di rivista virtuale come luogo di confronto delle varie comunità di lettori e/o di artisti, una piattaforma che potesse accogliere contributi dall’Italia e dall’estero, con il coinvolgimento di alcuni Istituti Italiani di Cultura nel mondo. L’obiettivo era quello di diffondere cultura ed approfondirla con lo scambio di contributi da parte di lettori e vari operatori culturali. Purtroppo questo progetto -la cui ideazione aggiungeva alla figura del Del Giudice letterato quella dell’intellettuale attivo e propositivo- dopo i primi anni di grande successo, si è forzatamente arrestato a causa della malattia neurologica che ha compromesso i suoi ultimi anni di vita.

Giovanni Barone

Daniele Del Giudice (Roma 1949 – Venezia 2021)
Opere principali:
Lo stadio di Wimbledon, Einaudi1983.
Atlante occidentale, Einaudi 1985.
Nel museo di Reims, Einaudi 1988.
Staccando l’ombra da terra, Einaudi 1994.
Mania, Eknaudi 1997.
Orizzonte mobile, Einaudi 2009.
In questa luce, Einaudi 2013.
I racconti, Einaudi 2016.

Sulla vasta bibliografia riferita a Daniele Del Giudice, mi limito a segnalare i contributi che ritengo più essenziali:
Cornelia Klettke, Attraverso il segno dell’infinito (Il mondo metaforico di Daniele Del Giudice), Cesate Editore 2008.
AA.VV., Luce e ombra (Leggere Daniele Del Giudice), Amos Edizioni 2021.
Bruno Mellarini, Tra spazio e paesaggio (Studi su Calvino, Biamonti, Del Giudice e Celati), Amos Edizioni 2021.
Michele Trecca, Parola d’autore, Argo 1995.

Per chi volesse confrontarsi con un approccio psicologico-emozionale alla figura di Daniele Del Giudice, segnalo il libro:
Pierpaolo Vettori, Un uomo sottile, Neri Pozza 2021.