Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.


Dante Arfelli, I superflui, Readerforblind 2021

L’Italia del dopoguerra è livida, stretta nella morsa della miseria e sfiancata dal tumulto della ricostruzione. Luca, un giovane di provincia, va a Roma in cerca di fortuna; ha in tasca due lettere di raccomandazione di altrettanti compaesani, il parroco e il segretario della sezione socialista, con le quali spera di trovare lavoro. Appena scende dal treno incontra Lidia, una prostituta che lo trascina nella pensione della “vecchia”, una vedova indigente quanto e più di loro, dove la ragazza alloggia ed esercita. Inizia così la questua del giovane che, rimbalzato tra notabili e uomini di chiesa, alla fine un lavoro, seppur precario, lo ottiene. Ma l’inadeguatezza non lo abbandona; così come non abbandona Lidia, né Luigi, l’anarchico militante, o Alberto, lo studente di Legge. Davanti ai loro sguardi si staglia l’orizzonte del possibile, che però non si può mai davvero afferrare. Una cricca di sconfitti, irrimediabilmente figli dei loro anni eppure così vicini ai nostri giorni, che guardano il mondo scorrere, a volte pensano di poterlo afferrare, e invece solo ciondolano, persi e insieme intrappolati.
https://www.readerforblind.com/


Lezione n. 29

Imparare a scrivere imparando a leggere

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Il destino siamo noi. Per questo non possiamo scamparlo. Quando uno è fatto in quel modo farà sempre in quel modo.

C’è una legge non scritta che quando leggo i manoscritti ho bene in mente, questa legge è la legge dell’appartenenza letteraria. Conoscere chi c’è stato prima per riconoscere chi arriva dopo. Non vuol dire necessariamente essere fedeli a un canone o ripercorrere una corrente letteraria. Significa piuttosto sapere come è stata costruita una strada, con quali materiale e per condurre dove e per connettere cosa. È importante leggere per scrivere, certo. Ma è molto più importante scoprire leggendo da dove veniamo e quindi scrivere non in base a ciò che si vuole leggere, ma in base a ciò che si può scrivere e ciò che si può scrivere spesso viene da percorsi lontani nel tempo ma vicini nello sguardo, nel modo di posare le parole dentro le storie. Se siete d’accordo con me, allora leggete subito questo esordio di Dante Arfelli, I Superflui, scritto nel 1949 e ripubblicato da poco da Reader For Blind, audace casa editrice appena nata e già piena di riconoscibile personalità. Perché, probabilmente, chi ha creato il progetto sa quali strade sono state percorse, le ha percorse in qualche modo e in modo nuovo ma fedele le fa percorrere ai suoi lettori. I superflui di Dante Arfelli rappresenta per la storia editoriale italiana un esordio straordinario. Fu accolto con entusiasmo in Francia ed ebbe enorme accoglienza negli Stati Uniti dove, pubblicato per Scribner lo stesso editore di Hemingway, riuscì a vendere 800.000 copie. Stiamo parlando del romanzo di esordio di un ragazzo di provincia che all’epoca aveva 28 anni, in apparenza sprovveduto in quanto sognatore e idealista, vincitore nel 1949 del Premio Venezia (precursore dell’attuale Campiello) nella sezione inediti, e che subito dopo ottenne la pubblicazione con Rizzoli. Come scrive nell’appassionata prefazione Gabriele Sabatini, “una forza che è quasi una necessità trascina l’autorea scrivere e la stessa forza necessaria trascina chi legge nel mondo di Arfelli. Un mondo in cui essere giovani, avere sogni, inseguire ideali, amare e perfino lasciarsi è del tutto inutile. Superfluo, appunto. La prima cosa che incanta leggendo il romanzo è che dentro la storia esiste una visione viva e luminosa, una scia che ondeggia e illumina ogni dettaglio, ogni battito di ciglia dei personaggi, ogni angolo urbano, ogni passaggio dalla luce all’ombra. Una visione che tutte le storie dovrebbero avere, una mappa che indica una strada, un modo di vedere le cose, una possibilità di viverle almeno il tempo della lettura insieme con i personaggi e l’autore. Questa stessa scia benefica l’ho trovata in due romanzi che come luci intermittenti comparivano durante la lettura di Arfelli: Il Compagno di Cesare Pavese e Il padrone di Goffredo Parise. Il primo è quasi coevo (1947) mentre Parise arriva quasi vent’anni dopo (1964). Li accomuna il senso di non essere comuni. Ad esempio dando ai comprimari lo stesso spazio, valore affettivo se vogliamo dirla dal punto di vista di chi scrive, che hanno i protagonisti. Così ne I superflui la padrona di casa, Luigi, i vari borghesi piccoli piccoli che si affacciano nella storia, lasciano le stesse impronte che lascia Luca. Anzi, a volte fanno ancora più male. Ci resti secco se succede loro qualcosa, se spariscono, se fanno la cosa giusta ma vengono puniti oppure se fanno la cosa sbagliata e invece vincono.

Cosa possiamo imparare oggi da questa lettura? Intanto una lezione che non può essere oggetto di spiegazione, ma è un vento, uno spirito che fa parte dell’attitudine di chi scrive e questa lezione concerne la pienezza delle pagine. Ogni pagina è una storia collegata perfettamente all’altra, ci sono annessi e connessi legati insieme dalla naturalezza della prosa di Arfelli che pur essendo densa di significati altri, mai un solo senso nelle frasi – fateci caso soprattutto nei dialoghi che valgono qualsiasi manuale di scrittura sui dialoghi – ma sempre più significati almeno quanti sono i motivi che avranno spinto Arfelli a raccontare. La storia di Luca e di Lidia, la storia di una generazione che è attaccata all’oggi più di quanto ci si possa aspettare.

C’è chi dice che ognuno di noi ha da fare una parte: come uno in un paese fa il fornaio, un altro fa il falegname, e ci vogliono tutti i mestieri, così dicono che ci vogliono anche i poveri e gli stupidi.

In un pendolo narrativo che oscilla tra il “cosa ci stiamo a fare al mondo” e “ il mondo è nostro, in fondo siamo giovani” si sgrezza come una trama troppo spessa per essere intessuta da sola la storia del nostro Paese, dell’eterna provincia nell’eterno dolore. Arfelli ci insegna a scrivere nel modo migliore in cui i padri letterari possono insegnare a farlo: senza volerlo. La sua è una lezione di stile involontaria. Lo stile di una scrittura è un fatto di sguardo, di sintassi, di voce, di lessico e di tutti gli aspetti più espressivi che vogliamo. Ma c’è un aspetto che rende una scrittura preziosa per lo stile, un aspetto che fa parte del desiderio di scrivere e questo è la generosità. Non sappiamo niente del futuro, ma possiamo saperne qualcosa rincarando una dose di generosità nel presente, mentre scriviamo, mentre ci chiediamo per chi e per cosa lo stiamo facendo, facciamolo e basta. Anche la generosità è un canone letterario. Non importa se non viene poi recepita o se la si recepisce dopo 50 anni.
Non importa nemmeno se è vero, come è vero, se poi esausti si pensa come Arfelli:

Se non fosse un vizio o una malattia, smetterei anche di scrivere. Si starebbe così bene a fare altre cose. Chi ci inchioda al tavolino?

Piccola bibliografia per chi vuole scrivere


Cesare Pavese, Il Compagno, Einaudi 2017
Goffredo Parise, Il padrone, Adelphi 2011
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Alessandra Minervini ne ha parlato anche in radio qui