Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.
Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Nel 2021 pubblica Una storia tutta per sé. Raccontare se stessi per essere (più) felici con la casa editrice Les Flâneurs Edizioni. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.
Nel caldo umido e nella natura lussureggiante della Florida, due ragazzine si giurano eterna amicizia e giocano a pensare a tutti i modi in cui potrebbero morire; una giovane sposa si interroga sulla maternità, indecisa se portare avanti una gravidanza; due cuginette imparano sulla propria pelle cosa significa sopravvivere; una donna perde il figlio che ha in pancia e si sente capita solo da un polipo. I racconti di questa raccolta sono abitati da donne che nonostante le diversità si scoprono unite visceralmente, anelli di una catena che risale fino all’origine del tempo. E anche se a volte sono assalite dalla paura di crescere e dalla sensazione di annegare, trovano la forza di rompere schemi familiari e sociali spinte dal desiderio di affondare nelle pieghe più intime di se stesse e di aprirsi a ogni incandescente promessa d’amore.
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Lezione n. 47
Scrivere racconti
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Abbiamo già letto insieme esordi di raccolte di racconti, se c’è un comune denominatore è che ognuno di essi è stupefacente a suo modo. Quel modo di rendere stupefacente lo sguardo di chi legge. Elementi da considerare vitali in una raccolta di racconti sono: il pregio di definire percorsi di vita, l’audacia di tracciare strade solite dentro percorsi inconsueti, il vantaggio di creare modi alternativi di respirare ogni giorno. È così che succedono cose magiche nei racconti, la scrittura è anche magia. Magia che si (auto)avvera nell’esordio di Dantiel W. Moniz Latte Sangue Fuoco, candidato per diversi premi come il PEN/ Jean Stein e il Dylan Thomas Priz. Una raccolta di racconti che dell’incertezza di un esordio non ha niente, se con esordio si intende una messa a fuoco narrativa più labile rispetto a storie di scritture già navigate.
Sono undici storie che tra tutte le possibilità magiche che la forma racconto offre mostrano quella più rara: la capacità di ritrarre vite intere in un lampo. Undici vite per undici ritratti di altrettanti undici esseri umani, nessuno dei quali si erge a protagonista assoluto delle vicende. Proprio come accade nella vita, non siamo mai soli soprattutto quando pensiamo di esserlo o ci sentiamo tali. Il senso in cui navigano queste storie veleggia senza conformismo nei mantra più tradizionali quali “nessun uomo è un’isola” e “nessuno si salva da solo (ammesso che ci sia salvezza)”. Sensi e significati mai esplicitati con sparate a zero o soliloqui a buon mercato. Il senso delle storie di Moniz è dentro le storie, rendendole racconti memorabili come quelli di Latte Sangue Fuoco.
«Keira le si è avvicinata durante la lezione di ginnastica e le ha detto: mi sembra di annegare, e anche se non vedeva acqua da nessuna parte, Ava ha capito. Anche lei aveva quella sensazione ogni tanto, qualcosa di pesante che la soffocava, ed era difficile parlarne, soprattutto con sua madre. Cercare di darla un nome era come spalare parola dalla pancia, un secchio dopo l’altro, tutta quella fatica per poi non ritrovare mai il significato che intendeva.»
Nel racconto che dà il nome alla raccolta due ragazze, “sorelle di sangue”, fanno un patto con sé stesse, giurano di appartenersi per sempre, in una Florida asfissiante e poco incline a mantenere le promesse, proprio come gli adulti del racconto. La messa a fuoco sul dolore dei fragili, in questo caso adolescenti, accompagna altre storie, tra cui “Posseduti”. Zey ama le parole e vuole sempre impararne di nuove, adora la sua insegnante che gliele fa scoprire e non sopporta chi mente. Quando capisce che diventare adulti è l’inizio di un fiume di bugie, privo di parole nuove da scoprire, architetta un piano per cercare di venirne fuori e avere giustizia. Come in tutte le undici radiografie umane anche in questo, e nei successivi, l’alchimia “Sangue Latte Fuoco” è una strada comune. In ogni racconto ci sono i tre elementi che funzionano come i valori del sangue, sono interni ai personaggi e possono variare, sballando nelle quantità, oscillando tra i valori consentiti e quelli più preoccupanti, danno conformità alla raccolta.
«So cosa dovrei dire, ma non ci riesco. Sono come un satellite rotto, che rileva informazioni ma le trasmette e lei è una bambina sveglia, lo percepisce. Dice che le sono mancata, e siccome mi sto sforzando, e le voglio bene, le dico una bugia. «Anche tu mi sei mancata» dico, immettendomi sulla strada».
Rayna ne “Il banchetto” racconta in prima persona il dramma, a tratti surreale, di sopravvivere a un aborto spontaneo. Ci si commuove, ma si fa anche pace con sé stessi. Il dono più grande che una storia, in apparenza lontana, può fare a chi leggendola se ne nutre.
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