La prima volta che presi in mano un libro di David Foster Wallace lui era vivo ed io volevo diventare/essere una scrittrice.

Non avevo capito molto bene come si potesse giungere ad una meta così ambita e lontana e perseguita da molti (e non l’ho ancora capito, come è evidente) ma una cosa mi era chiara: leggere i migliori può essere un pezzettino del puzzle.

Qualcuno magari vuole avere veramente successo come contabile e magari essere socio di un’impresa di contabilità. Arrivano i cinquant’anni e cade in depressione: “l’anello di ottone” a cui aveva puntato non ha messo le cose a posto. Quindi è per questo che mi vergogno a parlare di ciò: non è molto interessante ed è molto comune. Quello che è veramente interessante è che c’è una parte di me che vuole attenzione e rispetto, ma è una mezza verità, alla fine per me questo non fa molta differenza, e l’ho imparato a vent’anni, non cambia nulla. Al di là della ragione per cui ti prestano attenzione, non è mai il motivo per cui è importante per te stesso. In ogni caso molti dei miei problemi di adesso riguardano il fatto che non ho un anello da raggiungere e spero in un suggerimento. […] Le persone che ora mi interessano sono le persone che sono cresciute, che hanno una specie di crisi di mezza età e tendono a diventare strane, perché il normale incentivo per alzarsi dal letto la mattina non vale più molto. Non ho ancora trovato nessuna motivazione soddisfacente però non sono ancora pronto a buttarmi giù da un edificio o cose del genere.

Una volta, in un’intervista, sua sorella Amy cercò di descrivere David Foster Wallace a chi non lo aveva mai incontrato come «uno che, dopo averci parlato solo qualche minuto, ti sembra appena sbarcato da una navicella spaziale». Mentre il giornalista David Lipsky, inviato dalla rivista Rolling Stone, trascorse cinque giorni con lui, viaggiando per centinaia di chilometri, parlando di politica, letteratura, cinema, dipendenze e depressione. Lipsky (che ha poi trascritto il materiale registrato nelle loro conversazioni in Come diventare se stessi, minimum fax) inizia così:

David era alto quasi un metro e novanta, e quando era in forma pesava novanta chili. Aveva gli occhi scuri, la voce dolce, un mento da cavernicolo, una bocca adorabile, con le labbra a punta, che era il suo tratto migliore. Camminava con l’andatura molleggiata dell’ex atleta: un movimento ondulatorio che partiva dai talloni, come se ogni fisica fosse un piacere.

Non so neppure se sia possibile scrivere di DFW senza aver stretto la sua mano in un bar, parlato a bocca piena con lui ed aver avuto paura della morte in una notte qualsiasi.

Ma volevo portarvi per mano attraverso le strade di tre opere che fanno parte della mia libreria interiore. In quella parte in cui lui è ancora vivo e io voglio ancora fare la scrittrice.

A ventiquattro anni, nel 1987, mentre io imparavo a colorare rispettando i margini, David scrive La scopa del sistema, un capolavoro che si nasconde sotto le più modeste spoglie del romanzo di formazione.

Una narrazione divertente, fresca, a tratti ironica ma allo stesso tempo velata e malinconica.

“Molte ragazze davvero belle hanno dei piedi davvero brutti, e Mindy Metalman non fa eccezione, pensa Lenore, all’improvviso”.

Di colpo siamo attirati nella stanza di un college femminile, dove sta per verificarsi un evento che solo nove anni più tardi e molti capitoli più in là, guadagnerà una propria spiegazione. Perché la storia si compone di una sorta di prologo, ambientato nel 1981, quindi nel passato rispetto all’anno di pubblicazione del libro e di uno svolgimento cronologicamente in gran parte ambientato nel 1991, dunque nel futuro. Se volete imbattervi in aziende di grande successo che costruiscono deserti e per questo vengono celebrate dall’opinione pubblica, se volete sapere come certe centraliniste riescono a rispondere contemporaneamente alle richieste dei clienti di un negozio sadomaso, di una casa editrice e di un’azienda specializzata in cibi per l’infanzia oppure se, in generale, volete godere di molteplici episodi di ordinaria follia, allora leggete La scopa del sistema in cui il linguaggio non è la rappresentazione di una realtà oggettiva, ma le parole assumono significati diversi a seconda dell’ambito in cui vengono usate.

Brevi interviste con uomini schifosi (tit. originale Brief Interviews with Hideous Men) è una raccolta di racconti scritti nel 1999 ed è uno dei motivi per il quale pochissime raccolte di racconti hanno una dignità letteraria, perché molti racconti (genere letterario che amo) sono snobbati dalle case editrici. Ecco, è colpa sua. O del suo talento infinito , suppongo. Una ventina di scritti che scombussolano le viscere. Un po’ per le situazioni grottesche che affrontano (depressi incalliti, uomini schifosi col pallino del “fa più male a te che a me, ma è meglio se ci lasciamo perché so come andrebbe a finire con uno come me”, individui afflitti da domande auto-flagellanti sul come mi vedono gli altri di sicuro male allora avevo ragione a pensarlo quindi vado via), un po’, e forse molto, per come si presentano. Claustrofobici, senz’aria, periodi infiniti pieni zeppi di note che diventano a loro volta racconto nel racconto. Wallace raggruppa una serie di tipi detestabili senza falsi pudori, variando sul tema e offrendo più tipi per ogni peccato: dallo stupratore al misogino, dal traditore seriale all’approfittatore mutilato.

È questa la vera malvagità, non sapere nemmeno che si è malvagi, no? (Sul letto di morte p. 244)

E veniamo al viaggio nel viaggio.

Una cosa divertente che non farò mai più. Il saggio che dà il titolo alla raccolta è stato pubblicato sulla rivista Harper’s Magazine nel 1996 col titolo originale Shipping Out. Si tratta di un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi, commissionato a Wallace dalla rivista. Fin dal principio del suo viaggio, Foster Wallace ci rende chiaro un punto: la sua scrittura non fa sconti neppure quando è commissionata. Il suo sguardo lucido e spietato mette infatti in evidenza già dai primi istanti tutti i retroscena di quella che dovrebbe essere un’esperienza indimenticabile. Impossibile non immaginarselo chino su un taccuino che funge da arma e da scudo, per annotare e rilevare tutti i dettagli esilaranti e terrorizzanti del suo viaggio imminente. Cosa si nasconde davvero dietro tutto quel relax, quello svago da meganave tipico di una particolare classe di borghesia americana? L’equipaggio che cerca di viziarti in ogni modo possibile la scelta tra gli infiniti divertimenti che sono disponibili a bordo della nave, i cibi succulenti: quante amenità occorrono per farci stare meglio?

Qui viene alla luce un tratto essenziale delle crociere extralusso: si viene intrattenuti da qualcuno a cui state chiaramente antipatici e si ha la sensazione di meritare l’antipatia nel momento stesso in cui ci si sente offesi.

Io non credo che i libri cambino la vita in assoluto. Sarebbe pretenzioso e anche folle. La vita è quella roba che ti sporca le mani e con cui fai i conti a fine mese, mica basta sottolineare i consigli di come stare al mondo dello stare al mondo degli altri tra l’altro.

Credo però che certi libri siano l’impalcatura del pensiero. Ecco, a mio dire e vedere e senza nulla pretendere, queste sono le travi e il tetto.

Natalia Ceravolo