“Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trasmettere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli”

James G.Ballard in Ciò in cui credo

La citazione posta in apertura Di tutti gli altri beni di Vasco Di Salvo ci fornisce un ottimo spunto per comprendere la narrazione: come dice Ballard, l’immaginazione può plasmare il mondo. In effetti il mondo di Silvestro, il protagonista, viene plasmato dall’immaginazione di qualcuno che usa questo potere in maniera vendicativa, aggressiva. Da lettrice mi sono trovata catapultata da subito nella vicenda: un uomo in carcere e un improbabile autore che va a conoscerlo perché le vicende che lo vedono coinvolto hanno a che fare con qualcosa di scritto da lui. E da lì parte una storia articolata, ricca di citazioni metaletterarie e culturali in generale, che ci porta dentro tre vite diverse: un attore, un autore e un regista che si trovano a interagire senza rendersi conto, almeno all’inizio dei ruoli che li definiscono.

Il romanzo si presta a più livelli di lettura: possiamo appassionarci alle vicende di Silvestro e quindi cercare di capire se sia innocente o colpevole del delitto di cui viene accusato, possiamo allargare lo sguardo e riflettere su tematiche di natura più sociale (la solitudine, il lavoro, l’immigrazione solo per dirne alcuni) o possiamo goderci la ricchezza dei riferimenti. Io ho scelto questa ultima chiave di lettura e mi sono divertita a vedere intrecciare un manuale che non esiste con una miriade di altre narrazioni: nel romanzo ci sono Pennac, Don Chisciotte ma anche Il Grande Gatsby e persino citazioni analitiche come L’eroe dai mille volti di Campbell e l’indicatore di personalità Myers-Briggs.

La struttura del romanzo, la scelta della suddivisione in capitoli, le citazioni di apertura, i riferimenti culturali dimostrano come la complessità, la profondità e lo spessore culturale possano stare benissimo in una storia di neanche duecento pagine che in fondo vuole solo, apparentemente, raccontarci le storie dei personaggi coinvolti in un fatto di cronaca. Da curiosa quale sono, mi sono divertita sia a cercare i video delle storie di Joe H. Lester su YouTube e anche a cercare di tracciare sulla cartina geografica i luoghi del romanzo.

Ognuno dei tre personaggi principali è riuscito per un momento a farmi mettere nei suoi panni: ho sentito la rabbia, la delusione di Silvestro e anche la sua perplessità e la meraviglia per la seconda opportunità che la vita pare offrirgli. Ho fatto mio il tormento dell’autore, condividendo la sua voglia di giustizia, ma anche il bisogno di essere visto, legittimato, riconosciuto. E in fondo ho anche io, come il regista, voluto credere che una storia possa plasmare il mondo e possa farlo a fin di bene, per migliorare la vita delle persone anche quando sembra che ormai a nessuno importi più nulla. Come ognuno di loro mi sono trovata a credere, mettere in dubbio e sospendere il giudizio e credo che questo sia un grande risultato per un romanzo.

Sono solita cercare in ogni narrazione la frase “perfetta per me” o quella che a mio avviso meglio definisce l’opera e nel caso di Di tutti gli altri beni ho scelto questa: “…cos’altro è la vita se non il perpetuo tentativo di essere felici, oppure di tornare ad esserlo, cercando al contempo di non fare troppo del male al prossimo?”.

Rachele Bindi