Essere membro di una giuria di un festival cinematografico non è un lavoro facile. Sono tante le regole implicite o esplicite che bisogna rispettare; in primis, devi vedere tutti i film in concorso. Ma non basta, è indispensabile anche guardarli con attenzione, giudicar­ne non solo la recitazione degli attori, ma come è la costruzione e la struttura della storia, perché è stato scelto quel soggetto, come è stata impostata la regia, come è stata diretta la fotografia; ascoltare con attenzione i dialoghi, giudicarlo per ciò che dice, per ciò che riesce a trasmetterti. Scomporlo in mille pezzi e poi ricomporlo per vederlo realmente nel suo insieme, e il tutto, nella durata di una proiezione. Scegliere con cura la posizione della poltrona sulla quale siederai, per non perdersi né una scena, né una battuta dei sottotitoli. Devi essere consapevole di essere lì, non per passare due ore in assoluto relax, non per svago, ma per giudicare l’opera di qualcuno. Armarti di tutte le tue conoscenze in materia di cinema, di un buon senso critico e di un buon spirito d’osservazione, cercando di essere il più giusto possibile. Si tratta di regole minime, una sorta di codice di condotta scarno ed essenziale, ma utilissimo per chi si avvia verso una simile esperienza, sentendosi tutto, tranne che un esperto. È così che è capita­to a me: con questo spirito mi sono avvicinata a Linea d’Ombra, cercando quell’aria da festival cinematografico che si respira nelle grandi manifestazioni. Ma Salerno non è Cannes, né Venezia, e i mille divi che ti aspetti in passerella con guardie del corpo e stuoli di fans urlanti al seguito, non li trovi, se non quando arriva Luciano Ligabue, passato forse in troppe salse, anche se non senza meriti, negli ultimi tempi. Mi sono ritrovata in questo modo, membro della giuria dei lungometraggi di Linea d’Ombra, quest’anno priva dei «padri-esperti», quei critici professionisti che nelle passate edizioni facevano da guida e supporto ai giovani giurati. Che poi questo sia stato positivo o negativo per i giudizi sui i film in concorso. Ai posteri l’ardua sentenza. Quattro giorni di proiezione, quattro ore al giorno, con la speranza, ad ogni titolo di testa, che il film che stai per vedere sia «bello», ma «bello davvero». Alla fine odi quella poltrona e pensi: «Ma chi ha mai detto che queste sedie sono comode?» E ancora: «Per una settimana non voglio neppure vedere l’insegna di un cinema!» Eppoi ti fermi, cerchi di ra­gionare a mente fredda. Tiri le somme e ti accorgi che su otto film visti è solo uno che davvero non ti è piaciuto; quell’altro, poi, era anche girato bene, ma troppo lento. E gli altri film? Alcuni gradevoli, altri divertenti, e quasi trovi strano, trovare dei lungometraggi divertenti in un festival che attraversa le linee d’om­bra, quei momenti oscuri, raccontati talvolta in maniera troppo dark. E poi arrivano i film belli, quelli che vincono! C’è la soddisfazione di trasmettere i tuoi gusti e le tue scelte alla giuria, per scoprire di ritro­varsi nelle decisioni prese anche dagli altri giurati. li momento della votazione può sembrare perfino una liberazione: la consapevolezza che il tuo compito è ormai finito e che non resta altro che godersi i clamori per i vincitori, lanciandosi nella giostra dei commenti pro o contro, per chi si cinge dell’alloro. Il festival finisce, e di questo, ahimè, dispiace dirlo, rimane la superficialità dei conduttori delle serate, le loro ovvietà, esibite nel presentare i grandi nomi della manifestazione. Eppure rimane il tentativo di crescere, di espandere l’attenzio­ne verso altri campi della comunicazione. Ma rimane anche un senso di smarrimento, di insoddisfazione. Come se per essere più «multimediali», si sia sacrificato troppo la connotazione «cinemato­grafica» della manifestazione. Scompare l’evento. A questo vi si so­stituisce il grande calderone di quello che vorrebbe essere uno spet­tacolo a 360 gradi sulle «immagini creative», partendo dal cinema, passando per i video-games con la sua eroina Lara Croft, per poi approdare alle piccole, grandi perle dei video musicali. E se è vero che il cinema non è più solo cinema, e che la sua purezza sta nella forza della mescolanza, bisogna anche tener presente che, in un festival come Linea d’Ombra, gli ingredienti devono essere miscelati nelle giuste dosi, proprio come nelle migliori ricette di cucina. E se così non fosse, attenzione: il piatto servito potrebbe avere un sapore strano, e magari, lasciare un po’ d’amaro in bocca.

Serena Prinza

Linea d’Ombra Festival è un festival cinematografico che si svolge da venticinque anni nella città di Salerno. Questo articolo è stato scritto per la quinta edizione del Festival che si svolse dal 3 al 7 maggio 2000, tra il Cinema Teatro Augusteo e il Teatro Verdi.  A giudicare le opere in concorso fu chiamata la giuria formata da Cristina ComenciniGuillerme Breaud e Alessandro D’Alatri. Due le novità della quinta edizione: la prima, l’apertura di una sezione dedicata ai video-clip curata da Francesca Roveda, Carlo Tombola e Cristino Del Pozzo, la seconda, un omaggio a un’eroina del videogioco: Lara Croft.