La poesia è una brutta bestia. E io con le brutte bestie e la poesia ho dei problemi, quindi potete immaginare che quando mi decido a parlarne è perché non ne posso proprio fare a meno.
La poesia è una scrittura che rimarrà sempre in una sorta di bolla per me, perché si configura come qualcosa di talmente delicato, impercettibile, complicato e urgente che è forse l’unico segno, tra le parole della letteratura, che sta sempre in bilico sul ciglio del burrone e lo spazio del cielo, esattamente al centro di un ultimo respiro senza destino.
I poeti che per me hanno scritto poesia, poesia che io senta veramente, che mi colpisca, che mi inebri come fanno le mie migliori letture sono pochi, molto pochi. Si possono contare sulle dita di una mano.
Parlare quindi di questo libro, Dispersione, del poeta portoghese Mário de Sá-Carneiro è una piacevole e doverosa eccezione. E ne parlo come sempre perché se ne parla troppo poco.
Questo libro è una delle raccolte di poesie che in assoluto prediligo e a cui sono legato. Stranamente però questi versi non sono giunti a me da altre mie letture ma da un ascolto musicale.
Mário de Sá-Carneiro era contemporaneo e amico di Pessoa e ha bruciato tutta la sua goffa e sgraziata vita (come l’avrebbe definita lui) in pochi attimi della sua giovinezza, lasciando la sua disperazione, il suo liquido umore di una vita vissuta senza speranza a noi, che lo contempliamo ancora specchiandoci nei suoi versi senz’altro dolenti ma lucidi, folli e cristallini come i nostri passi su questa terra.
Come dicevo Sá-Carneiro è arrivato nella mia vita ascoltando l’album della cantautrice brasiliana Adriana Calcanhotto dal titolo Publico (Ariola records 2000), un live con alcune delle sue canzoni migliori (capolavori come Esquadros, Mais Feliz, Maresia …), album che vi consiglio caldamente di ascoltare dato ciò che sprigionerà ogni volta che lo ascolterete.
In una delle canzoni dell’album, O outro, potete sentire Adriana Calcanhotto che introduce il pezzo parlando appunto di Mário de Sá-Carneiro, poeta di lingua portoghese di cui lei ha preso un testo (negli anni lo farà anche con altri testi) e l’ha messo in musica. Anche per questo motivo il pezzo in questione è diventato uno dei miei preferiti in assoluto, e bastano solo queste poche parole, spero, per farvi capire la potenza del linguaggio e di questa poesia:
Eu não sou eu nem sou o outro,
Sou qualquer coisa de intermédio:
Pilar da ponte de tédio
Que vai de mim para o Outro.
Io non sono io né sono l’altro,
sono qualcosa di intermedio:
pilastro del ponte di tedio
che va da me all’Altro.
Grazie ad Adriana Calcanhotto quindi entrai come portato da una scia luminosa in diverse librerie, comprai dopo qualche ricerca Dispersione (Einaudi 1996) e lo lessi d’un fiato. Ancora oggi in Italia questa è probabilmente la raccolta poetica più curata e significativa di Sá-Carneiro, anche se al momento non mi sembra reperibile.
È difficile dire cosa ci sia di ammaliante nelle poesia di Sá-Carneiro, “lo Sfinge grassa”, come definisce “Quell’altro” nell’omonima poesia percorrendo passaggi poetici struggenti dalla prima all’ultima riga. So però che per me la sua poesia ha il gusto della profonda verità, senza consolazione, è vero, ma almeno con la forza di un abbraccio, di un abbraccio sincero, prolungato, forse annichilente per certi versi, così umano e poco umano allo stesso tempo.
Ogni parola dei testi di Sá-Carneiro si appoggia su un terreno senza fondo, su colori lividi, si adombra come un pugnace senso di combattimento e immediata sconfitta verso quel mistero inspiegabile che si chiama vita da parte di chi non è adatto alla vita stessa e alle sue relazioni. Forse da parte di chi nella falsità non riesce a vivere ma dalla falsità viene comunque irretito e travolto, definitivamente.
L’intervallo poi, la sospensione, l’attesa, lo sguardo, tutto in questo giovane poeta che si è consumato troppo presto dedica spazio al massimo significato possibile. Tutto sembra richiedere, ancora, un principio di falsificabilità che renda gli dei stessi edotti sulla condizione umana di un loro pari, per sempre.
E alla fine tutte queste richieste disperate sono state ascoltate e, come sottolinea anche Pessoa, coloro che gli dei elessero loro pari… muoiono giovani… Mario morì giovane perché gli dei lo amarono molto.
A noi rimane soltanto il delirio dei nostri passi sopra.
Simone Battig
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