Iniziamo col dire che Qualcosa ci inventeremo di Patrizia Maltese (Villaggio Maori Edizioni) è un libro per chi ha bisogno di ritrovare fiducia nel genere umano. Guardarsi intorno e vedere indifferenza e trascuratezza, violenza fisica e violenza verbale, corruzione e attaccamento al potere, egoismo ed egotismo, ecco, un po’ di fiducia nel genere umano te la fa perdere. A volte anche più di un po’. Ma il genere umano, per fortuna, non è tutto da buttare. C’è chi dà speranza perché vive secondo principi elevati, perché si impegna, perché sfida la propria e altrui paura e si dà da fare per migliorare questo mondo. E Patrizia Maltese non ha fatto altro che accendere una luce su due di queste persone: Giuliana Saladino e Marta Cimino, il fulcro del Comitato dei Lenzuoli di Palermo, nato dopo le stragi del ’92. Una “piccola grande rivoluzione gentile”, come lo definisce la giornalista Antonella Mascali nella prefazione.

“E certo – perdonate il mio riflesso pavloviano da vecchia comunista – non si trattava di fare la rivoluzione contro i padroni, ma sicuramente era una sfida, quella alla mafia, da non dormirci la notte. Altrettanto rivoluzionaria.”

Poi diciamo anche che è un libro per chi non ha vissuto quegli anni, o li ha vissuti da lontano, e del Comitato dei Lenzuoli sa poco o niente: il racconto di Maltese è un ottimo modo per conoscerlo e capire ed emozionarsi. Attraverso il suo sguardo, che ci accompagna tra le testimonianze di chi conosceva “le Saladino”, è difficile non emozionarsi. Fin dalle prime pagine, dove prorompe violento il ricordo delle parole di Rosaria Costa, vedova Schifani, ai funerali dopo la strage di Capaci, le lacrime si fanno vive, lo stomaco si stringe, in petto il cuore si fa piccolo piccolo.

Diciamo anche che è un libro che parla di e a una generazione: quella che ha vissuto la militanza politica e civile come una cosa “maledettamente seria”, per la quale l’impegno politico era, “uno dei momenti della vita che avevano un senso, segnati dalla consapevolezza che stavamo facendo qualcosa di importante per cambiare il piccolo, ammuffito, polveroso e reazionario mondo antico delle generazioni che ci avevano preceduti.”

E poi è un libro anche per chi gli anni delle stragi li ha vissuti, da vicino o da lontano, per chi sa cosa significava vivere in Sicilia prima di quella piccola grande rivoluzione e come è stato dopo, per chi il giorno della strage si è sentito perso e dopo si è sentito rinascere, quando “i lenzuoli” (non le lenzuola, sottolineano) fiorivano sui balconi di Palermo, anche nei quartieri ad alta densità mafiosa. Perché quello, scrive ancora nell’introduzione Mascali, “fu il segnale che i palermitani, i siciliani rifiutavano culturalmente la mafia. Ed erano tanti.”

Ecco la speranza. Patrizia Maltese te la svela come portata principale in un desco apparecchiato di brutture siciliane. Lo sguardo rassegnato (e anche un po’ incazzato) dell’autrice ti accompagna, con un racconto strutturato a scatole cinesi, in storie note e meno note: il perenne cantiere della Palermo-Catania, lo sfratto del Gramsci, la lunga chiusura del teatro Massimo, la preziosa biblioteca del barone Pisani, dimenticata chissà dove. Storie all’interno di una storia più grande, quella delle stragi di Capaci e via D’Amelio, che non ha bisogno neanche di essere raccontata se non attraverso le parole di Rosaria Costa, ma che è lì, che vibra tra le pagine. Tutto questo, ecco, la fiducia nel genere umano te la fa perdere. “Loro non cambiano, non cambiano”, piangeva Rosaria ai funerali.

Ma in mezzo a tutto questo c’è la storia luminosa di Giuliana Saladino e di Marta Cimino. Davanti al pianto di Rosaria Costa, un pianto di dolore e rassegnazione, la giovane Caterina, figlia di Marta, chiede: cosa possiamo fare? “Qualcosa ci inventeremo”, risponde Marta. E qualcosa la “vulcanica Marta, che schizzava idee da ogni dove come fossero lapilli”, se lo è inventato. Ha trasformato la rabbia, il dolore e lo sconforto in una reazione, invece che in rassegnazione: ha appeso un lenzuolo al balcone per dimostrare il suo essere antimafia. E quei lenzuoli si sono moltiplicati. Le coscienze si sono svegliate. O forse quei tanti siciliani una coscienza già ce l’avevano ma per paura la tenevano nascosta. Quello che ha fatto il Comitato è stato dire: non abbiate paura, non siete soli, teniamoci per mano, siamo tanti, fatevi vedere. E sì, erano tanti. E Palermo è rinata. Loro non cambiano, è vero, ma noi possiamo cambiare. E anche se poi l’esperienza del Comitato si è naturalmente conclusa, e anche se un po’ si è tornati indietro, racconta Marina Grasso: “quell’autocoscienza secondo me è una conquista per sempre, per cui non si può tornare indietro completamente”. Lo spirito del Comitato dei lenzuoli è un “possesso per sempre”.

Il libro non è impostato come un vero e proprio libro d’inchiesta perché Maltese gioca anche con la fantasia (bara, come dice lei) rendendo il racconto delle testimonianze quasi un romanzo, dove usa il paesaggio per riflettere la rabbia e il dolore. E anche perché la partecipazione emotiva dell’autrice è spudoratamente messa in gioco, intrecciando alla storia delle Saladino sentimenti e aneddoti personali e usando un linguaggio schietto e colloquiale, che ti fa accomodare accanto a lei ad ascoltare le storie che Caterina, Giuditta, Bebo, Giulia, Emanuele, Salvatore e poi Tita e Linda e Marina hanno da raccontare e, a volte, anche le loro chiacchiere sui gatti. Le storie che raccontano non sono tanto la cronaca di come è nato il Comitato, ma sono le vite di queste donne straordinarie, donne che hanno fatto innamorare chi le ha conosciute e che fanno innamorare chi sente o legge la loro storia. Sono fotografie delle loro vite, anche intime, come nonna, madre, sorella, amica, oltre che come donne impegnate politicamente e civilmente. Inevitabile subire il loro fascino e il fascino di un luogo, quella via Maqueda 110, dove cultura e politica fermentarono incessantemente per anni, ancor prima del Comitato. Radice e colonna portante ne fu Giuliana Saladino che poi, nel Comitato dei Lenzuoli, ebbe un po’ il ruolo di “grande vecchia”, mentre Marta ne fu la miccia. Intorno alle loro vite, poi, la presenza inscindibile del marito di Giuliana, Marcello Cimino, il “comunista soave”, e chi fu, insieme alle due donne, anima del comitato, come Gabbi, l’artista di famiglia, che dava forma artistica a quello che si voleva fare.

“E dire che dovrei essere io a dire grazie a tutta la sua famiglia, per avermi raccontato una storia che ti ridà fiducia nel genere umano.”

E infine diciamo anche che attraverso il racconto dell’esperienza di queste due donne meravigliose, Patrizia Maltese traccia pennellate di una Sicilia che è terra di contraddizioni, di opposti che convivono e si fronteggiano, di ombre scurissime e luci accecanti. Come Caterina, che dice: “Io sono figlia delle stragi, io sono figlia del Comitato dei lenzuoli”: due opposti riassunti in una generazione. D’altronde lo dice anche Dacia Maraini in un’intervista a proposito di Giuliana Saladino a Radio 3, riportata dall’autrice: “la Sicilia non conosce la mediocrità: in Sicilia ci sono dei delinquenti terribili, crudeli, violenti, e poi ci sono le persone sublimi, di un coraggio, di una forza straordinaria: Giuliana era una di queste.”

Elisa Bedoni

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