C’è questo negozio dove finiscono i fondi di magazzino di vario genere che vengono poi venduti sottocosto. C’è l’espositore dei libri con i classici da 1000, 2000, 3000 lire (nel 1998, ndr) e accanto, to’!, qualche libro Savelli e SugarCo. C’è questo Eduard von Keyserling (1855-1918) dal nome così indubitabilmente tedesco da attirare la mia attenzione. Mai sentito. Ci sono questi tre libretti, Giorni d’afa, Versante sud e I confini del castello.
Ne prendo in mano uno. Sulla quarta di copertina un ritratto à la Schiele dallo sguardo impertinente e triste insieme. E c’è questa frase nelle note di fianco che riporta la simpatia di Thomas Mann per questo autore. Ora, ho fatto ben due esami su Thomas Mann, è quasi come se fosse un intimo e se Thomas Mann dice di considerare uno scrittore un suo maestro il minimo che io possa fare è leggerlo. Li compro tutti e tre.
Con Giorni d’afa vivo un’esperienza che non mi accadeva più dai tempi del liceo: ho finito il libro in una giornata. Impresa non straordinaria, se si considera che ciascuno di questi volumetti si aggira sulle cento pagine. Cento pagine che sono sufficienti per lasciarsi risucchiare nel microcosmo keyserlinghiano: un mondo fatto di una grande villa padronale di campagna circondata da un ampio parco, scenario perfetto in cui ambientare passeggiate solitarie o in compagnia e per raccontare gli stati d’animo dei personaggi che si confondono con le impressioni paesaggistiche. Un mondo popolato da una nobiltà beatamente soddisfatta di sé che sembra vivere in una perenne villeggiatura, incuriosita e allo stesso tempo spaventata dalla vita. Un mondo che accoglie al suo interno anche gli alloggi della servitù, sempre così vitale e sana, e si allarga oltre i propri ‘confini’ fino a sfiorare il bosco e le case dei contadini e dei piccoli borghesi, indulgenti testimoni da lontano della vita dei signori. Un mondo in cui silenziosamente, inavvertitamente, si fa strada qualcosa come la suspense che caratterizza i racconti gialli, con la differenza che mentre nei racconti gialli il lettore si sente sfidato a indovinare chi sarà la vittima o l’assassino, in questi tre racconti ci si domanda chi sarà il suicida. Naturalmente si tratta del personaggio più insospettabile, e questa sorpresa genera nel lettore una sensazione di sconcerto forse anche maggiore di quella provocata dall’evento luttuoso negli altri abitanti del castello e lo porta a interrogarsi sulla fragilità di un mondo votato alla decadenza ma che sembra non accorgersene e voler continuare a esistere quasi per inerzia. Non ci sono conclusioni o considerazioni morali da parte dell’autore che lascia ogni considerazione ai testimoni e agli attori delle vicende narrate e attraverso questo suo apparente elegante distacco induce il lettore a tirare quelle che crede le proprie conclusioni e sono invece quelle che Keyserling stesso gli ha suggerito.
Così ad esempio in Versante sud la voce critica di chi, come il precettore Aristide Dorn, non fa parte del mondo del castello e ne viene attratto solo momentaneamente per sentirne l’inconsistenza, attraversa tutto il racconto come un’eco che fatica a spegnersi nella memoria del lettore: «… qui dovete avere tutti qualcosa di strano […] Nessuno sopporta la monotona vita quotidiana. […] la regola dell’esistenza che qui si conduce è ricorrere all’addobbo, alla decorazione, di modo che qualsivoglia realtà, purché un po’ drammatica, produca il suo effetto. Il rischio della morte diviene così una sorta (sic!) di spettacolo pirotecnico con i bengala. Per contro, un semplice uomo comune come me è ridicolo come l’attrezzista che si attardi sulla scena e non si accorga che il dramma è già incominciato.»
Sempre nello stesso romanzo vediamo affiorare tuttavia un inizio di consapevolezza anche in qualcuno dei signori, in un personaggio secondario come la giovane Oda, la sorella del protagonista, che così commenta alla fine del libro: «Qui i crucci non passano mai. Qui si è protetti, e le pene crescono, prosperano come i boccioli di rosa e le grosse prugne gialle. […] Diventano anche dolci, è vero, e divengono un’occupazione, una consuetudine che dolcemente si insinua nella tua vita. […] D’altra parte è vero anche che noi qui non ci difendiamo: ci allunghiamo nell’amaca e ci lasciamo avvolgere e cullare dalle nostre pene. Credo che chi voglia agire, insomma fare qualcosa, non debba rimanere qui con i suoi crucci.» Keyserling, che pure aveva fatto parte di quel mondo per diritto di nascita (discendeva infatti da una nobile famiglia baltico-tedesca), fu costretto a uscirne all’epoca dei suoi studi universitari «a causa di una bagattella … di una scorrettezza» che lo gettò nel disprezzo sociale della sua casta e in una vita da bohemien di cui fu a Monaco un animatore, benché gravemente ammalato e afflitto da problemi economici.
La sua opera, che è stata accostata a quella di Fontane per l’attenzione critica e nostalgica insieme al mondo dell’antica nobiltà tedesca di fine Ottocento, si discosta da quella di quest’ultimo per l’assenza di attitudine sociale e risulta «per questo più penetrante e radicale, [ricca di] impressioni sensoriali e colori definiti con precisione, ma anche odori e suoni, passaggi e contrasti tra chiaro e scuro, dentro e fuori,· natura e società [che] acquistano in Keyserling, al di là di ogni fascino superficiale, una funzione critica e insieme, come segnali del destino, una qualità simbolica» (Jochen Meyer).
Giovanna Venditti
In libreria
Eduard von Keyserling
Versante sud
Federico Tozzi ed. in Saluzzo, 2014
Traduzione di G. Agabio
128 p., brossura
€ 10,00
Eduard von Keyserling
Afa
Adelphi, 2000
Collana: Piccola biblioteca Adelphi
Traduzione di A.R. Azzone Zweifel
104 p., brossura
€ 8,00
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