Ci sono libri che catturano il lettore sin dalle prime pagine e lo coinvolgono a tal punto da impedirgli di staccarsene. È quello che succede iniziando a leggere Eteranima di Lucio Fiorillo, un romanzo breve ma intenso, intrigante e misterioso a cominciare dal titolo, singolare neologismo coniato dall’Autore a indicare un’anima “diversa”, ma anche molteplici anime come gli eteronimi di pessoana memoria.

Ispirato al mondo letterario di Antonio Tabucchi e Fernando Pessoa, Eteranima è il racconto di un sogno che, come scrive Fiorillo nelle sue note d’Autore, vuole essere «un omaggio alla grande solitudine in cui versa chi si nutre di anima e letteratura».

In ogni forma d’arte il sogno ha sempre esercitato il suo fascino arcano e sin dall’antichità la letteratura ha attinto dall’universo onirico, riflesso dei meandri della mente umana (quell’ «infinita ombra del Vero», secondo un’immagine di Giovanni Pascoli) e potente strumento di immaginazione («Non sono niente. /Non sarò mai niente. /Non posso volere d’esser niente. /A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo…», scrive Fernando Pessoa nell’incipit della poesia Tabaccheria).

Quello che qui l’Autore descrive è un “sogno lucido” «…tanto cosciente e pieno di realtà, da togliere il sonno»,ossia una particolare esperienza onirica in cui si è consapevoli di sognare e si riescono a controllare gli eventi. è come dirigere il set di un film: si può agire liberamente, far apparire o sparire cose e persone, spostarsi nel tempo e nello spazio, e tutto appare molto nitido e realistico.

Nella Lisbona di un fine novembre freddo e piovoso, Antonio Tabucchi (l’io narrante e sognante) si ritrova inviato in veste di ispettore per una missione particolare: scovare lo scrittore dissidente Fernando Pessoa, che da “gran fingitore” si nasconde cambiando volto, nome, anima. Accompagnato dalla misteriosa e affascinante Isabel, intraprende un viaggio durante il quale si imbatte in una serie di personaggi insoliti e stravaganti, presenze vere e fantasmi illusori che appaiono si dissolvono e riaffiorano con la fugacità e la leggerezza del sogno.

José, il dottor Ortega, Ophèlia e lo stesso Pessoa sono una varietà di anime, ognuna delle quali offre spunti di discussione sui grandi temi dell’esistenza (l’amore, la follia, la solitudine, la poesia, la felicità, il dolore, la morte) attraverso domande fitte e disinvolte che interrogano l’Autore e risuonano nel lettore con l’eco delle sue esperienze. Ogni incontro è una rivelazione e un pretesto per scandagliare le inquietudini che albergano nell’uomo. Dietro conversazioni surreali dal tono semplice e immediato si celano riflessioni folgoranti che sfidano certezze e insinuano dubbi, fanno vacillare luoghi comuni e stimolano il pensiero del lettore, il quale rimane agganciato all’amo degli argomenti e quasi sospeso nel sogno.       

La mirabolante avventura che conduce il protagonista all’incontro col maestro Pessoa si svolge tra uffici di polizia, stanze d’hotel e caratteristici luoghi lisbonesi, tingendosi a tratti di giallo in un contesto in cui si mescolano fino a confondersi realtà e finzione, visioni oniriche e descrizioni realistiche.

Sullo sfondo c’è una suggestiva Lisbona con le sue stradine della Baixa, i moli del porto, il Tago, le botteghe, i caffè liberty, le tabaccherie di Rua dos Retroseiros e i tradizionali piatti portoghesi. Con lo sguardo immerso nei colori, nei suoni e negli odori della natura, l’Autore riesce a creare immagini altamente poetiche di un paesaggio avvolto dalla nebbia e da una pioggia incessante come fosse una colonna sonora:

«…la pioggia scrosciava sui ciottoli sporcando i rigagnoli e mischiandosi alla luce imbrattata delle insegne».

«Era ferma sul marciapiede, immobile sotto la pioggia e guardava verso di me. L’acqua improvvisava sul suo viso tentando di confonderne la bellezza attraverso il perverso stillicidio di ritmo e musica fredda, una specie di jazz portato all’esasperazione».

Nonostante la sua brevità il racconto è disseminato di riferimenti culturali, oltre che di citazioni ricavate dalle letture di Antonio Tabucchi, di cui – scrive Fiorillo – «indecorosamente, ho tentato di riprodurre lo stile narratorio». Lo scaltrito lettore che ha familiarità con le opere di Tabucchi e la poetica di Pessoa non potrà fare a meno di riconoscere la maestria con cui l’Autore è riuscito a creare, con rimandi e sottintesi indiretti o nascosti, un sottile gioco di specchi in una sorta di letteratura “al quadrato”.

L’ironia raffinata dei dialoghi, il linguaggio scorrevole e accurato, i divertenti ossimori rendono gradevole la lettura del libro che, dopo l’incantesimo di un sogno, lascia lo stupore delle meditazioni di un’anima.

Eteranima è anche un viaggio interiore che l’Autore compie dentro di sé, alla scoperta della sua parte più profonda nei labirinti dell’inconscio … «ed è bello che da qualche anfratto di un sogno compaia il volto di chi riesce a vedere la tua anima».

Alla fine del racconto il sogno svanisce scivolando nella vita ma, ricordando le parole che l’Autore affida ad un suo personaggio, «a volte fare finta che non è un sogno rende la realtà bellissima».

Antonella Pascuzzi

Questa recensione è già apparsa in data 28 novembre 2021 sul sito www.eretici.org