Mantieni il bacio, titolo di un saggio in cui lo psicanalista Massimo Recalcati ritorna, tra le alte cose, sui seminari di Lacan, raffigura l’impossibile equilibrio tra bruciare d’amore e continuare ad amare. Tra narcisismo e décentrement. La distanza, al posto dell’unione fusionale, e il tempo, quello che non consuma il corpo desiderato ma lo rende sempre nuovo, proprio loro, apparenti nemici dell’amore, fanno invece da collante. Sarebbero i miracolosi artefici di questo equilibrio. Quando arriva al capitolo fedeltà, Recalcati preferisce parlare di gelosia e tradimento, dell’abbandono che soffre chi è lasciato o tradito e del lungo e complicato lavoro del perdono che può seguire ad un tradimento.

Missiroli nel suo romanzo Fedeltà fa un salto, o diversi salti e ci parla di un’altra fedeltà. Ci offre una visione diversa, in cui la fedeltà sembra essere proprio la misura di quella astratta lontananza e “incondivisibilità” di cui parlava Recalcati. In cui in qualche modo non ci sono frantumi di promesse o non ci sono solo quelli oltre alla necessità di dimenticare. Ma ci muoviamo rasentando quella zona dell’altro ignota e allo stesso tempo così famigliare, che non fa male, che non è poi tanto feroce o la cui ferocia può diventare sopportabile. Questo è il luogo della fedeltà di Missiroli, senza eclissi né lune piene.

Lungo tutto il romanzo corre una tensione molto magnetica, dovuta anzitutto alla scelta narrativa di Missiroli di entrare nel corpo di ognuno dei suoi personaggi, di farne di ognuno la voce narrante protagonista, in uno scambio di punti di vista che si sfiorano continuamente. È la dinamicità che -penso a Magnolia di Thomas Anderson- ha rivoluzionato la narrazione cinematografica sconfinando nella scrittura letteraria. Anche se la meno conosciuta regista Chantal Akerman nel film Toute une nuit del 1982 faceva intersecare nell’incastro del montaggio storie slegate e discontinue, che non avrebbero formato altrimenti parte dello stesso récit. Nella successione di una lunga notte bianca, sul pavé della sua Bruxelles, si avvicendano i protagonisti mentre si amano o separano, si baciano o si voltano le spalle. Ed anche se, molto prima, la Virginia Woolf di Mrs Dallowey, aveva già destabilizzato la narrazione tradizionale in questo senso. Una giornata, quella di Clarissa Dallowey, ventiquattro ore e un narratore che ha piuttosto l’evanescenza di una voce che passa, un flusso di pensieri, a volte inconsistenti a volte tragici, che vanno da Clarissa Dallowey fino a Septimus Warren Smith, passando per altri protagonisti che si incontrano, guardano nella stessa direzione o in tutt’altra direzione, si rivolgono sguardi da una finestra ad un’altra, in una poetica decentralizzazione della narrazione. Un filo che unisce dimensioni parallele in cui si è visti, si guarda, si sente e si vede per sentirsi finalmente visti e guardati -come osserva Liliana Rampello nella sua meravigliosa monografia Il canto del mondo reale. Quel filo che ci conduce- mentre Clarissa cammina, si ferma, e cammina per le strade di Londra- da quel “Mrs Dallowey said she would buy the flowers herself” fino a “It is Clarissa, he said. For there she was”.

Nel mosaico di Missiroli (che non è il caleidoscopio di Woolf, né la “constellation émpatique” di Akerman), non è l’azzardo (spesso forzato quello di Magnolia) a tenere unite storie ed esistenze disparate ma parallele. I suoi personaggi sono protagonisti della stessa storia che si rompe in tante storie quanti sono i punti di vista e le persone coinvolte, ognuna con le sue origini, i suoi dolori e la sua direzione o assenza di direzione. È come se il mosaico non fosse ricucito dall’esterno, da una voce in off, da un narratore che muove l’azzardo, ma dall’interno, dai suoi protagonisti, tra loro prossimi o lontani, con cui il narratore entra di volta in volta in contatto.

La tensione che questa scelta narrativa riesce ad arrestare e liberare è quella che si propaga quando le emozioni e le sensazioni non sono né represse del tutto né appagate del tutto. Come un languore con cui si gioca nel corso di un’estate. Succede ai due protagonisti Carlo e Margherita, marito e moglie, poco più che trentenni, per il momento senza figli, l’appartamento luminoso di corso Concordia, Milano, che finiranno per acquistare, nonostante i novantasei gradini senza ascensore, perché Margherita lo vuole a tutti i costi. Un giorno, all’Università dove insegna, Carlo è preso da un irrefrenabile desiderio per Sofia, una sua studentessa ma soddisfa la sua voglia malamente, in un bagno, dove vengono per giunta sorpresi. Poi, dopo quest’episodio, comincerà davvero a tradire la moglie con altre donne, anche se in realtà mai del tutto, perché il desiderio violento che aveva provato per Sofia, è una freccia tesa che alla fine non scocca.

Lei, Margherita, agente immobiliare, distrae il piacere che le provoca Andrea, il suo fisioterapista, quando le massaggia l’inguine per curarle una tendinite, ma poi ci si butta dentro per una volta, nel piacere primordiale, fino alla fine, senza ripensamenti. Tanto Andrea era solo una voglia e poi “cosa aveva tolto al suo matrimonio?”.

È la tensione che si crea quando i desideri escono per tornare subito dentro, o restano dentro per uscire solo a volte, brutali. È quello che succede ad Andrea, il fisioterapista attratto dai mutismi e dal corpo solo apparentemente scialbo di Margherita. Quella sua energia trattenuta che pulsa sotto i muscoli e quei movimenti precisi, millimetrici, durante le sessioni di fisioterapia. O in quel suo sguardo che ribolle eppure mantiene la calma mentre assiste i genitori, mentre vede soprattutto il padre sfacchinarsi e perdere la salute nel mestiere di edicolante. Questa energia sotto pelle, quando si libera clandestinamente in una sorta di fight club nella periferia di Milano, è violenta e autolesionista. Lo stesso accade anche a Sofia che sembra lanciare delle esche al professore ma senza troppa convinzione. Cede, stuzzica, ma poi si nasconde di nuovo, si rintana. È come se lei sapesse solo farsi desiderare.

La tensione che si crea quando le emozioni sono avvolte anche dal segreto e dalla bugia. Le bugie quelle che diciamo tutti noi ed i segreti quelli che nascondiamo tutti. Qui ci sono Anna, la madre di Margherita, che porta nella tomba il suo segreto: le cartoline che testimoniano o forse no il tradimento del marito. E la madre di Sofia, quella che tutti i giorni della sua vita era scesa ai casalinghi e ferramenta Casadei, aveva indossato il camicie blu che ora indossa Sofia, aveva lasciato passare le giornate, per poi sterzare il volante, per distrazione o perché voleva proprio finirla con quella vita in cui era stata felice ma troppo tempo fa, prima che tutto fosse ripetizione, abitudine e tristezza. Per queste donne la fedeltà è stata un sacrificio, solo rinuncia e rassegnazione.

La tensione che sale su da questa fuga delle emozioni, da queste emozioni sommerse, è sapientemente raddoppiata dalla sospensione prodotta dal passaggio da una storia all’altra, da un mondo interiore ad un altro. La storia si arresta per riprendere più avanti e la narrazione dell’accaduto si ferma a volte per rivivere più avanti come flash-back o ricordo, un ricordo che non si vuole perdere.

Nell’orgasmo Carlo chiede a Margherita, quello che altrimenti non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederle: raccontargli le sue fantasie erotiche. E Margherita gli racconta quello che non avrebbe mai pensato di raccontargli. Anche in Eyes wide shut, famoso e controverso ultimo film di un ultimo Kubrick, Alice, la moglie del dottor Harford, confessa al marito una sua fantasia e il dramma si mette in moto. In realtà, come in questo romanzo di Missiroli, anche il film di Kubrick, più che raccontare un banale tradimento, preferisce entrare a dare un’occhiata a tutto quello che la fedeltà tiene a bada, e passeggia civilmente al guinzaglio. Tutto quello di cui la fedeltà si nutre. Poi basta solo uno spiraglio affinché in qualche modo quell’energia esca fuori. Il party glamour a cui partecipano Tom Cruise e Nicole Kidman. Nel romanzo di Missiroli, basta quel banale scandaletto all’università subito messo a tacere, il sospetto che Carlo abbia davvero fatto qualcosa con una sua studentessa. Basta uno spiraglio, basta il dubbio.

Nel poster del film di Kubrick, Tom Cruise sembra baciare la moglie ad occhi chiusi. Anche la maschera che indossa durante il cerimoniale dell’orgia, gli copre occhi e viso. Il suo tradimento, anche se apparentemente più fisico e reale di quello di Alice, non è mai compiuto. O è realizzato perché il piacere per il dottor Harford non era “coitale” ma stava tutto lì, nell’atto di osservare la nudità fino alla necrofilia, l’animalità, l’oscenità, la corruttibilità o come la vogliamo chiamare. Alice sogna e tradisce nel sogno. Eppure il suo tradimento è molto più carnale di quello del marito. Forse Alice nel sogno sta solo ricordando un incontro che ha già avuto luogo. Due intimità, due zone distanti, o solo appena condivisibili. Quella ad occhi chiusi di Cruise. E quella ad occhi aperti di Alice che forse continua a sedurre l’altro (il regista, lo spettatore), mentre il dottore forse continua a non voler vederlo, a non voler vedere la libidine della moglie.

Anche nella storia di Missiroli ci sono questi due sguardi. Il tradimento di Margherita è molto più fisico e appagante rispetto a quello di Carlo (non solo con Sofia, ma anche con le altre amanti), anche se poi non sembra trascinare con sé grandi conseguenze. Quello di Carlo con Sofia resterà una fantasia, anche se lui la stirerà fino all’ultimo sguardo a distanza di anni, soddisfacendola nel mezzo con altre donne.

Alla fine della storia, avranno mutato pelle, ma la pelle è caduta senza fare rumore. Il tradimento sembra essere stato solo un modo per restare fedeli, per “riaffamarsi” del corpo dell’altro. Per Carlo il tradimento di Margherita ha amplificato il suo desiderio e il suo piacere. Per Margherita una cosa tutta sua, un deragliamento, naturale. “Cosa aveva tolto al suo matrimonio?

Sul tradimento dell’altro hanno chiuso gli occhi. Margherita ha voluto che rimanesse giusto l’ombra di un dubbio. Carlo si è rincuorato pensando che quello di Margherita per Andrea sia stato solo desiderio o adulterio contro adulterio: “Margherita aveva desiderato un altro, forse lo desiderava ancora, ma solo lui poteva viverla davvero”. Eppure non è ignoranza. Margherita sa di Sofia così come Carlo sa di Andrea, e Giorgio, il compagno di Andrea, sa delle sue scivolate fuori città in cerca di uomini dal torso nudo che pestano. Carlo e Margherita sanno senza doverselo davvero dire che Sofia per Carlo e Andrea per Margherita sono diventati l’uno parte dell’altro.

Una specie di patto segreto che non ha bisogno di confessioni. Ritorno al poster di Eyes wide shut che pure sembra suggellare un patto domestico, che non è un punto fermo, in cui niente sarebbe cambiato, in cui Harford continua ad accettare la menzogna ed Alice che suo marito debba ignorare i suoi desideri e la sua libido, perché tutto in fondo è stato solo un brutto sogno. Sicuramente nel romanzo di Missiroli, la fedeltà è una ricerca: capire in quale posto della mente e poi della coppia mettere l’inquietudine, una banale fantasia o un vero tradimento, tutto quello che ci separa dall’altro e separandoci a volte ci unisce.

La fedeltà è una svolta, che cresce ad ogni passaggio proprio quando sembra in pericolo, lungo i ponti che allacciano una storia all’altra, un mondo interiore all’altro, in uno spostamento apparentemente minimo. Sofia, Carlo, Margherita, Andrea, Anna. Il passaggio da un io all’altro avviene su oggetti e parole che ci sono oppure mancano, che segnano la transizione tra momenti qualsiasi. Avviene lì nel riflesso di una vetrina, in uno sguardo appena l’altro va via, su una parola che ti insegue e ti stana, nello stacco di un’interlinea bianca, nella confidenza di una testa che si china, lo squillo di un telefonino, un sms, in una invocazione all’unisono, su una parola dai molteplici significati, nelle mani che si scambiano oggetti quotidiani, una frase pronunciata allo stresso tempo, un pacco, una mano che afferra, la copertina di un romanzo, un abbraccio che si ha il timore di non riuscire a completare, il desiderio di tornare indietro. Lì nel buio di una stanza che ti porta nel buio di un’altra stanza.

La città tutta, Milano e poi Rimini, quando Carlo parte in cerca di Sofia, è come fatta di scambi di binari. I protagonisti che la percorrono imprimono una direzione alla città. Altre volte è la città a sospingere i sentimenti di chi la attraversa. Altre ancora è come se ci fosse una direzione che attraversa e spacca la città e i suoi protagonisti. E, al di là del movimento e delle direzioni, la città si impone come un’immagine-relazione (nel senso usato da Deleuze e Guattari, niente della New York iperbolica di Kubrick) una città intima, una specie di luogo privato che quasi ti vede nell’animo.

In questa storia la fedeltà non è il contrario dell’infedeltà, ma contiene essa stessa una buona porzione di infedeltà. Tutti i protagonisti sperimentano diversi tipi di infedeltà, anche se restano fedeli. Quella erotica di Margherita, i tradimenti di Carlo, che sono quasi necessari, socialmente accettati e scusabili. Quelli che il padre di Margherita è riuscito a portarsi nella tomba lasciando alla moglie Anna un pugno di cartoline nascoste e tanta rabbia frustrata. Quello di Sofia che provoca Carlo, e gioca con il desiderio. Quello di Andrea quando si fa colpire. E allora si disegna come una zona franca, un momento di ebbrezza. Sconfinare e rientrare nei confini per sentirsi più saldi.

Ma, scendendo ancora più giù, mi sembra che finalmente la fedeltà che sta al centro di questo romanzo sia misteriosamente legata all’accudimento, a un nucleo di necessità, a un messaggio che si trasmette, che si accetta o a cui ci si ribella mentre si accudisce l’altro. Le scene forti del romanzo sono scene di accudimento di una figlia verso la madre. Che diventa fedeltà alla madre e ti fa allungare le braccia e prendere quella mantella che è stata di tua madre, e poggiartela sulle spalle e sprofondarci dentro come se fosse stata sempre tua, sempre sulle tue spalle. Perché in qualche modo tutto, sì, è anche immobile. E non bisogna averne paura. Di un marito e di una moglie rispetto ai propri figli, ai loro piccoli e grandi disagi. Lorenzo il figlio di Carlo e Margherita ha un danno neurologico. Mentre lei, Margherita, sta per cedere di fronte alla sentenza del neurologo, lui, Carlo, resta e continuerà a restare calmo, tutto d’un pezzo, perché sa (e per Margherita questo è altrettanto chiaro) che ci avrebbe pensato lui a Lorenzo. Di Sofia verso il padre vedovo. Di Andrea che rileva l’edicola dei genitori. Di premura di un genero che sa accogliere la paura della madre di sua moglie mentre sta morendo. “Carlo rimase finché Anna non si addormentò. Poi spense la luce grande, lasciò, l’abat-jour accanto alla macchina da cucire, le sfilò il biglietto di Torino e lo appoggiò sul comodino”. Tutto quello che il discorso ufficiale classificherebbe nel dizionario come solidarietà, responsabilità, ecc.

Eppure anche questa è fedeltà.

Silvia Acierno

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