Perché leggere un libro sulla casa se già molti dei nostri problemi quotidiani la vedono protagonista? Affitto, acquisto, arredamento, manutenzione, trasloco, spese varie, pulizie e condivisione degli spazi. Ne seguono discorsi lunghi, spesso noiosi e a volte tormentati. Eppure quasi sempre, la filosofia si è disinteressata all’ambito domestico. A parte Wittgenstein che non solo ha molto ragionato sulla casa, ma ne ha proprio costruita una a immagine e somiglianza del suo pensiero, la scienza speculativa ha sempre preferito ragionare sulla città e vedere in questa costruzione antropica l’archetipo dello spazio comune.

E invece, il filosofo italiano di adozione francese Emanuele Coccia, in Filosofia della casa edito da Einaudi nel 2021, sceglie proprio l’abitazione privata come oggetto del suo ragionamento, discutendo di camere e corridoi, cucine, armadi e giardini senza mai ricadere nella manualistica o nel trattato tecnico. Già, perché per Coccia la casa non è un oggetto, un’entità materiale. È invece una “realtà morale”, nel senso più filosofico del termine. Ne consegue dunque che, se la morale altro non è che la “teoria della felicità”, allora “fare casa equivale e cercare la felicità”.

Per il filosofo la casa è sostanzialmente una tecnica di adeguazione tra sé e il pianeta, un modo per stare al mondo, un legame virtuoso fatto di spazi e oggetti tra l’essere vivente e il mondo. Questa idea di abitazione come dispositivo di mediazione, in realtà simile all’idea che un certo tipo di design ha degli artefatti, emerge nettamente al momento del trasloco. Trenta traslochi nei più diversi luoghi del mondo, sono bastati a convincerlo che “una casa è l’autoaddomesticazione di noi stessi per renderci adatti al mondo in cui viviamo e viceversa l’addomesticazione del mondo per trasformarlo in un abito, un costume che aderisce a noi fino a confondersi con la nostra anatomia e la nostra immagine”. Sia che si lasci una vecchia residenza, sia che si entri in una nuova, quello che conta davvero non è la casa in sé, ma il “fare casa”.

Ed è qui che il discorso si fa davvero interessante e non ha davvero più nulla a che vedere con maniglie, sanitari e battiscopa. La casa diventa, man mano che le pagine scorrono, uno strumento per intrecciare le nostre vite a quelle degli altri che siano essi presenti, passati o futuri. Antenati, compagni di vita, figli, o perfetti sconosciuti. È il luogo in cui gli oggetti si animano e cessano di essere semplicemente anonime cose perché, come scrive Coccia, “sono gli oggetti a ospitare il nostro corpo, i nostri gesti, ad attirare i nostri sguardi, a impedirci di scontrarci con la superficie squadrata, perfetta, geometrica della casa, a proteggerci dalla sua violenza”. Gli oggetti di casa acquisiscono parte di chi abita quei luoghi e questo vale anche per i vestiti nell’armadio che per il filosofo altro non sono che case in piccolo, capaci addirittura di ricoprire alla perfezione il nostro corpo e di seguirlo in giro per il mondo. Del resto, non è un caso se le parole abito e abitare condividono così evidentemente una radice comune.

Un lungo capitolo è dedicato alla cucina, luogo in cui il mondo entra in casa e si presta ad essere trasformato, quasi come in una sorta di alchimia, per essere ingerito e diventare parte integrante della nostra stessa vita. Ma se c’è un punto del libro davvero affascinante – ce ne sono tanti in realtà – è quello in cui Emanuele Coccia rintraccia un legame profondo tra la casa e la scrittura. “La scrittura è ciò che ci permette di continuare con altri mezzi ciò che facciamo mangiando e percependo il mondo: vivere tutta la vita che ci circonda e lasciarla passare attraverso di noi. […] Abbiamo bisogno di casa per la stessa ragione per cui abbiamo bisogno di scrittura. […] Abitare il mondo significa trasformare la sua struttura, diventare noi stessi scrittura del pianeta.”

Ed è forse in questa affermazione la risposta alla domanda: perché leggere un libro sulla casa? Non serve essere architetti o designer per avere bisogno di uno scritto come questo. L’esperienza dell’abitare ci accomuna tutti, anzi secondo Coccia accomuna tutti gli esseri viventi, non solo gli uomini, e forse mai si è rivelata così complicata come in questo momento, ora che la casa ha assunto sembianze diverse ed è a volte ufficio, a volte scuola, a volte palestra. La vita domestica è diventata molto più di quello che era o semplicemente si credeva che fosse. Ragionare sulla casa, allora, vuol dire cominciare a guardare agli spazi che frequentiamo non più semplicemente come ad anonimi contenitori di vita, ma come costruzioni di relazioni ed esperienze.

Ha certamente ragione Emanuele Coccia quando scrive “Dovremmo cambiare casa ad ogni stagione, proprio come abbiamo bisogno di farlo con i nostri vestiti”. Non intende dire che dovremmo traslocare ogni quattro mesi, intende invece invitarci a cercare nella nostra dimensione abitativa, come facciamo con i vestiti, la stessa adeguatezza al tempo, alle circostanze, agli umori che stiamo vivendo in quella particolare stagione della nostra vita. Non farci dominare dalle cose, ma dare senso e vita alle cose. È un bellissimo invito alla libertà e alla ricerca di un nuovo senso di esistere. Oltre che una bellissima pagina di scrittura.

Loredana La Fortuna