Fuochi non è propriamente un libro di giovinezza: è stato scritto nel 1935; avevo 32 anni. L’opera pubblicata nel 1936, è riapparsa nel 1957 quasi senza ritocchi. Nato da una crisi passionale, Fuochi si presenta come una raccolta di poesie d’amore, o, se si preferisce, come una serie di prose liriche collegate fra di loro sulla base di una certa nozione dell’amore. Come tale, l’opera non ha bisogno di commenti, in quanto l’amore totale, imponendosi alla vittima come malattia e insieme come vocazione, è da sempre una realtà dell’esperienza e un tema tra i più visitati della letteratura.
Si può tutt’al più ricordare che ogni amore vissuto, come quello che ha dato origine al libro, si fa e poi si disfa all’interno di una determinata situazione, grazie a un complesso miscuglio di sentimenti e di circostanze che in un romanzo formerebbero la trama stessa della vicenda mentre in una poesia sono il punto di partenza del canto. In Fuochi, questi sentimenti e queste circostanze si esprimono ora direttamente, ma molto criticamente, in “pensieri” isolati che all’inizio erano appunti di diario, ora invece indirettamente, con racconti tratti dalla leggenda e della storia e destinati a offrire un sostegno al poeta attraverso i tempi”.
Questa la prefazione che la stessa Yourcenar scrisse nella riedizione dell’opera.
“Spero che questo libro non venga mai letto” è la sintesi e il paradosso di quanto l’autrice – lo scrive nell’incipit- è attraversata da una dualità dolorosa frequente nella letteratura e della scrittura in generale, ovvero scrivere per sé per guarire e vedere e al contempo consegnare i propri testi al mondo.
“Feux” , Fuochi, è di fatti un’opera che assomiglia al diario segreto che l’autrice avrebbe voluto buttare nel fuoco o consegnare ai flutti, la stesura di un lungo sfogo per ritrovare se stessa e la sua anima, schiacciata da un amore non ricambiato per il suo editore, André Fraigneau, omosessuale.
Marguerite Yourcenar inizia a scrivere “nel sangue” per ricomporsi.
Un estratto sottolineato più volte, mirabilmente tradotto da Maria Luisa Spaziani dice : “Io non sarò mai vinta. Non lo sarò che a forza di vincere. Poiché ogni trappola evitata mi rinchiude nell’amore che finirà per essere la mia tomba, finirò la mia vita in una segreta di pure vittorie. Sola, la disfatta trova chiavi, apre porte. Per raggiungere il fuggiasco, la morte deve mettersi in movimento, perdere quella fissità che ci fa riconoscere in lei il duro contrario della vita. Ci offre la fine del cigno colpito in pieno volo, di Achille afferrato per i capelli da chissà quale oscura Minerva. Come per la donna asfissiata nel vestibolo della sua casa a Pompei, la morte non fa che prolungare nell’altro mondo i corridoi della fuga. Per me, la morte sarà di pietra. Conosco le passerelle, i ponti girevoli, le trappole, tutte le zappe della Fatalità. Non mi ci posso perdere. La morte, per uccidermi, avrà bisogno della mia complicità.
Non esiste un amore infelice: non si possiede se non ciò che non si possiede. Non esiste un amore felice: ciò che si possiede non lo si possiede più. Non c’è nulla da temere. Ho toccato il fondo. Non posso cadere più in basso del tuo cuore”.
Yourcenar sa benissimo che quello che sta provando deve per forza avere dei “precedenti” e attinge con la sua attitudine a prendere sotto braccio il mito e la storia, alle narrazioni delle disperazioni antiche.
Riprende la storia di Fedra, figlia di Pasifae e Minosse, moglie di Teseo re e fondatore di Atene, che innamorata del figliastro, Ippolito, non sopporta il suo rifiuto e prima lo accusa di violenza poi si uccide ( storia che prima di Yourcenar era stata rievocata anche da Dante Alighieri nel XVII canto del Paradiso e dal drammaturgo francese Jean Racine, che nel 1677, scrisse Phèdre).
Yourcenar chiama a raccolta le donne del mito e della disperazione come un incantesimo.
E quindi la potente Saffo, poetessa disperata. E Clitennestra, regina di Micene e assassina di Agamennone, suo marito.
E il mito sconfina nel cristianesimo con Maria Maddalena: “Ho dovuto amarti per capire che la peggiore e la più mediocre delle persone umane è degna di ispirare lassù l’eterno sacrificio di Dio… Dio non mi ha salvata né dalla morte, né dai mali, né dal delitto, poiché è grazie ad essi che ci si mette in salvo. Mi ha salvata dalla felicità”.
Confessioni di donne che l’autrice rielabora dalle sue visioni letterarie e che sono di grande modernità: sia per lo stile dell’opera sia per l’idea narrativa (rileggendola ho pensato ai Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese).
Ciascun personaggio, avvolto nel suo fuoco letterario adempie alla sua missione, che poi è l’intento di Yourcenar, attivare la fiamma del destino, delle scelte, dell’autodistruzione o della salvezza, della bugia e della verità.
“E tu te ne vai? Tu te ne vai?… No, tu non te ne vai: io ti trattengo… Mi lasci nelle mani la tua anima come un mantello”.
Antonella De Biasi
E tu cosa ne pensi?