Anno 1 | Numero 10 | Luglio 1998

A volte, cari amici di ex libris, è proprio una gran fortuna fare questo mestiere. Quello dell’editore, voglio dire, per quanto piccolo e così maledettamente invischiato nelle mille trappole riservate a chi tenta di farlo – comunque – con dignitosa serietà…

A volte capita di pubblicare quel libro, quello che se apparisse sugli scaffali delle italiche librerie non solo acquisteresti al volo, ma poi consiglieresti e regaleresti e recensiresti (se ti chiedessero di farlo). Siccome l’hai pubblicato tu, invece, magari hai qualche remora, perché potrebbe sembrare un tentativo di dedicarti ad un’autopromozione indegna…

Correrò questo rischio, poiché La Gerarchia di Ackermann (Mobydick), di Giuseppe O. Longo, è un libro sinceramente imperdibile. Sia chiaro che il termine va comunque confinato… Si tratta infatti di un romanzo non certo di facile consumo, o da leggiucchiare tra una fermata e l’altra della metropolitana. Chiede attenzione e passione, chiede complicità e sintonia.

La vicenda si snoda in una manciata di ore: un fiume tumultuoso di ricordi concentrici che sgorgano dai sedimenti limacciosi del tempo. Accade che un enigmatico plico giunto dall’Ungheria fa riaffiorare alla memoria di Guido Marenzi (il protagonista) una storia di amore e di pazzia che ha vissuto a Budapest venti anni prima e dalla quale è uscito spezzato. E Guido ripercorre per ventiquattr’ore quella lontana vicenda: dal lavorio della memoria (una memoria a volte implacabile come una lama di bisturi, altre volte inevitabilmente soffocata da ossessioni, dubbi, dalle note grevi del Castello di Barbablù, scandita da indimenticabili figure di comprimari, perfetta e infinibile come l’eterna partita a scacchi che si gioca col metodico Tramer) dal concatenarsi di presente e di ricordi, il protagonista esce trasformato. Sul finire del giorno s’affaccia una speranza mitigata. Marenzi, liberandosi dal groviglio di dolore e tribolazioni che lo ha rinchiuso in un vortice che tanto simile appare ad un maelstrom, pare riaprire gli occhi sul mondo circostante. Un mondo diverso, forse più dolce e pacato. E – sullo sfondo – una città di vento, incerta sempre tra il mare e i continenti, ombrosa, pronta a chiudersi e a celarsi: “Trieste divora la propria carne. Docile, rassegnata, dolorante, si mangia dolcemente le braccia e piange dagli occhi folli. Intanto la bora soffia, mena fendenti, sotto i suoi colpi anche le menti più robuste vacillano”.

Kafka e Joyce sono i parenti illustri che si potrebbero scomodare per trovare un riferimento che – comunque – deve tener conto dell’indiscutibile originalità di questa scrittura. Forse anche Poe, per certi aspetti, e la Mitteleuropa… Ma è solo per capirci: siamo di fronte a un libro importante, che forse avrebbe meritato una Casa più ricca, più ammanicata coi media, per ottenere l’immediata attenzione che – comunque – sono sicuro riceverà. Per inciso, l’autore – nel 1994 – aveva pubblicato il romanzo precedente con Einaudi (L’acrobata, tradotto in Francia da Gallimard), poi è scoppiato questo amore (corrisposto) che ci ha permesso di presentare ai lettori due splendide raccolte di racconti (Congetture sull’inferno, 1995, finalista Premio “Chianti” e Premio “Bergamo”; I giorni del vento, 1997, finalista Premio “Penne”), e ora queste straordinarie 360 pagine di magma ribollente.

Guido Leotta

 

Giuseppe O. Longo (Forlì, 2 marzo 1941) è un informatico e scrittore italiano.
Cibernetico, teorico dell’informazione, epistemologo, divulgatore scientifico, scrittore, attore e traduttore. Docente all’Università di Trieste, ha introdotto la teoria dell’informazione nel panorama scientifico italiano (Teoria dell’informazione, Boringhieri, 1980).
Si interessa alla comunicazione in tutte le sue forme, e si occupa attivamente delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico e scientifico (Il nuovo Golem, Laterza, 1998; Homo technologicus, Meltemi, 2001; Il simbionte, Meltemi, 2003); cruciale è la figura del “simbionte”, vale a dire dell’uomo integrato dalle sue “protesi” tecnologiche e inserito nella rete telematica.
È uno dei più importanti traduttori scientifici, avendo fatto conoscere, in Italia, le opere di studiosi quali Bateson (sue tutte le traduzioni italiane presso Adelphi), Hofstadter, Dennett, Eibl-Eibesfeld, Einstein, Minsky (per la traduzione di La società della mente ha ricevuto nel 1991 il Premio nazionale Monselice). Ha tradotto numerosi articoli dall’inglese, dal tedesco e dal francese per “Le Scienze” e per “Technology Review”.
Fonte: Wikipedia

 

In libreria

Giuseppe O. Longo
La gerarchia di Ackermann
Jouvence, 2016

Collana: Finzioni
365 p., brossura
€ 20,00

Compra il libro su Amazon