Se “scrivere di donne è un atto politico” scrivere di Grace Paley è un privilegio. Ci siamo conosciute sul web Grace ed io, ci ha presentate una donna eccezionale amica delle donne e delle arti. Non avevo idea di chi fosse questa donna minuta dai capelli arruffati fintanto che non mi sono imbattuta nell’articolo che mi ha restituito una scrittrice, una poeta, una combattente che ha lasciato più di un segno.
Se ti chiami Grace Kelly o Marilyn Monroe Wikipedia indica anche la tua altezza, oltre alla misure di vita seno fianchi, di Grace no, e in fondo dico io chissenefrega, Grace Paley era una gigantessa di un metro e cinquanta, le foto in rete o sulle quarte di copertina dei suoi libri ci raccontano di un volto in cui lo sguardo è la sintesi di un carattere indipendente, gli occhi sono piccole pietre nere, acuminate, aguzze e incorniciate da una dolcezza soltanto apparente, illuminate da una intelligenza straordinaria. E se i capelli arruffati, e gli abiti parecchio ordinari ti inducono a pensare che Grace sia una donna semplice, la sua vita e le sue opere denunciano l’esatto contrario. Grace era, anzi è una donna dalla parte delle donne, i suoi scritti e le sue azioni danno l’esatta dimensione di questa newyorkese dallo spirito indomito. È da parte delle donne e lo è stata (ringraziando il cielo) nella sua lunga vita, perché i suoi scritti sono qui, lei è in loro, testimone e testamento che ci riguardano tutte. Le sue tre raccolte di poesie pubblicate in fasi successive sembrano indicare una linea atta a scandire non solo il tempo ma il divenire della società attraverso l’osservazione minuta e curiosa della realtà.
Se una cosa abbiamo in comune la signora Paley ed io è la curiosità, quella di vivere e di osservare. Grace era una fine ascoltatrice, dei rumori, del suono che una città produce e che può trasformarsi da sinfonia orchestrata in maniera abbastanza casuale a musica di sottofondo regolare e ritmata che ci rammenta di essere vivi. New York è stato l’elemento vivo e vitale, un organismo destinato a mutazioni continue e palpitanti di cui la Paley è stata gli occhi e la voce ma più spesso le gambe. Gambe per scendere in strada a spartire volantini, per partecipare a cortei, per portare in giro la bandiera della protesta, per far sentire la propria voce. Voce unica che la distingue e le permette di farsi ascoltare, parole nuove per raccontare la normalità, parole vecchie per sostenere la lotta e farsi comprendere da tutti, ma non necessariamente per comprendere tutto. Chi ha detto che bisogna capire tutto? Non ne avremmo né il tempo, né la necessità in fondo. L’ascolto e mai il silenzio, poderosa forza e “responsabilità poetica” nella visione del mondo, dove il mondo è un vicolo, una donna in difficoltà, un diritto negato, un atto di razzismo mascherato da pietismo. Nel 1986 la città di New York le conferisce un titolo inventato ad hoc: “scrittore ufficiale dello stato di New York”, una sorta di lasciapassare che lei si sarebbe preso anche se non glielo avessero assegnato.
“come potevo disertare tutta quell’altra vita
quei seminterrati di città”
La sua responsabilità è non lasciare cadere niente e nessuno nell’oblio, in un esercizio continuo e costante di osservazione di ascolto e parola, difficile comprendere quando e in che maniera lasciare che l’uno possa prevalere sull’altra. Arma potentissima la parola se figlia di un ascolto attento, minuto pervicace. Grace Paley e le sue poesie che divengono lievito per la mente. Grace con le sue scarpe lise, ma comode, per affrontare salite e marce in bilico perennemente su quella corda tesa che è l’esistenza e che l’autrice snoda, tira, dipana nelle non trame dei suoi racconti, perché la trama in definitiva è come la vita, assolutamente incidentale. Il suo esempio nella lotta per la rivendicazione e il rispetto dei diritti umani sono un esercizio che dureranno una vita intera.
“è buona cosa in una vita essere stata testimone del duro lavoro”
Eppure Grace Paley non è stata una scrittrice eccessivamente prolifica, credo fosse impegnata a viverla la vita più che a raccontarla, in lei era compresa la innata capacità di esprimere in breve ciò che ad alcuni riesce in maniera prolissa o non riesce affatto. Le persone che hanno chiari gli obiettivi non hanno tempo da sprecare.
Non è stata una vita semplice, spesso il suo essere combattiva è stato scambiato per pericolosità, negli anni settanta lo spettro del comunismo aleggiava ovunque ed era il più semplice marchio di fabbrica da imprimere a ciò che appariva “diverso” o fuori dagli schemi, la società americana è sempre stata intrisa di un puritanesimo intellettuale povero. Grace Paley è stata anche arrestata, ma non ha mai spento il suo sorriso dalle labbra, ha mantenuto uno sguardo ironico che le ha consentito di non soccombere perché un poeta diventa ciò che vede, la madre di un desaparecidos, una sfollata nella striscia di Gaza, un barbone ubriaco.
“io volevo una barca a vela, disse lui. Ma tu non volevi mai niente.
Non prendertela, dissi io. Non è mai troppo tardi
No, disse lui con molta amarezza. Può darsi che me la comperi, la barca in realtà (…)
Per te è invece troppo tardi. Tu non vorrai mai niente.”
Volle Grace Paley, fortissimamente, ma con una leggerezza che la condusse come una minuta ballerina sul filo sottile che attraversa il tendone del circo da un capo all’altro, volle ed ebbe la visione, l’ebbrezza, la concentrazione e la tensione del pubblico, e la sicurezza di farcela guardando sempre con indulgenza dinanzi a sé.
Adele Musso
Tra vivere e scrivere non è necessario scegliere
Le connessioni
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