Sono più o meno dieci anni che penso di scrivere qualcosa sui libri di Guido Morselli. E il problema è proprio questo, intendo il fatto che continuo a pensarci, a pensare nuove cose sui suoi scritti e al contempo ad affondare in certezze basaltiche, a ripetermi che più ci penso e più non saprei nemmeno da che parte cominciare.
Insomma penso spesso ai libri di Morselli, e spesso penso che sia uno dei rari scrittori italiani per cui provo un’ammirazione grande e quasi smisurata, un’ammirazione del tipo che se l’avessi letto prima di provare a scrivere io stesso dei libri direi che i libri di Morselli sono il motivo per cui ho iniziato a scrivere.

In realtà non è andata così e i primi libri di Morselli li lessi a 25 anni, ma quei libri e quelli che ho letto successivamente rimangono uno dei motivi essenziali per cui amo la letteratura e anche uno dei motivi per cui spero sempre (e qualche volta accade) di trovare un giorno in libreria almeno un libro che mi faccia innamorare ancora una volta della letteratura come mi è accaduto leggendo questo autore straordinario.

Allora perché proprio adesso ho deciso di scrivere qualcosa su questi libri, visto che il secondo problema è sempre stato che anche se sapessi da dove cominciare non avrei idea di cosa scrivere e da che parte andare sia per le troppe cose che ci sarebbero da dire (e il web non è il posto ideale per farsi seguire quando si hanno troppe cose da dire) sia perché, oggettivamente, le competenze da critico letterario non ce le ho ed è anche evidente che con l’età io abbia dei problemi seri a farmi capire da altre persone sia quando parlo sia quando scrivo?

La coincidenza vuole (sia chiaro che io non credo alle coincidenze)  che in questo periodo, per vostra sfortuna, io abbia molto tempo libero rispetto al solito, che di recente abbia letto un altro libro che mi mancava di Morselli e che da poco più di un mese sia uscito  Un pacchetto di Gauloises. Una biografia di Guido Morselli pubblicato dall’editore Castelvecchi e scritto da Linda Terziroli, che se ho capito bene spulciando su internet è al suo quarto libro su Morselli e mi sembra sufficientemente ossessionata da lui per avere tutto il mio rispetto e la mia attenzione se continua a seguirne le tracce.

Dunque eccomi qui a provare a dire anch’io qualcosa dei libri di Morselli, in breve, che se invece volete sapere di più della vita e altro sicuramente più interessante leggetevi appunto il saggio di Linda Terziroli.
Innanzitutto io credo che tutti dovrebbero leggere quattro libri di Morselli che per me sono fondamentali. Sono fondamentali perché sono libri strepitosi, diversi, eccitanti, miracolosi nella lingua e nella sospensione di equilibrio magico e  di tensione superficiale del racconto che riescono a creare nell’animo di chi li legge.

Intendiamoci, anche un Dramma borghese o Divertimento 1889 sono libri che vale la pensa leggere ma io parlo di quattro libri che evidentemente sono i miei preferiti e inoltre, se volessimo proprio dirla tutta, non credo che tra i miei libri fondamentali e bellissimi nessuno scrittore che amo possa annoverarne almeno quattro e questo qualche cosa vorrà pur dire.
I libri in questione, molto diversi tra loro, sono ovviamente Dissipatio H.G, Roma senza Papa, Contro passato-prossimo. Un’ipotesi retrospettiva e Il comunista.
Se i primi due sono titoli a loro modo accattivanti che possono raggiungere ed effettivamente hanno raggiunto molti (sempre senza dimenticare che Morselli ha dovuto per forza cedere alla morte prima di essere pubblicato e su questo ora non mi voglio dilungare perché già fiumi di sangue e inchiostro sono stati versati …), mi soffermo a dire un paio di cose sugli ultimi due.
Contro passato prossimo è un’ucronia sulla prima guerra mondiale, un come sarebbe andata se la lingua è sempre ricca, ben dosata e tecnicamente perfetta per la trama e l’atmosfera del racconto, come sempre accade in Morselli qualsiasi cosa voglia raccontare. La parte più esaltante del romanzo è sicuramente la pianificazione da parte degli Imperi centrali della spedizione militare che permetterà loro attraverso una geniale intuizione strategica e di ingegneria militare di conquistare il Nord Italia e ribaltare le sorti della guerra che langue. Ma solo a parlarne non gli si rende giustizia a questo meccanismo perfetto di narrazione e se continuassi a parlarne io poi svilirei irrimediabilmente il fascino, la precisione, la creazione che Morselli ha infuso nello spettacolo della storia.

Per cui tuffatevi nella Edelweiss Expedition se non lo avete fatto e state a guardare come gli uomini creano e distruggono in stanze chiuse e campi aperti. Ma ancora più di questo romanzo, e in fondo è qui che volevo arrivare per darvi una misura del perché leggere un libro di Morselli è un’esperienza da fare nella vita, la lettura che mi ha impressionato e sconvolto qualche anno fa fu la lettura de Il comunista.

Ora, una descrizione realistica di questo romanzo potrebbe tranquillamente essere: si parla in oltre 350 pagine della vita di un piccolo funzionario di partito che da sindacalista viene proiettato alla camera dei deputati e nei meccanismi del grande partito comunista alla fine degli anni 50 inizio anni ’60 e qui lo scontro tra la dimensione della giustizia personale e sociale, della probità, dell’ideologia e la dura realtà del politico e dell’ideologia stupidamente realistica  lentamente deflagra in un gioco di ombre e abiure personali e collettive in nome di non si bene cosa. Insomma, si parla di altissima e bassissima politica di fine anni ’50 in Italia, di sociologia comparata, di sociale e di emancipazione dal reale, di psicologia spiccia, di potere macchinoso e lo si fa con la lingua e i registri di un’epoca che noi oggi a fatica riusciamo a decrittare. Morselli lo scrive a metà degli anni sessanta questo romanzo denso e pesante di significati e significanti, e ripeto che lo fa con la sua solita mimesi linguistica e con la sua abilità di ricreare un mondo reale più del reale, se mi permettete un’espressione che può adattarsi anche ad altri romanzi di Morselli. E come sempre è anche un romanzo che anticipa e disseziona aspetti e temi che solo molto più avanti nelle menti delle persone si sarebbero affacciati. Un romanzo di un coraggio e di una lucidità che in quei tempi non ha eguali forse.
Ma il punto vero è che un romanzo che si occupa in questo modo e con questa prospettiva rigorosamente partitica di politica, funzionari di partito degli anni 50, di comunismo, di passacarte, di ideologie stantie o cieche ognuno di voi compreso me lo classificherebbe prima di leggerlo con un unico commento possibile: due palle. E invece parliamo di un libro dal fascino ammaliante nonostante narri di tutto ciò e lo faccia non come nelle posticce serie televisive alla House of Cards di sessanta anni dopo[1] ma come un pirotecnico ma silenzioso narrare del tempo che si infrange sui baluardi delle coscienze e dei sentimenti, sulla meraviglie delle idee, sulla natura dell’uomo e di ciò che gli sta attorno.

La  lettura della biografia di Morselli magari ci potrebbe far ritrovare parte di tutto questo affascinante substrato di mente personale che elucubra e che poi riverserà nei suo romanzi. La lettura dei suoi libri, anche di quelli che non sono così epocali come i quattro che vi ho citato, ogni volta a me fa pensare invece a quanto della letteratura italiana ci siamo persi e continuiamo a perderci perché non siamo nemmeno più in grado di leggerla, certa letteratura, e ci adagiamo a leggere prodotti simili, preconfezionati per lettori che si cerca di rendere uguali, assuefatti e pronti a ricevere una serie di titoli da leggere il più possibile in maniera ripetitiva o peggio ancora seriale. L’abitudine garantisce il commercio insomma, questo lo sanno tutti, ma i lettori sembrano ancora non essere in grado di ribellarsi, di aprire le loro volontà ai piccoli sforzi del piacere e dell’infinito che potrebbero avere davanti. E solo rileggendo libri come questi i lettori ritroveranno se stessi nel gioco della letteratura.
La distopia che mette in scena Morselli in Roma senza Papa con delle cronache romane di fine millennio che noi abbiamo superato ma che purtroppo, anche se hanno visto un Papa lasciare, non lo hanno confinato a Zagarolo e non gli ha fatto dire delle cose intelligenti come – Dio non è prete – è solo un piccolo esempio della potenza della suggestione letteraria e stilistica di un autore magistrale che costituisce un unicum nell’esperienza letteraria italiana.

I quattro libri dunque ve li ho segnalati, ma sono sicuro che alcuni li avrete già letti, li segnalo per non dimenticarli mai.
La donna avete capito che è Linda Terziroli che ha scritto Un pacchetto di Gauloises. Una biografia di Guido Morselli (Castelvecchi 2019).
E il mistero?

Il mistero ovviamente è, mi tocca dirlo per forza a costo di tutta la retorica di cui sono capace, come sia stato possibile dimenticare un autore del genere per tutta la sua vita, aspettare che morisse e poi pubblicare tutto quello che ha scritto. In questo c’è una punta di sciacallaggio che purtroppo non riesco a togliermi dalla testa e che ancora oggi accade in forme diverse magari, ma accade, nel marasma del niente che ci circonda.
Il gesto migliore che possiamo avere ogni giorno è mettere in moto i due neuroni che anche a me sono rimasti e farli comunque dialogare, ma non con tutti gli stimoli apparenti che abbiamo a portata di polpastrello o di benzina, ma tra loro. Fate che quei due neuroni che ci hanno lasciato dopo tutti questi bombardamenti atti a farci pagare continuamente l’alto costo della vita si parlino, escano a cena e si chiedano guardandosi nelle sinapsi che tentano di mettere fuori se veramente, anche quando scelgono un semplice libro, è quello che gli hanno messo davanti agli occhi ben illuminato in vetrina quello di  cui hanno veramente bisogno,  il massimo del piacere a cui possono aspirare.
Oppure, potrebbero chiedersi al dessert, c’è altro?

Simone Battig



[1] Qui potremmo aprire e a questo punto lo facciamo una breve notazione impressionistica sul fatto che oggi, scimmiottando sceneggiature anglosassoni per una fruizione casalinga, se leggete scrittori italiani che vanno per la maggiore sembra di leggere libri che si appoggiano sulla convinzione di chi scrive che chi legge non sia un lettore ma uno spettatore, cioè che stia vedendo qualcosa alla televisione o sul computer e non che stia leggendo. Fateci caso quando leggete, taluni non si preoccupano nemmeno più di confondere il pranzo con la cena, e lo sottolineo letteralmente, perché forse pensano che la scena ripresa da una telecamera che non c’è nel loro libro ma nella loro testa sia eloquente di per se per far capire se sia sera o mezzogiorno. E questo è un grave problema per la letteratura che dovrebbe essere immaginifica esattamente al contrario, cioè dalla parte del lettore che costituisce il cinquanta per cento della faccenda che si narra e ne è propulsore possibilmente non ammaestrato ma accompagnato come in una passeggiata …