Ci avete mai pensato? Si cade sempre in una sorta di selezione poco democratica quando si parla di libri. Non ci soffermiamo mai su ciò che non ci è piaciuto. I nostri consigli, le nostre top five (come direbbe Rob Fleming in Alta Fedeltà di Nick Hornby) stilano elenchi dei titoli più avvincenti, più appassionanti. Più superlativi. Ma i libri che non ci sono piaciuti sono davvero da dimenticare? Sono convinta che i libri non graditi siano capaci di lasciarci un’eredità altrettanto importante, quella di selezionare. Selezionare scartando ciò che non interessa è una via per affinare il gusto, per capire ciò che amiamo. Il “preferisco di no” ha pari dignità di un “sì grazie”. Io, per esempio, devo essere grata a Flaubert e a tutte le sue dettagliatissime descrizioni, perché leggerlo mi ha fatto capire che il mio cuore va a Carver e al suo minimalismo asciutto. Devo ringraziare De Carlo, perché leggere le sue ambientazioni sontuose mi ha fatto scoprire la passione per una scrittura inconsueta e spigolosa come quella di Toni Morrison.

Ero curiosa di condividere questa riflessione con chi legge tanto, così ho chiesto a Caterina Soffici, Stefano Milano e Petunia Ollister quali cose hanno imparato dai libri che non hanno apprezzato. Me ne hanno raccontate ben più di tre e tutte interessanti.

“Quando scrivo non devo annoiare il lettore”


Caterina Soffici – Giornalista e scrittrice

Nella mia vita di lettrice e di scrittrice, i libri che non mi sono piaciuti sono molto più numerosi di quelli amati. Ma finalmente ho imparato a non leggere i libri che non mi piacciono, mentre in passato, per una sorta di calvinismo letterario, credevo che si dovesse arrivare alla fine e dare una chance all’autore. “Magari migliora, magari il finale è strepitoso”. Ho capito che non accade mai. Se un libro ti prende, lo fa nelle prime trenta pagine (salvo rarissime eccezioni). La cosa è del tutto soggettiva, ovviamente.

Due libri che non sono riuscita a leggere, pur avendoci provato a più riprese, sono Il nome della rosa di Umberto Eco e Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcìa Marquez (che pure mi aveva incantato con Cronaca di una morte annunciata). Noi cambiamo con le stagioni della vita, quindi a quarant’anni ti può piacere un libro odiato a venti e viceversa. Ci riproverò. Ma per il momento non sono mai riuscita a superare lo scoglio delle prime trenta pagine. È lì che si capisce se vale la pena proseguire nella lettura.

Premesso quindi che non mi sento in dovere di leggere libri brutti, per cercare di rispondere alla  domanda “cosa ho imparato dai libri che non mi sono piaciuti”, direi fondamentalmente una lezione: evitare di fare le cose che rendono un libro per me illeggibile. E cioè: annoiare il lettore, scrivere per se stessi, non avere una bella storia da raccontare, creare personaggi poco credibili, non avere ritmo, usare una scrittura sciatta, fare sfoggio di inutile erudizione, essere troppo complicati.

“Il valore dell’errore”


Stefano Milano – Direttore editoriale Codice Edizioni

Mi è sempre rimasta impressa una storia che riguarda Stravinskij. Nel 1925 una casa discografica gli commissionò una composizione che stesse nella durata di un 78 giri. Fu criticato tantissimo e lo accusarono di essersi venduto al mercato. Di lì a poco, però, la durata più breve delle composizioni diventò uno standard, fino alle canzoni, brevissime, di oggi.

Questo è solo un esempio tra i tanti per spiegare perché non sono solito liquidare come sbagliati i libri che non mi piacciono. Anzi. L’errore di Stravinskij ha aperto nuove strade, quindi il punto sta nel rapporto tra ciò che consideriamo giusto e l’errore: dipende da come adattiamo il nostro pensiero al mondo. Veniamo educati a non fare errori, ma – se si ha a che fare con la conoscenza – l’errore è un motore potente di dubbio e quindi di cambiamento.

Specialmente per chi fa un lavoro come il mio – in cui è determinante saper individuare, calibrare e miscelare nel giusto modo tutti gli elementi che rendono tale un libro – credo che analizzare e capire dove stanno gli errori di un libro che non ci piace sia importante quanto comprendere i punti di forza di un’opera che, secondo i nostri parametri, apprezziamo. È una sorta di gioco di specchi, in cui porsi il dubbio e certe domande è talvolta un modo per innovare i linguaggi editoriali con cui si lavora.

E poi non sempre un libro che non ci piace è un libro sbagliato; perché magari ha raccolto le lodi della critica, o è piaciuto al grande pubblico ed è diventato un best seller. E allora va a maggior ragione studiato e capito, perché potrebbe essere come quella composizione di Stravinskij…

“Saper scrivere non basta per definirsi scrittori”


Petunia Ollister – Influencer, instagrammer e fondatrice di #bookbreakfast

Dai libri che non mi sono piaciuti ho imparato che scrivere non è per tutti.
E ho imparato ancora meglio che saper scrivere non basta per definirsi scrittori, bisogna anche essere capaci di inventare storie, intrecciarle in modo efficace, lasciare spazio alle persone che saranno dall’altra parte della pagina, dialogare con i lettori trasformando una storia nata da un individuo in un testo che sarà sotto gli occhi di una molteplicità di soggetti e dovrà saper parlare a tutti, su più piani, ma a tutti.
I libri che non mi sono piaciuti sono diversi dai libri che ho abbandonato a metà. Con quelli ho un altro rapporto, davanti a loro sono stata io ad arrendermi, alzando le mani: “Noi due non siamo fatti l’uno per l’altra, per lo meno in questo momento!”.
Invece i libri che non mi sono piaciuti li ho finiti, aspettando invano che prendessero una piega verso l’alto. E tutti hanno fatto in modo di farmi capire cosa non avrei mai voluto suscitare in un lettore: quell’attesa di un potenziale promesso da una sinossi che invece non decolla mai, lasciandolo deluso e anche un po’ arrabbiato per le speranze provate e il tempo impiegato per arrivare in fondo. Tutti questi libri – e sono parecchi – mi hanno insegnato, in una sorta di coscienza in negativo alla maniera di Montale, che se un giorno vorrò scrivere sul serio dovrò studiare, provare, sbagliare, affidarmi a qualcuno e farmi ribaltare prima di potermi presentare davanti ai lettori.

Daniela Giambrone