Numero 15 | Dicembre 1998

Un’aura magica ammanta la vecchia Albione nei mesi invernali. Il vento sibilante tra i rami di maestosi sycamores, il cielo plumbeo, l’aria misteriosa. Perfino il tempo sembra dimenticare la sua corsa irrefrenabile per godersi questo spettacolo incantato. Charles Dickens subisce inevitabilmente il fascino sottile di questa atmosfera, ricreandola perfettamente nei suoi racconti e nei romanzi.

Londra, la metropoli dai mille volti, non si sottrae all’incantesimo ma si diverte a nascondersi dietro una fitta cortina di nebbia fumosa, acquistando connotazioni gotiche da città labirintica dove spettri allegri e dispettosi si aggirano indisturbati.

The Chimes (Le Campane) è una delle Christmas Carols, frutto della fervida fantasia di Dickens, una goblin story in cui l’uomo (Trotty, il protagonista) è il centro di emanazione delle pulsioni e delle acquisizioni umane, attraverso un graduale processo di presa di coscienza.

Una carrellata di personaggi, quella di Dickens, che incarna la realtà vittoriana, pingue di falsi valori e costumi morigerati. Esemplari le caricature del selfmade man e dei filantropi Biedermeier pronti a enunciare nuove e bislacche teorie sui poveri.

L’umorismo macabro e geniale permette allo scrittore di mostrare gli aspetti più veri della condizione sociale e mentale degli umili che affollano le strade e i sobborghi delle città industriali. L’involontaria autoironia di Trotty nell’esclamare: «Ah noi nati malvagi! Niente riuscirebbe a renderci migliori» fa sorridere e riflettere al contempo sulla malinconica e rassegnata constatazione dell’inferiorità della loro condizione. I poveri agli occhi delle swell mobs (canaglie eleganti) sono poco più che argomento di conversazione perché «non hanno il diritto di nascere!» filosofeggia l’assessore Cute.

Dickens punta il dito contro gli abusi, le violenze e i soprusi che le donne e i bambini sono costretti a subire, lavorando in condizioni precarie e per pochi scellini. «In Tennyson e Dickens convivono rabbia e dolore» scrive Virginia Woolf, sottolineando la reazione tenace dello scrittore contro qualsiasi forma di oppressione, particolarmente ai danni dei bambini. «The oppressed child» diventa il simbolo della natura umana prigioniera, nei romanzi di Dickens come nelle poesie di Blake, le prigioni sono letali per la mente e sia l’uno che l’altro ritengono che l’uomo debba spezzare le catene che lo costringono e urlare la propria libertà. La prigione è anche una metafora: quella della società che impone spesso costrizioni asfissianti nel pensiero collettivo, le cosiddette negazioni della vita, edulcorate manifestazioni della morte!

Il ricorso al fantasma come guida per salvare l’uomo sulla soglia del baratro nasce da una critica ragionata alla società vittoriana. L’elemento del ghost, oltre a conferire un significato magico alla trama del racconto, serve a riportare alla mente degli uomini l’importanza dei valori veri. Il fantasma prende corpo quando c’è bisogno del suo intervento. Dickens risente dell’influenza di Shakespeare, sia per la teatralità dei suoi racconti, sia per l’impiego dei fantasmi. Lo spettro di Banquo, quello di Hamlet, Ariel sono alcuni esempi di come l’immaginazione soccorra la ragione, creando queste entità guida come una specie di angeli custodi. I rintocchi delle campane di Londra racchiudono i fantasmi che condurranno Trotty nel suo passato-futuro, affinché come Scrooge possa organizzare meglio il suo presente. La combinazione vincente tra fantasia esuberante e humor pungente raggiunge un climax grottesco che conferisce a Charles Dickens uno stile inconfondibile.

Tiziana Masucci

«Lettore nostro, cerca di tenere a mente la dura realtà dalla quale sono nate queste ombre e nel tuo mondo, poiché nessuno è troppo ampio né troppo angusto per questo scopo, cerca di correggerle, di migliorarle, di addolcirle.»

Il libro nel 1998

Le campane di Charles DickensCharles Dickens
Le campane
Interlinea 1998
pp. 133  L. 10.000
con le illustrazioni originali del 1844

 

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