Il canto del profeta di Paul Lynch non lascia indifferenti, ma non per le motivazioni che il lettore curioso immagina – pensando al romanzo come un distopico -, quanto per la forza delle emozioni, che lentamente, fuoriescono dall’animo umano, trascinandosi esternamente. Le puoi vedere, lacerate, derise, amareggiate, piene di speranza, disillusa, perduta, ritrovata e di nuovo persa, come una luce tremolante che nel suo sfarfallio, ci preannuncia l’arrivo del buio, dell’ansia e della paura. È un romanzo che ha un tempo lento, che sembra quasi non vedere un futuro, che addirittura pare non avere azione, nonostante accadano cose. Grazie a questa mancanza di velocità, il lettore esigente può assaporare lo stile della scrittura, che scava nei meandri dell’essere umano, emanando stupore.
La storia è ambientata in Irlanda, in un periodo storico non lontano – nel tempo e nelle distanze ma anche nell’immaginazione -, dove le libertà sono limitate. Un distopico che si rispetti comprende sempre la mancanza di libertà. Ma Il canto del profeta non è il classico distopico dove, appunto, tutto gira intorno alla privazione della libertà e dei diritti, e alla manipolazione, che limita e condiziona le scelte. Il canto del profeta è un cammino emotivo, un pezzo di vita, quella di Eilish Stach, una madre di quattro figli, che quasi all’improvviso si ritrova a perdere il marito, insegnante e sindacalista. Larry non ha commesso reati, eppure viene rinchiuso dalla polizia governativa irlandese, praticamente rapito.
“Si guarda le mani mentre parla del marito, le dita che si agitano e si intrecciano, mani che sembrano voler strizzare via il dolore, poggiandolo sul tavolo come un’offerta.”
Le cose succedono da un giorno all’altro (così sembra), e il lettore viene invitato, incluso nei pensieri di questa donna, che si ritrova a doversi occupare della salvezza della sua famiglia. Il suo essere madre è prioritario. Che cosa sente il lettore? Quello che sente lei, che la realtà non può essere quella e, allora, sfuma nel sogno, il sogno che sfocia negli incubi, che risucchiano, che destabilizzano il risveglio. E con il risveglio c’è sempre la consapevolezza di una realtà che ci cade addosso, che ci spinge sotto, fino a quando l’istinto di sopravvivenza sopraggiunge a tirarci fuori, a cercare quell’aiuto rifiutato. Aine è la sorella di Eilish, e da subito la esorta a raggiungerla a Toronto, consigliandole di scappare, abbandonando tutto, e portando con se l’anziano padre. Eilish oltre ad essere madre, è figlia, è figlia di un padre che nonostante lo neghi, ha bisogno di lei, come i figli. Eilish però, da principio non da ascolto a sua sorella, forse perché le sembra ancora tutto assurdo, un incubo, uno dei peggiori, forse perché pensa di riuscire a gestire tutto, o forse perchè non riesce a lasciar andare, la sua casa, le sue cose, le cose e le abitudini dei suoi figli, di suo padre, la normalità della sua vita a Dublino. Se Eilish non avesse atteso tanto, prima di accettare l’aiuto di Aine, la sua vita e quella dei sui figli, avrebbe avuto un decorso diverso. E il padre?
Ti viene voglia di criticarla e di urlarle contro, ma anche di rincuorarla.
Certe scelte, se prese troppo presto o troppo tardi, cambiano totalmente la vita di una persona, di più persone.
“Riflette sul fatto che la vita sembra esistere al di fuori degli eventi, ti passa accanto senza bisogno di testimoni, […] la gente ti passa accanto con aria stravolta e preoccupata, prigioniera dell’illusione dell’individuo.”
Il canto del profeta ha vinto il Booker Prize 2023, un premio importante, che certamente ha meritato.
Alessandra De Angelis
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