Sulle dolci colline alle porte di Firenze si erge Villa Peyron al Bosco di Fontelucente. È una tiepida giornata di maggio e tutto è pronto per ospitare un convegno che parla di Cibo e Cultura. Sembra essere un convengo molto importante e atteso perché vi partecipano sette persone provenienti da ogni parte del mondo. Ad accoglierli nella bella magione che profuma di Rinascimento, fiori e bellezza, ci sono la Lauretta, governante della Villa che ai piedi calza solo ciabatte, nonché regina della cucina e Clara, relatrice del convegno, donna sensibile e dai cerchietti colorati, entrambe orgogliose fiorentine. Senza dimenticare il gatto dal pelo fulvo, Rollone il Vichingo, altrimenti detto Rolando Rosa, che si aggira per le sale, osservando gli umani che parlano e si riuniscono, narrando con occhio attento e con il sarcasmo tipico dei felini i fatti che accadono intorno a lui.

Ma proprio mentre il gruppo inizia a conoscersi, accade l’impensabile improvvisamente. Arrivano notizie che “in città e in tutto il Paese è scoppiata un’altra volta.” Seppur manchi il complemento oggetto, possiamo immaginare a cosa si riferisca la frase lasciata in sospeso. L’unica cosa che possono fare i nove personaggi, dieci con il gatto, è barricarsi nella Villa. Per sei giorni. Cosa si può fare per far passare il tempo se non si può uscire? A noi verrebbe voglia di consigliare al gruppo di sventurati quello che noi abbiamo provato a fare quando eravamo nella loro stessa condizione; cucinare e fare stretching rientrerebbero nella lista. Il “problema” è che loro devono scontare la loro clausura in un luogo a cui è difficile non pensare e non ispirarsi al Decamerone di Boccaccio. Quindi succede che tutti diventano oratori e oratrici, raccontandosi storie secondo il tema scelto della giornata. Sono novelle che servono per spezzare la routine e portare allegria ma in realtà sono molto di più. Tutti accolgono con entusiasmo l’idea, ripescando nella memoria aneddoti personali o storie raccontate dai propri nonni. Il tutto naturalmente interrotto dai banchetti sontuosi banditi di golosi e calorici manicaretti preparati dalle sapienti mani di Lauretta. Si parla di nonni muratori, lotte sociali, diseguaglianze, poeti e poetesse dimenticati.

Il cielo stellato fa le fusa è una storia piacevole, contemporanea, ricca di riferimenti. Piacevole perché l’ironia e l’intelligenza di Chiara Francini si leggono in ogni pagina. Uno degli aspetti che colpisce maggiormente è lo stile che cambia e si adatta a ogni personaggio, rendendo la lettura scorrevole e il romanzo dinamico. Inoltre, giocando con il dialetto toscano, l’autrice offre una voce autentica alla lettura. Ricca di citazioni e riferimenti perché, nelle novelle raccontate dai nostri oratori e dalle nostre oratrici, ci sono curiosità storiche e non solo: una sorta di raccolta di aneddoti storico culturali che l’autrice sceglie di affidare alla personalità di ogni narratore.
E soprattutto è, come dicevo, una lettura contemporanea perché ogni lettore si immedesima nello stato d’animo di chi accoglie la notizia della clausura: sorpresa, paura e una iniziale curiosità.

È una lettura che ha anche una interpretazione sociologica. Ognuno dei personaggi coinvolti avrebbe potuto scegliere di passare la propria quarantena chiuso nella camera da letto o a fare passeggiate solitarie nei giardini della Villa e interrompere la routine quotidiana con qualche chiacchera, certo. Però chi avrebbe voglia di condividere le proprie riflessioni e storie vere o inventate quando fuori c’è in corso una specie di battaglia?

È una commedia umana, un esperimento sociale che, nel caso del romanzo, funziona perché ognuno ha la possibilità, raccontando, di scoprire un po’ sé stessi e, come dice il padrone felino della Villa “perché il piacevole nello spiacevole diventa sublime.”

Carlotta Balestra

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