Il deserto è una storia vera, un’autobiografia celata da nomi di fantasia, incredibile come solo le storie vere sanno esserlo. Un viaggio lungo la guarigione delle ferite di una madre, Eligia, sfregiata con dell’acido dall’ex marito durante l’ultimo incontro che avrebbe sancito un agognato e sofferto divorzio nell’Argentina degli anni ‘60. Ma è anche un intimo viaggio nell’anima del figlio Mario (l’autore), che accompagna la madre durante la lunga degenza che dovrà subire in una clinica specializzata a Milano.


Al lettore non viene dato il tempo di ambientarsi: il romanzo si apre con la prima di molte descrizioni del viso sfregiato di Eligia, parole crude che costringono il lettore ad una dettagliata e clinica descrizione della trasformazione della pelle del viso della madre del protagonista. Fin dalla prima pagina, fin dalla prima riga, il lettore si ritrova così immediatamente e brutalmente catapultato nel viaggio del protagonista, Mario, e nel suo lento sprofondare verso gli anfratti più bui e ambigui dell’essere umano.


Il tempo del romanzo viene scandito dalle ferite della madre: la loro metamorfosi viene studiata dal protagonista, le cui giornate si nutrono dell’analisi dei minimi e lenti cambiamenti del visto di Eligia. Se il tempo è scandito dalle ferite, lo è anche lo spazio: il romanzo si sviluppa attorno al letto d’ospedale della madre, in quel tempo sospeso e denso nonostante l’assenza di eventi. Il protagonista alterna ore statiche d’ospedale, dove anche il cambiamento di colore di una cicatrice è un avvenimento, al tempo surreale e folle che vive appena fuori di esso. Il bar all’angolo dove si rifugia nell’alcolismo diventa infatti la porta di una Milano in pieno boom economico, vissuta da ambigui personaggi ricchi di energia in cerca di riscatto e trasgressione dopo la guerra.


Il lettore è accompagnato in una spirale di perdizione, nella quale il protagonista si abbandona all’alcol nel tentativo di sparire, di annientarsi, mentre la madre lotta per guarire e vivere, diventando spettatore della sua stessa vita nella quale non vuole prendere parte e facendo di tutto per rimanerne una silenziosa comparsa.


Un’autobiografia cruda, senza censure e senza filtri, uno stile che non risparmia nulla e che avvolge lentamente il lettore, testimone inerte, nei pensieri di Mario. Una scrittura potente che porta pagina dopo pagina alla scoperta del baratro in cui scivola il protagonista.

Margherita Alberini