Anno 1 | Numero 7 | Aprile 1998

Se il rigorismo formale di Narcís Comadira è frutto di un lungo apprendistato nel mestiere di scrivere, è pur vero che, vista diacronicamente, la sua produzione letteraria è quasi priva di svolte radicali, assomigliando piuttosto a un’espansione ondulata a partire da limitati nuclei tematici. Così la resa plastica con cui questo poeta e pittore crea scenari concreti e storicizzati serve a drammatizzare anzitutto la propria persona. “Narcisisme” si è detto, per definire un io lirico che, giocando anche con il Nome dell’autore, si specchia, si sdoppia, varca il confine della realtà fenomenica e, infine, si volta a contemplare la parte di sé rimasta al di qua della trascendenza. Spesso è un oggetto “gozzaniano” altrimenti aneddotico, a favorire questo passaggio come una fotografia; altre volte si tratta di percorsi mentali, letture o ricordi; oppure, paesaggi concreti e delimitati come un’isola o un giardino, catturati nei loro momenti di decadimento. Si prospetta quindi un orizzonte negativo formato da un “mare gelatinoso” appartenente ad altri e qui, ontologicamente, ci si rivolge all’oblio in quanto assenza di dolore mentre, storicamente, la ·vis polemica di Comadira si staglia in apostrofi contro l’establishment sociale e culturale catalano. O anche contro Girona, sua città natale, rappresentata – con toni che rimandano ad Ezra Pound – come Città-Mercato dominata dall’ideologia del Denaro.

Narcís Comadira è, insomma, poeta di vaste letture e ama inserire nei suoi componimenti echi, frammenti e reminiscenze provenienti dai suoi autori preferiti con scelte né casuali né disordinate, bensì programmatiche; per cui, questo suo modello di scrittura formato da stratificazioni testuali è stato battezzato con il nome di “poetica del palinsesto”.

Tutte queste pulsioni e queste linee ideologiche di sviluppo escono allo scoperto in Falconeria, che è un’approssimazione teorica al ruolo del poeta, metaforizzato dalla grande immagine del falcone. Non sono tuttavia i suoi ampi voli circolari (e lirici) a dominare il paesaggio e la realtà; sono la morte e l’annichilimento, che scandiscono il tempo abituale, il buio costante interrotto soltanto sporadicamente da attimi di libertà e di luce, in cui si nasconde la vita.

Francesco Ardolino

“… una forza mi trascina in giù, nel pozzo del nulla, e calo come un fulmine. Da quale volontà sono retto?”

Da Enigma

Falconeria

Ecco sono un falcone e alla mano m’appiglio
del mio signore. Respiro l’aria tersa del mattino
e l’odore del velluto e delle martore, il sudore dei cavalli,
il fieno calpestato, i vapori
che sprigionano dalla terra.
Erbe e fiori minuscoli, tappeto gemmato che vedrò
dall’alto quando, in cerchi di magnificenza,
osserverò i miei domini, la piana, gli arboscelli,
il fiumiciattolo, la lepre sguisciante.
E i cavalli, i cani e il signore,
con i suoi cavalieri e il falconiere maggiore
paggi e servi, piccini piccini,
sparsi sul prato…
Ecco, il signore m’ha detto: voglio una grossa lepre
odorosa di lentisco (il mio signore è poeta),
mentre mi carezzava il piumaggio con il dito.
Ed io mi sento imperatore, abbarbicato alla mano del signore,
con il mio cappuccio di cuoio pieno di nastri.

C’è movimento, strepitio, nitriti e scalpitare,
e i guardiani dei cani che slegano e aizzano la muta.
Ormai s’appressa il momento, il signore m’accarezza,
vuole una grossa lepre odorosa di lentisco
(anch’io sono poeta). Sento il cuore martellarmi forte.
Ed ecco, in questi momenti sono padrone e signore
del mondo e della gente. Tutti dentro il mio cerchio,
in sospeso, in attesa che io mi perda e ritorni,
che il mio volo si stringa, calcoli,
scorga la lepre intimorita.
Gli occhi sono saette, gli artigli s’aguzzano
e una vertigine dolcissima mi soverchia,
Cielo e terra è un tutt’uno, alberi e nuvole, l’erba e la pelle
riottosa della lepre. Non vedo nulla, una forza
mi trascina in giù, nel pozzo del nulla,
e calo come un fulmine. Da quale
volontà sono retto?
Quale forza oscura mi spinge, quali fili
muovono le mie ali, quale fuoco
riesce a scaldare
tanto il sangue del mio corpo?

Ecco, fra gli artigli, stringo la lepre morta,
odorosa di terra e di lentisco.
Tutto è finito, è rovinato l’impero.
Il falconiere maggiore
mi lascerà squarciare un brano di fegato caldo…
Riderà il signore con i suoi amici, poi,
e con il mio cappuccetto tutto pieno di nastri
mi sentirò ridicolo.

Poterci dimenticare di noi dura sempre così poco.

Traduzione inedita proposta da Francesco Ardolino.

 

Narcís Comadira è nato a Girona nel 1942 e attualmente risiede a Barcellona. È autore ancora inedito in Italia. Fra i suoi libri di poesia segnaliamo Enigma (1985), En quarantena (1990) e Usdefruit (1995). Una splendida raccolta tematica delle sue poesie, Somnis i runa (1992), è stata curata dall’italianista catalano, Rossend Arqués.

 

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L’opera di Narcís Comadira non è stata ancora tradotta in italiano