“Scrivo di donne forti, perché esistono. Mi sorprendono, perché è difficile esserlo”. Così rispondeva Antonia S. Byatt al Festivaletteratura del 2003 a chi le chiedeva dei suoi personaggi. Si può essere forti in tanti modi, ma a lei interessano le donne che pensano, che connettono idee e conoscenze e trasformano il mondo in un luogo migliore per tutti. In questo consiste la forza di una donna nei racconti e nei romanzi di Antonia S. Byatt. Non è stato e non è semplice per il genere umano femminile diventare consapevole della propria condizione ed essere riconosciute come esseri pensanti nel mondo degli uomini. Ancora oggi i libri di scuola non menzionano scrittrici, donne che hanno fatto politica e cambiato il mondo, filosofe e scienziate. Ancora oggi quanto deve essere forte una donna che ama leggere e scrivere, occuparsi di politica, studiare e connettere idee, mentre è figlia, madre, moglie e lavoratrice? Quante vite deve avere a disposizione per fare bene ogni cosa?
Il libro dei bambini di Antonia Susan Byatt racconta la storia di Olive Wellwood, una donna che scrive. Lei è una affermata scrittrice di fiabe e racconti per bambini della fine dell’ ’800, vive in una meravigliosa dimora nel Kent con il marito Humphry e i loro sette figli. La loro casa è aperta ad amici e artisti famosi, come Oscar Wilde. Fanno parte della società fabiana, nell’amore educano i loro figli alla libertà, all’arte e al teatro; intorno a loro altre coppie e famiglie aperte, bambini figli di tutti, alcuni non partoriti, ma accolti come figli e fratelli, non senza contrasti e conflitti, una sorta di stile di vita queer ante litteram. Olive e gli altri adulti del romanzo sognano un mondo nuovo e migliore che sperano sarà realizzato dai bambini liberi e felici. Questo sogno si infrange dolorosamente con la rigida società vittoriana e poi con la Prima Guerra Mondiale, in cui alcuni di quei bambini e il sogno della felicità saranno drammaticamente cancellati. Il contesto e le vicende storiche richiamate nel romanzo, ottimamente ricostruite nella bella e competente recensione di Wu Ming 4, sono così realistiche da far sembrare la protagonista un personaggio storico, realmente esistito, come gli altri. Olive invece è un personaggio di invenzione alla maniera della Byatt, un suo avatar, che nel vivido realismo del contesto culturale e storico del romanzo viene immaginata come davvero esistita, come George Eliot o Edith Nesbit o Beatrix Potter.
Olive Wellwood scrive tra un parto e l’altro dei suoi sette figli, non tutti concepiti con il marito. Ogni suo libro è prima raccontato a ogni suo figlio per intrattenerlo o farlo addormentare, poi scritto e dedicato al figlio o alla figlia per cui la fantasia creatrice della madre ha partorito quella storia. Fa di necessità virtù. I bambini vanno allattati, fatti addormentare, lavati e il tempo per scrivere si assottiglia. Le storie sono come figlie, scritte per i figli, mentre li nutre e li culla. Questo lo sa bene ogni donna che scrive e cha abbia scelto di essere anche madre. Si può essere madri delle proprie storie, perché le storie hanno una creazione, una gestazione e un parto, quando, venendo alla luce, si trasformano in mondi e personaggi compiuti, in parole esatte. Questo lo sa bene ogni donna che scrive e ha scelto di non essere madre.
Una donna che scrive è fertile, sempre. Affronta e vive la realtà effettiva della vita, ma parallelamente ne immagina un’altra. Forse nella realtà immaginata trova la forza per non disperare. Quando a metà del romanzo Olive scopre che suo marito ha rivelato alla figlia Dorothy, perché “gli è scappato”, che Dorothy appunto non era figlia sua, «Olive lo studiò. Possibili ragioni di una tale follia le guizzarono per la mente e furono respinte. La scrittrice in lei sarebbe riuscita a immaginare una scena in cui il segreto “gli era scappato”. La donna in lei si sentiva minacciata e in collera. La donna aveva bisogno di mantenere la calma, altrimenti l’indomani la scrittrice non sarebbe riuscita a lavorare.» Quella sera, prima di cena, la figlia Dorothy, ormai giovane donna, l’aveva salutata con freddezza e lei non ne capiva la ragione. «Ciò turbò sia la scrittrice sia la madre: le piaceva lasciarsi alle spalle un mondo lieto e sorridente prima di ritirarsi con la macchina da scrivere.» Quella sera non fu possibile. Dopo cena, in camera da letto, Olive, rinfacciò al marito di non essere in grado di trovare soldi e che lei non ce la faceva a lavorare di più. Aveva bisogno di tempo e serenità per scrivere, perché scrivere è un lavoro, non un passatempo. Olive con i suoi libri mantiene la famiglia. Il verbo lavorare scritto dalla Byatt in corsivo e per due volte a distanza di una pagina sottolinea che l’emancipazione delle donne intellettuali è stata possibile attraverso la vendita dei loro libri e il guadagno ricavato dal faticoso lavoro dello scrivere. Una donna che scrive è una donna che lavora, proprio come una donna della classe operaia che lavora in fabbrica e rivendica i propri diritti a cavallo dei due secoli passati. Il libro dei bambini è la storia di Olive Wellwood, una donna forte che scrive. L’intreccio delle altre storie e degli altri numerosi personaggi, inventati o realmente esistiti, lo si può immaginare come un intrico di rovi spinosi o delicati fiori intorno a lei da cui cerca pazientemente di districarsi giorno dopo giorno, per poter essere, per poter esistere come donna e scrittrice.
Dai libri della Byatt si impara sempre molto, perché sono opere erudite che trasmettono conoscenze. Da Il libro dei bambini si impara anche la storia delle gentildonne inglesi che organizzavano attentati, posizionavano e facevano esplodere bombe, giravano con mazzole in borsetta per spaccare le vetrine delle boutique alla moda, che si sono fatte incarcerare e torturare per farsi ascoltare dagli uomini, che alla fine hanno dovuto ascoltarle e riconoscere loro i diritti politici e civili. Hedda, la figlia più giovane di Olive, nella seconda parte del romanzo, si staccherà dal mondo contraddittorio e inconcludente della società fabiana, idealizzato dalla sua famiglia allargata e sceglierà l’azione, diventando un’attivista per i diritti delle donne.
Le donne, abitanti paritarie di questo pianeta, se non talvolta maggioritarie, numericamente parlando, eppure così “discrete” nella filosofia, nella politica, nella letteratura, nelle scienze e nell’arte, quasi inesistenti, hanno mandato avanti il mondo con le loro idee, portandolo in grembo, nelle mani e sulle spalle. Antonia S. Byatt, con i suoi personaggi, ha trasformato la storia delle donne in mito, come patrimonio della tradizione letteraria, da trasmettere a tutte le donne sin da bambine, per controbilanciare la mitologia biblica e religiosa, ma anche la tradizione culturale laica, sempre misogina. Il suo è stato un tentativo di proporre un patrimonio culturale laico in cui le donne esistono e sono forti, in alternativa ai miti e ai personaggi femminili della letteratura classica.
Maria Antonietta Nigro
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