Anno 1 | Numero 10 | Luglio 1998

Un romanzo esiste da subito, appena il romanziere ne getta le fondamenta. Una raccolta di racconti, all’opposto, inizia a esistere come una cosa sola ed unica quando si è deciso quali testi pubblicare e quali no. L’amico del pazzo è uscito a marzo. Io ho finito il racconto Stampa locale a Natale. Fino ad allora il mio libro non esisteva ancora. Capite quindi il batticuore per quella creatura composita che è vostra ma che non avete concepito così come sarà. Nel mio libro ci sono undici racconti. Due di questi avrei anche potuto lasciarli fuori. Si intitolano Una due tre madonne, e Purusha Testimone Extravaganza. Fino all’ultimo ho pensato di tenerli fuori ma poi che libro ne sarebbe uscito? Il libro d’esordio più corto del mondo? L’alternativa era inserire una brodaglia di 30 cartelle intitolata Certa gente che conosco, che era lunga da sola come i due ripudiati tutti insieme. Era un racconto terribile, una specie di tentativo di mitizzazione del rito provinciale del vedersi con gli amici. Era una serie di cose vere che mi erano successe. In Feltrinelli godeva di una certa popolarità. Sia Gabriella D’Ina sia Tiziano Scarpa dicevano che era da mettere assolutamente. Io mi vergognavo di quel racconto perché diceva delle cose strane su tutti i miei amici. Se quel racconto fosse uscito, io sarei rimasto solo. Alla fine ho allineato sul tavolo sei racconti vecchiotti, alcuni dei quali pubblicati negli anni dal glorioso magazine Maltese Narrazioni, e me li sono letti. I due migliori sono nel libro, ma faticano a stare vicino agli altri nove, le mie perle brillanti, il succo, il nettare di un anno di vita straordinaria. I nove predetti sono tutti molto simili fra loro; adesso che lo sapete, provate a leggere o ari-leggere il libro in questa ottica. Vero o no?

Mi è capitato di dover scrivere del mio libro in un’altra circostanza: le case editrici ti chiedono di fare una scheda del tuo libro per poter informare i librai con un buon preavviso. Ho scritto che io sono un anti-illuminista. Ecco, il punto profondo del libro è questa cosa dell’anti-illuminista. Nel senso che tutti i miei racconti non vanno mai a patti con la razionalità. Io non tengo mai conto del mondo fenomenico come se fosse l’unico vero. Questo è il nucleo di pensiero che mi ha fatto scrivere, uno dietro l’altro le nove gemme contenute in L’amico del pazzo. In pratica, questo libro è il risultato di un grande raccolto spirituale, seminato anni prima, forse secoli, e giunto a maturazione intorno ai trent’anni. Chiedete in giro agli astrologi. Sono verità semplici e disarmanti. A me è successo di dover dare un nome a tutto quello che mi impediva di vivere con serenità i momenti facili e difficili della vita. Ho guardato in me stesso con spietatezza ma ho anche deciso di uscire dal mondo così come lo intendevo. È successo forse in cinque minuti, non ricordo niente. Ora sono uno straniero, cordiale ma inconoscibile, felice nonostante tutto ma veramente tutto. Ed ecco gli stupidi felici dei miei racconti e – sull’altro piano – gli stupidi scontenti, quelli che si accaniscono a voler piegare il mondo alla loro risibile volontà (frutto di deleterie aspettative di miglioramento sociale generate dalla Rivoluzione Francese).

Ecco l’anti-illuminismo. Poi, nella loro forma esterna, i racconti assumono colori e modi di svilupparsi che nulla hanno a che vedere con questa mia illuminazione, anche se sono da essa generati. Io scrivo di coppie, di famiglie, amici, la storie sono spesso sospese a favore di riflessioni poco serie sui grandi temi, penso che ci sia anche da ridere, leggendo le disavventure degli stupidi che metto in scena.

Poi a me piace scrivere sul Piemonte, della campagna dove abito. Qui ci sono persone fantastiche, che possono dare tanto alla letteratura italiana (se usate come modelli per i personaggi di uno scrittore rognoso) e allora ecco che nel mio libro si respira, a tratti, la magica aria della provincia italiana unita a profonde (?) divagazioni sulle realtà ultime della nostra civiltà, tipo i soldi. Il racconto che dà il titolo alla raccolta subisce l’influenza del romanzo Money di Martin Amis. Anche lì il protagonista, John Self, è ossessionato dai soldi così come Patrick Bateman in American Psycho di Bret Easton Ellis. Mi interessa, evidentemente, parlare di quelle cose che nei libri fanno brutta figura (i soldi, le invidie, le meschinità, i fallimenti), ma tutto senza violenza. Nel mio mondo la violenza non esiste. Ci sono i superamenti del disagio da parte di alcuni personaggi, ecco tutto. Personaggi chiaramente inventati, ma possibilmente poco letterari, poco letterati. Come Aldo Nove che dà voce agli analfabeti del Varesotto? No. In Aldo Nove si sente che chi scrive è un intellettuale, uno che di quegli analfabeti ha sempre riso per motivi superficiali. In me dovrebbe invece sentirsi la voce vera di questa gente un po’ ignorante ma ingegnosa, i borbottii poco coerenti delle loro coscienze. A me piace poi trasformare questa gente in illuminati, in persone in grado di aggirare i malefici e trionfare dentro pur fallendo esternamente. Credo fortissimamente nella possibilità di essere sereno pur vivendo in uno scatolone fuori da un supermercato. Penso che qualcuno fosse sereno perfino a Auschwitz. Magari qualche stupido.

Marco Drago

“Per dire le cose come vanno dette: io e mia moglie siamo due coglioni. La nostra è una coppia che non ha mai attirato l’invidia di nessuno e posso capirlo.”

 

Il libro e l’autobiografia nel 1998


Marco Drago
L’AMICO DEL PAZZO
Feltrinelli 1998, pp. 172
L. 23.000

Mi chiamo Marco Drago, nato il 18/3/67 a Canelli (AT), dall’89 faccio la rivista “Maltese Narrazioni” con Sergio Varrella, Matteo Galiazzo, Gianrico Bezzato, Roberto Rivetti e Alessandro Gatti. Nel ’98 è uscito il mio primo libro, “L’amico del pazzo”.

Dopo l’esordio con L’amico del pazzo, Marco Drago ha scritto molto ed è protagonista di tante iniziative culturali. Per approfondire https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Drago

Il libro è fuori catalogo.
È disponibile in formato kindle qui

 

Un brano da “L’amico del pazzo”

Esco dalla porta di Bardo scioccato e incredulo. Lui è a letto e batte i denti, viola in faccia. Ha avuto una gravidanza isterica. Parto gemellare. Troppo stress sul lavoro, troppe aspettative andate in fumo, troppe umiliazioni anche in casi della vita poco tragici come la coda al supermercato. Entro nel gabbiotto bancomat soprappensiero. Inserisco la tessera nella fessura. Digito il mio codice. Digito 200.000. Digito No e nel giro di dodici secondi sono di nuovo ricco. Ho osservato bene il rituale con stordita ammirazione: da questa macchina escono i soldi che guadagno con il mio lavoro. Da questa macchina esce il mio lavoro. Io e questa macchina siamo una cosa sola. In lei ripongo la mia totale fiducia, così come nel progresso e nella tecnica. E poi è una macchina che emette soldi e i soldi, cari miei, i soldi… i soldi sono una bella cosa. Visto il sole e sentito il caldo, proseguo diritto e mi siedo al chiosco di Busson. Ordino un Campari e mi portano anche degli stuzzichini: dadini di pizza. Ripenso al mio amico Bardo: ha avuto un tracollo e ha sviluppato una gravidanza isterica e penso che sia una cosa tutto sommato, mica male. Per un po’ di mesi sei in compagnia. Magari fai pure lavori all’uncinetto. Mi intenerisce.